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ALBIONE E LA VENDETTA DEI NUMI


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Albione e la vendetta dei numi
Ieri
Oggi
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Sul filo del tempo

Albione e la vendetta dei numi

In una delle tante apologie lanciate sui temi delle agenzie americane -- la uniformità della ossequiosa riproduzione è tale che nelle redazioni della «patria» nessuno rileva che se Enrico Fermi avesse detto quel testo sulla creazione artificiale dei mesoni che spiegano ancora una volta o stanno per spiegare il mistero della materia, e lo avesse detto o riassunto in quei termini, gli andrebbe tolta di urgenza la laurea in fisica -- dopo una suggestiva descrizione dei miracoli del rendimento alla General Motors o alla Chevrolet, sia nello sfornare macchine che nel colmare di benessere i salariati, si arriva a questo volo lirico:
«Il cittadino americano è già sul punto dell’eroe senofontiano che, troppo felice, si domanda il perché ed il merito di questa felicità, e se non gli avverrà di essere vittima, in qualche modo, dell’invidia degli Dei…».

Il moderno capitalismo, attraverso il suo complesso di grandezza, ridiventa romantico come nelle ballate del vecchio Schiller! «Die Götter wollen Dein Verderben…». Gli dei ti vogliono perdere; o troppo felice proletariato! Policrate, re di Samo, riceve il re d’Egitto, e durante la permanenza dell’ospite giungono notizie di vittorie e conquiste clamorose, ed egli si crogiola di felicità. Ma il saggio amico gli suggerisce di sacrificare qualcosa di molto caro, poiché il successo troppo vasto provoca la vendetta delle divinità, alle quali sola spetta la felicità totale. E Policrate lancia nelle azzurre onde dell’Egeo il suo più caro, splendido anello. Ma il giorno dopo, all’ora del lunch, si precipita un cuoco: nello stomaco di un pesce immane destinato alla mensa ha ritrovato l’anello, e lo porge al re. A tale vista l’invitato, sia pure con regale dignità e in ottocenteschi endecasillabi, taglia la corda, ossia «schifft sich ein»: si imbarca sul suo vascello e salpa l’ancora, lasciando Policrate alla imminente catastrofe.

Peccato che la classe operaia mondiale non possa prenotare i primi posti alle nascenti -- dice la solita stampa -- agenzie di viaggi interplanetari, per lasciare al più presto questa borghese Terra, isola tremendamente felice nello spazio cosmico.

Ma non suona la stessa musica il Cancelliere dello Scacchiere Butler alla Camera dei Comuni; e la stessa musica non si suona nei paesi del Commonwealth ove antikeinesianamente si pigliano drastiche misure per deprimere il benessere, per passare gli anelli alla cassaforte della riserva metallica (a quando la raccolta delle «fedi» di benitesca memoria e di romano stile?), ed in Australia, ad esempio, si racconta che la collettività democratica non perdonerebbe a chi tentasse di infrangere le regole e di arrivare alla ricchezza. Ed infatti è colà ritenuto tacitamente di pessimo gusto avere altre pretese quando si sia arrivati a questo standard: una bella casa ove vivere comodamente e con una certa larghezza (senti senti, disoccupato indigeno, senza tetto e senza tutto italiota!) macchine da lavoro, automobile e camion, e un conto corrente in banca di qualche migliaio di ghinee!

In tutta l’area della sterlina la consegna è dunque: tenore di vita modesto, spendere poco, risparmiare, non investire, per evitare la rovina economica generale: logica capitalistica capovolta, rispetto all’America. Ma i più furbi siamo noi, noi i signoroni, a cui Alcide De Gasperi e Beppe Di Vittorio sciorinano rutilanti «piani d’investimenti». O che bazza, nell’area della lira. Ma che sarà mai quest'area? Ll’aria 'e mammeta? signori uomini politici?

In quel campo putrefatto che è l’arena parlamentare, è facile pensare che diavolo sarebbe avvenuto se i conservatori avessero dato un calcio alla politica laburista di austerità e alla tradizione di Cripps, gridando al cittadino britannico (come promesso nelle elezioni): consuma, spendi, mangia e bevi, americanamente! Fiumi di retorica sarebbero sgorgati dai banchi dell’opposizione di sua maestà, invocando la lesina. Adesso invece gli Attlee sono ridotti a gridare contro la lesina di Butler!

Ma questi non scherza davvero. Per comprimere i consumi si ricorre a mezzi dirigisti, senza alzare i prezzi, tanto gli inglesi hanno ormai votato per una politica economica liberista, e il gioco è fatto. Si leva una vera cortina di acciaio contro le importazioni, già decurtate di 350 milioni di sterline, per comprimerle di altri 170 milioni. Si impedirà che dall’America vengano sigarette per dodici milioni (venti miliardi circa di lire italiane) e dall’Italia per forse di più di prodotti ortofrutticoli: gli italiani, beati nella celebrazione decennale della liberazione, non diminuiranno di una cicca i 250 miliardi che mandano in fumo (sarà vero che è il solo sistema per coglionare lo stomaco?).

Di più Butler mette fuori diecimila statali; dà un altro taglio alle spese che l’inglese può fare all’estero, lasciando 25 sterline ad ognuno dei 250 mila turisti che vengono in Italia annualmente (ma i marines ce fanno fumà). Non basta: dà un terribile colpo d’arresto alla ricostruzione edilizia avviata nel dopoguerra in grande stile; ed infine il servizio medico e farmaceutico reso «gratuito» costerà ad ogni malato per ogni ricetta uno scellino.

Grande, alla scala internazionale e a quella interna, la razionalità dell’economia borghese e dell’intervento del borghese Stato! Nel meccanismo mercantile e monetario la parola «gratuito» significa: il povero cristo paga la stessa cosa due volte. Seguita a pagare la tassa sanitaria perché sta bene, e sborsa lo scellino perché si è ammalato.

Tutto uno studio meriterebbe la repressione del sistema di vendere a rate, diametralmente opposto alla tendenza americana. Il proletario-cliente va, o teorici della produzione industriale, incoraggiato col credito a comprare le vostre merci, o frenato?

Nella nostra chiave per i vostri cifrari negrieri, entrambi i metodi tendono ad uno stesso fine di classe: tentare di fargli credere che non è un paupero, un senza-riserva, in quanto la classe che ha il monopolio della ricchezza gli consente, o di detenere un po’ di arredamento, o di avere inscritto nelle cartoffie delle banche un tanto di credito verso lo Stato signore. Così resta inorganizzato, indifeso ed impotente davanti alle ventate di uragano dell’accumulazione e dell’espropriazione dei pezzenti, e nelle catastrofi in cui, dopo aver visto svanire il suo credito e il suo debito, solo col suo reale zero all’attivo, perde infine col suo corpo fisico le braccia che sole lo fanno mangiare, perde bocca e stomaco, e salva l’anima alla immortale compassione degli invidiosi numi.

Ieri

Nella prima parte del glorioso «Indirizzo inaugurale della Associazione Internazionale dei lavoratori» Carlo Marx parlò di te, nell’orgia e nel digiuno, perfida Albione.

«Lavoratori!
È una grande verità di fatto che la miseria delle classi operaie non è scemata negli anni che vanno dal 1848 al 1864, benché proprio questo periodo non abbia confronti negli annali della storia per riguardo allo sviluppo dell’industria e all’incremento del commercio. Nel 1850 un organo conservatore della borghesia britannica, per quanto fornito di conoscenze più che ordinarie (il «Times»), profetizzò che se il commercio di importazione e di esportazione dall’Inghilterra salisse del 50 per cento, il pauperismo, in Inghilterra, scenderebbe a zero!
Ma, ah, il 7 aprile 1864 il signore Gladstone, il cancelliere dello Scacchiere inglese, commosse il suo uditorio con la dimostrazione che l’importo complessivo dell’importazione ed esportazione inglese era salito a 444 milioni di sterline, una somma che equivaleva al triplo circa dell’importo del 1843, decorso relativamente da poco. Con tutto ciò egli fu obbligato ad occuparsi ancora della miseria sociale«
.

Fermiamoci a notare di passaggio che questo indice alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale si era di nuovo triplicato: 1500 milioni di sterline. Oggi si è ancora raddoppiato almeno: 3000 milioni. In 109 anni un venti volte di più; eppure si lotta contro la crisi, e il gottoso «Times» è in allarme grave. Va tenuto conto che la sterlina di oggi ha un potere di acquisto alquanto minore d’allora, comunque sotto Butler, dagh on taj!

Più oltre il Butler di allora è di nuovo chiamato in causa. Ne seguirà una famosa polemica contro il dottor Marx, per falso in citazione, e ancora nel 1890 il vecchio Gladstone interveniva per dare ragione all’accusatore Brentano (un socialdemocratico di destra, si capisce) e torto a Marx.

«Abbagliato dal 'progresso della nazione', illuso dalle cifre della statistica, il cancelliere dello Scacchiere esclama con selvaggia commozione: Negli anni 1843–1852 l’entrata imponibile del paese è cresciuta del 6 per cento; negli otto anni, che vanno dal 1853 al 1861 è cresciuta del 20 per cento rispetto all’entrata del 1853. Questo fatto è così stupefacente da essere quasi incredibile»«Questo aumento di forza e di potenza» – aggiunge il signor Gladstone«è limitato esclusivamente alle classi abbienti»

Su questa confessione del gran cancelliere il dottor Marx fondatore della Internazionale rivoluzionaria spiccò una tratta, ma il capitalismo borghese recalcitra ferocemente a pagarla e contesta di averla firmata. L’autenticità del titolo non sarà sottoposta a perizia di magistrature attuali o future, poiché non la risolverà un giudizio, ma la Forza.

Il falso di Marx -- ma se i falsi minassero e fottessero il capitalismo, viva i falsi -- sarebbe questo.

Gladstone non citava allora la statistica del reddito nazionale, nel cantare la canzone che oggi canta, come varie volte abbiamo visto, il Presidente Truman. La borghesia dominante era allora ancora in una certa misura sincera, e la sua scienza economica meno «disincantata». Oggi si cumula in una sola cifra il guadagno dei ricchi e la mercede dei poveri e il totale si chiama reddito della nazione, ossia del totale dei cittadini: qui ottomila miliardi di liracce, in America centinaia di miliardi ma di dollaroni, e Truman ci tira fuori il: tutti signori.

Allora si riconosceva che si chiama reddito quello di chi lo trae da una azienda, ossia dalla organizzazione dell’opera altrui, e i salari non sono reddito. Infatti non ha senso addizionare guadagni aziendali e salari quando già prima di Marx per gli economisti inglesi classici il conto era: sottraendo dal valore di tutto l’aumento di prodotto il salario pagato, resta il reddito.

L’onesto Gladstone disse quindi «The taxable income of the country», ossia l’entrata imponibile del paese, è cresciuta del 20 per cento. Siccome allora il salario degli operai dell’industria non era tassato, la statistica citata lasciava fuori la oscillazione di quanto incassa la classe operaia. Quindi il discorso voleva dire: gli abbienti hanno migliorato del venti per cento, ciò non ci dice di quanto abbiano migliorato i lavoratori, e Marx sarebbe stato in malafede nel dedurre: tutto il miglioramento sarebbe stato del 20 per cento in quegli otto anni, ma i possidenti se lo sono tutto pappato, gli operai hanno guadagnato lo stesso e forse meno.

Nel 1891 Engels dedica a questo dibattito una vasta pubblicazione documentaria, che malgrado i minuziosi dettagli chiarisce ancora una volta il senso della teoria centrale di Marx: il capitalismo non può generare ricchezza, senza generare miseria e morte.

Marx citò più volte Gladstone anche nel «Capitale», dimostrando che in successivi discorsi, tra molteplici contraddizioni, più e più volte ammise il disagio grave delle condizioni sociali dei lavoratori inglesi, malgrado la fase di prospera congiuntura. La fonte sono quasi sempre i resoconti del «Times» e non quelli ufficiali della stamperia di stato di Harvard. Questi erano fino da allora riveduti nelle bozze degli oratori, e il cancelliere tolse i passi in cui lo aveva vinto la foga oratoria. A questo si arrivava anche allora, che i microfoni non c’erano.

Il testo del «Times» continua così:
«Questo è un fatto così strano da essere quasi incredibile. Devo dire anzitutto che io guarderei quasi con spavento e con pena a questo intossicante aumento di ricchezza e di potenza se ritenessi che esso è limitato alla classi che sono in condizioni agiate. Ciò non ci da affatto notizia delle condizioni della popolazione lavoratrice. L’aumento che io ho descritto e che ritengo fondato su accurate determinazioni, è un aumento interamente circoscritto alle classi proprietarie (enterely confined to classes of property). Ora, l’aumento del capitale è di indiretto benefizio al lavoratore, perché fa divenire a più buon mercato i consumi che nello sviluppo della produzione toccano al lavoratore. (Udite, udite). Ma noi abbiamo questa profonda e devo dire inestimabile consolazione che mentre il ricco è andato diventando più ricco, il povero è divenuto meno povero. Io non presumo di dire che gli estremi di miseria siano minori di prima, tuttavia il tenore di vita del lavoratore inglese durante gli ultimi vent’anni è migliorato in tal grado, che noi ben possiamo dirlo senza esempio nella storia di questo paese di ogni epoca».

La famosa frase «limitato alle classi possidenti» sparisce poi nel resoconto ufficiale. Marx citando il «Times» provò di non averla «inventata». I filistei sostennero che egli l’avesse deformata nel significato, pretendendo che Gladstone avesse detto che la condizione dei lavoratori come altezza di salario era peggiorata.

Il fatto è che questo non aveva bisogno di dirlo nemmeno Marx. Alla data 1864 egli allinea ancora dati ufficiali circa il pessimo trattamento dei lavoratori inglesi. Tuttavia lo stesso «Indirizzo» dice più oltre:
«In tutti (gli altri paesi industriali) fu davvero inebriante l’aumento di ricchezza e di potenza limitato alle classi abbienti. In tutti, veramente, un piccolo numero di operai, al pari che in Inghilterra, ottenne una mercede un poco più elevata…».
E qui segue la riaffermazione della classica teoria della crescente miseria, non solo per l’aumento dei prezzi delle merci, ma per
«i letali effetti della peste sociale, che si chiama crisi del commercio e della industria».

E qui sovviene Engels con parole da maestro che vengono ancora una volta a spiegare il contenuto della teoria della miseria crescente, su cui a più riprese insistiamo, per chiudere la bocca a quelli dell’automobilina e della casetta con orticello.

«La sempre ripetuta affermazione del signor Brentano che la legislazione sociale e la organizzazione di mestiere sono atte a migliorare la condizione della classe operaia non è per nulla una sua particolare scoperta. Dalla «Situazione delle classi operaie in Inghilterra» e dalla «Miseria della filosofia» al «Capitale», Marx ed io abbiamo cento volte detto questo, ma con limitazioni molto più forti. In primo luogo, gli effetti benefici specialmente delle unioni di mestiere e di resistenza si limitano alle epoche di prospero o medio movimento di affari; nei periodi di ristagno o di crisi tali effetti vengono a mancare regolarmente; l’affermazione del signor Brentano che 'essi sono capaci di paralizzare gli infausti effetti dell’armata di riserva’ è una ridicola fanfaronata. E in secondo luogo né la protezione legislativa, né la resistenza delle unioni di mestiere (Gewerkschaft = sindacati) rimuovono la causa principale che deve venir soppressa: il rapporto del capitale che produce permanentemente il contrasto tra la classe capitalista e la classe salariata. La massa degli operai rimane condannata per tutta la vita al lavoro a salario, e il baratro fra essi e i capitalisti diviene più profondo e più largo, man mano che la grande industria si impadronisce di tutti i rami della produzione. Il signor Brentano amerebbe fare dello schiavo salariato uno schiavo salariato soddisfatto… ed ecco perché esagera sino a renderli colossali i benefizi della protezione del lavoro, dell’azione sindacale, e della rabberciatrice legislazione sociale!».

Ancora un passo, per battere in teste vicine, semivicine e lontane il chiodo: a dimostrare come stia bene in piedi la nostra dottrina rivoluzionaria della crescente miseria, non occorre affatto dimostrare (sarebbe impossibile) la tendenza generale alla discesa del salario o alla violazione del famoso minimo vitale.» sempre il limpido Engels, già ottuagenario.

«Poi ci viene messa di fronte improvvisamente la 'legge bronzea del salario’ di Lassalle, colla quale Marx ha evidentemente tanto a che fare quanto Brentano con l’invenzione della polvere pirica. Il signor Brentano dovrebbe sapere che Marx nel I Volume del «Capitale» si difende formalmente da ogni e qualsiasi responsabilità per qualunque conclusione finale di Lassalle, e che la legge del salario operaio viene rappresentata da Marx come una funzione con diverse variabili, e quindi molto elastica, tutt’altro che bronzea».

Esaltino o deprimano il «salario reale» e lo «standard di vita», i Gladstone, i Truman o i Butler non avranno fugato il fantasma della Catastrofe.

Oggi

La crisi della sfera britannica è giustamente definita da Corbino come una inevitabile e indilazionabile liquidazione dei danni di guerra, che hanno imperversato sull’Europa mentre l’America vi era quasi del tutto sottratta. Per rifare una immensa mole di attrezzature produttive bisogna investire fino all’ultimo soldo in materie prime e lavoro; vuotare le casse. Ciò porta alla esasperazione dei problemi valutari e i rapporti fra paese e paese. Gli economisti possono bene fare gettito di tutto il loro liberismo, chiamandolo con «pruderie» automatismo degli scambi, e dei cambi, ma ciò che non possono dire è che sul pasticcio valutario si fonda l’edifizio monumentale e spietato della moderna ultraspeculazione, che ormai muove il sole e l’altre stelle.

L’automatismo in tempo di prosperità, avanti la Prima Guerra Mondiale, non produceva gravi squilibri nei cambi. Così era possibile che la Gran Bretagna malgrado importasse assai più di quanto esportava non fosse debitrice dell’estero e avesse la moneta principe. Essa aveva esportato masse di capitale: ciò non vuol dire che avesse mandato oltre mare né macchine né merci primarie e nemmeno uomini, ma solo che aveva acquistato il diritto titolare su organizzazioni estere producenti ricchezze, per il che era bastato mandare in giro Drake, Nelson, e ogni tanto la Home Fleet.

Dopo la prima guerra le cose cambiarono e creditori del mondo divennero gli Stati Uniti; le carte di credito passarono alle loro banche e la sterlina fece una prima sdrucciolata rispetto al dollaro.

Piano piano si riprese ad andare avanti con l’automatismo. Non che non ci fossero gruppi parassitari, nel linguaggio dell’«Imperialismo» di Lenin, a guadagnare sul gioco valutario, ma forse bastava loro il dieci e non il cento per cento.

La nuova guerra spezzò l’automatismo e condusse ad un regolamento di imperio, di affitti e di prestiti. Il dopoguerra immediato vide gli americani propugnare il ritorno all’automatismo, all’acquisto in contanti, almeno per gradi, ma poi il riarmo ha rimesso tutto in forse. Rimedio una sigla: EPU, Unione europea dei pagamenti.

In Gran Bretagna, nel Canada, in Australia e così via hanno tutti fame di dollari, ma se danno in cambio le loro riserve di materie prime di oro e peggio se ipotecano il loro ingranaggio interno la sterlina se ne va a gambe per aria. Questo potrebbe non importare ai dominions se essi non avessero aiutata la Gran Bretagna nelle spese immense di guerra e di ricostruzione, restando di essa creditori in sterline. Buttandosi nell’area del dollaro, quel credito si evapora. Quanto al capitalismo inglese, la dura manovra di passare dalla testa alla coda lo pone a prove difficili, e non controllando ormai nell’antica misura risorse esterne, ossia non avendo da ritirare profitti dall’estero, se non vuol pagare deve ridurre gli acquisti e l’importazione.

A mano a mano che i grandi blocchi capitalistici assorbono i minori avviene evidentemente una rivoluzione valutaria. Alla soglia o nel cuore della terza guerra avremmo l’ingoiamento della sterlina nel dollaro, ma con ciò ogni autonomia, e non solo egemonia, inglese sarebbe finita, e per sempre.

Questi tremendi rompicapo dei giochi della valuta internazionale non tolgono nulla al fatto che il vero contrasto non è tra una economia nazionale e l’altra considerate come zone chiuse, ma tra il capitale internazionale e il lavoro umano sfruttato. Le acrobazie finanziarie della valuta tornano alla fine al centro che raccoglie, soprattutto in un controllo di forza politica, poliziesca, militare, le più grandi organizzazioni tecniche della produzione e le forze produttive: materie macchine ed uomini.

Il tentativo di togliere a questa gara imperiale su tutto il pianeta una zona, sia pure immensa e dotata di materiali, con una cinta invalicabile è destinato a fallire, e lo dimostra il fatto che si tratta pur sempre di una economia chiusa, ma monetaria. Nulla prova, che tra il rublo e le altre monete non vi sia alla luce del sole un tasso di scambio né automatico né convenzionale. E del resto non vediamo la Russia invitare ad una conferenza commercianti ed industriali dei paesi stranieri? A qual fine, se non di un investimento, pensabile solo come massiccio, di capitali traverso la cortina in lavorazioni entro cortina? E a dati tassi di cambio?

Le due illusioni controrivoluzionarie che si possa avviare la classe operaia di un paese ad un definitivo e progressivo benessere o con il flusso illimitato di scambi con l’estero (Gladstone e Truman) o con la costrizione entro un consumo interno di prodotti interni (Butler e Stalin) si integrano e si completano dialetticamente in una sola tesi: la liberazione della classe che lavora dallo sfruttamento dalla infelicità e dalla dispettosità di incartapecoriti numi si realizza solo spezzando l’inganno della economia monetaria e mercantile uscendo dai limiti della economia simbolica, sia il simbolo oro argento banconota o assegno bancario, per arrivare alla economia fisica, che conoscerà e risolverà problemi di materie macchine e uomini, e non di simboli, non più sensati e benefici degli antichi e maligni iddii.

Che fino a che vi è mercantilismo vi è capitalismo Marx lo dice in cento luoghi, ma soprattutto in una delle ultime pagine della «Critica dell’economia politica» ove fa la storia delle teorie sulla circolazione; storia che doveva poi trovare posto nella quarta parte del «Capitale», di cui restano solo frammenti postumi.» passo che va meditato, non essendo facile intendere le posizioni e rivendicazioni programmatiche rivoluzionarie nella esposizione critica di antiche dottrine.

Gli economisti borghesi sono accusati di non aver capito la importanza preponderante dello scambio tra merce e denaro. La scuola mercantilista e monetaria esaltava il fatto commerciale come generatore di ricchezza e non vedeva la potenza del lavoro umano soprattutto in massa, posta poi dalla economia borghese classica come pilastro del mondo moderno. Ciò derivava dal fatto che nel tempo feudale la maggior parte del prodotto era consumata dai produttori, e solo nel limitato campo dei commerci si profilava un mondo nuovo: dalla produzione per il consumo, alla produzione per lo scambio.

Ora, mai il capitalismo potrà divenire produzione per il consumo, mentre tale noi socialisti la vogliamo. E mai ciò avverrà, finché lavoro e merce si scambiano contro moneta.

«Nella sua critica della scuola monetaria e mercantile, l’economia politica (borghese) sbaglia grosso, combattendo essa questo sistema come una teoria falsa, come una illusione, e non riconoscendo che quella è la forma barbarica (primitiva) dei suoi stessi presupposti»«Anche in seno alla economia borghese più sviluppata… il sistema mercantile e il monetario mantengono i loro diritti».

Il passo scientificamente non è di facile digestione. Lo ravviva una immagine degna dell’autore.
«Il fatto cattolico che l’oro e l’argento come incarnazione immediata del lavoro sociale, è perciò come essenza della ricchezza astratta, stiano di fronte e di contro alle merci profane, offende naturalmente le point d’honneur protestante della economia borghese».

Più chiaro sarà traducendo la lingua del 1859 in quella del 1952.

La materialista e scettica economia capitalista negò il simbolo mercantile, e disse: la ricchezza non è danaro, ma è lavoro.

Quando vide le conseguenze inevitabili di questa analisi positiva, fece gettito di ogni principio di coerenza e di onore e ripiegò dietro i simboli medioevali, perché solo con essi poteva esprimere e giustificare il suo sfruttamento.

E non è caso che il falso socialismo in Russia abbia dovuto ricadere nella simbolica monetaria e mercantile, entro la quale non vi è che capitalismo, poco o molto sviluppato, e inchinandosi a questo fatto cattolico abbia al tempo stesso dovuto rialzare gli altari per tutti gli altri simboli già intaccati dalla eresia rivoluzionaria: la Patria, la Religione, la Pace mondiale e sociale, il Progresso verso il Benessere.

Benessere limitato, e subordinato alla intensa Produzione e al massimo Sforzo di lavoro. Troppo è il timore, in ogni Simbolica, in ogni Retorica, e in ogni Demagogica, di suscitare l’antichissima invidia dei Numi.


Source: «Battaglia Comunista» n. 3 del 1952

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