LISC - Libreria Internazionale della Sinistra Comunista
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TRACCIATO D’IMPOSTAZIONE


Content:

Tracciato d’impostazione
Il marxismo non è una scelta tra opinioni
In che senso i marxisti si collegano ad una tradizione storica
Incardimento del metodo dialettico marxista
Il contrasto tra le forze produttive e le forme sociali
Classe, lotta di classe, partito
Conformismo, riformismo, antiformismo
Interpretazione dei caratteri della fase storica contemporanea
Criterio dialettico di valutazione di istituti e di soluzioni sociali passati e presenti
La valutazione dialettica delle forme storiche
Esempio economico: mercantilismo
Esempio sociale: la famiglia
Esempio politico: monarchia e repubblica
Esempio ideologico: la religione cristiana
Il ciclo capitalistico
Fase rivoluzionaria
Fase evoluzionista e democratica
Fase imperialistica e fascista
La strategia proletaria nella fase della rivoluzione borghese
Tendenze del movimento socialista nella fase democratico-pacifista
Tattica proletaria nella fase del capitalismo imperialistico e del fascismo
La rivoluzione russa, errori e deviazioni della Terza Internazionale, involuzione del regime proletario russo
Impostazione attuale del problema della strategia proletaria
Source


Tracciato d’impostazione

Il marxismo non è una scelta tra opinioni

Questo scritto per evidenti motivi non contiene la dimostrazione di quanto afferma. Ha il compito di stabilire con la maggior chiarezza l’indirizzo della pubblicazione. Enuncia soltanto, in modo da fissare i cardini principali, e col fine di evitare confusione ed equivoci, involontari o organizzati.

Prima di convincere l’ascoltatore si tratta di fargli bene intendere la posizione di chi espone. La persuasione la propaganda il proselitismo vengono dopo.

Secondo il metodo qui seguito le opinioni non si stabiliscono per l’opera di profeti di apostoli di pensatori nelle cui teste nascano le nuove verità per guadagnare moltitudini di seguaci.

Il procedimento è tutto diverso. È il lavoro impersonale di una avanguardia dei gruppi sociali che enuclea e rende evidenti le posizioni teoriche verso cui i singoli sono portati, assai prima di averne la coscienza, dalle reali comuni condizioni in cui vivono. Il metodo dunque è antiscolastico, anticulturale, antilluministico.

Nella presente fase di smarrimento teorico, riflesso del disorganamento pratico, se la rimessa a punto della impostazione produce come primo risultato l’allontanamento e non l’avvicinamento di aderenti, non vi è da stupire o da rammaricare.

In che senso i marxisti si collegano ad una tradizione storica

Ogni movimento politico nel presentare le sue tesi si richiama a precedenti storici ed in certo senso a tradizioni recenti o remote, nazionali o internazionali.
Anche il movimento di cui questa rivista è l’organo teorico si richiama a ben determinate origini. Ma a differenza di altri non parte da un verbo rivelato che si attribuisca a fonti sopraumane, non riconosce l’autorità di testi scritti immutabili, e nemmeno ammette canoni giuridici filosofici o morali a cui risalire nello studio di ogni questione, che si pretendano comunque insiti o immanenti nel modo di pensare e sentire di tutti gli uomini.

Sono accettabili per denominare questo orientamento i termini di marxismo, socialismo, comunismo, movimento politico della classe proletaria. Il male è che di tutti i termini si è fatto ripetutamente impiego abusivo. Lenin considerò nel 1917 richiesta fondamentale il mutamento del nome del partito, ritornando a quello comunista del «Manifesto» del 1848. Oggi l’immenso abuso fatto del nome di comunisti da partiti che sono fuori di ogni linea rivoluzionaria e classista crea ancor maggiore confusione; movimenti squisitamente conservatori degli istituti borghesi osano dirsi partiti del proletariato; il termine di marxisti è impiegato a definire i più assurdi agglomerati di partiti quali quelli dell’antifranchismo spagnolo.

La linea storica a cui si fa qui richiamo è la seguente: il «Manifesto dei Comunisti» del 1848 (intitolato anche esattamente «Manifesto del Partito Comunista», senza aggiunta di nome di nazione); i testi fondamentali di Marx ed Engels; la classica restaurazione del marxismo rivoluzionario contro tutti i revisionismi opportunisti, che accompagnò la vittoria rivoluzionaria in Russia, e i testi fondamentali leninisti; le dichiarazioni costitutive della Internazionale di Mosca nel I e II Congresso; le posizioni sostenute dalla sinistra nei congressi successivi dal 1922 in poi.

Limitatamente all’Italia, la linea storica si ricollega alla corrente di sinistra del Partito Socialista durante la guerra 1914–18, alla costituzione del Partito Comunista d’Italia a Livorno nel gennaio 1921, al suo congresso di Roma 1922, alle manifestazioni della sua corrente di sinistra prevalente fino al congresso di Lione nel 1926, e successivamente fuori del partito e del Comintern e all’estero.

Questa linea non coincide con quella del movimento trotzkista della IV Internazionale. Tardivamente Trotzky e più tardivamente Zinoviev, Kamenev, Bucharin e gli altri gruppi russi della tradizione bolscevica, reagirono alla tattica errata che fino al 1924 avevano sostenuta e riconobbero che la deviazione si aggravava fino a travolgere i principii politici fondamentali del movimento. I trotzkisti di oggi si richiamano alla restaurazione di quei principii, ma non hanno chiaramente rigettati gli elementi dissolventi della tattica «manovristica» falsamente definita come bolscevica e leninista.

Incardimento del metodo dialettico marxista

Base di ogni ricerca deve essere la considerazione di tutto il processo storico che fin qui si è svolto e l’esame obiettivo dei fenomeni sociali presenti.
Il metodo è stato più volte enunciato, ma molto spesso si travia nel corso della sua applicazione. Il fondamento dell’indagine viene portato sull’esame dei mezzi materiali con cui gli aggregati umani provvedono alla soddisfazione dei loro bisogni, la tecnica produttiva, quindi, e con lo sviluppo di essa i rapporti di natura economica.
Questi fattori determinano nelle varie epoche la sovrastruttura degli istituti giuridici, politici, militari, e i caratteri delle ideologie dominanti.

Questo metodo è ben definito dalle espressioni di materialismo storico, materialismo dialettico, determinismo economico, socialismo scientifico, comunismo critico.

L’importante è di impiegare sempre risultanze positive di fatto e di non postulare l’intervento, per rappresentare e spiegare i fatti umani, né di miti o divinità, né di principii di «diritto» e «etica» naturali, come possono essere la Giustizia, l’Eguaglianza, la Libertà, la Fratellanza e simili vuote astrazioni. Più importante ancora è di non postulare questi e altri simili illusori preconcetti senza accorgersene o senza confessarlo, e per effetto delle irresistibili influenze della ideologia dominante, e di non lasciarli riaffiorare proprio quando si tratta dei momenti più scottanti e delle conclusioni decisive.

Il metodo dialettico è il solo che supera la corrente contraddizione tra la rigorosa continuità e coerenza teorica, e la capacità di riaffrontare criticamente qualunque vecchia conclusione stabilizzata in termini e canoni formali.

La sua accettazione non ha il carattere di una fede né di una posizione passionale di scuola o di parte.

Il contrasto tra le forze produttive e le forme sociali

Le forze produttive, che consistono principalmente negli uomini adibiti a produrre e nei loro aggruppamenti, e inoltre negli utensili e mezzi meccanici di cui sono in grado di avvalersi, agiscono nel quadro delle forme della produzione.
Per tali forme si intendono gli ordinamenti, i rapporti di dipendenza nei quali si svolge l’attività produttiva e sociale. In tali forme si comprendono tutti i sistemi costituiti di gerarchie (familiari, militari, teocratiche, politiche), lo stato e tutti i suoi organismi, il diritto e i tribunali che lo applicano, le regole e gli ordinamenti tutti, di natura economica e giuridica, che oppongono resistenza ad essere trasgrediti.
Un tipo di società vive fin quando le forze produttive restano costrette nei quadri delle forme della produzione. In dati momenti della storia questo equilibrio tende a rompersi. Svariate cause, tra cui i progressi della tecnica, il crescere delle popolazioni, l’estendersi delle comunicazioni, incrementano le forze produttive. Queste vengono in contrasto con le forme tradizionali, tendono a spezzare il cerchio, e quando vi riescono si ha una rivoluzione: la comunità si ordina in nuovi rapporti economici, sociali e giuridici, forme nuove prendono il posto delle antiche.

Il metodo dialettico marxista trova, applica e convalida le sue soluzioni alla scala dei grandi fenomeni collettivi con metodo scientifico e sperimentale (quello stesso metodo che i pensatori dell’epoca borghese applicarono al mondo naturale con una lotta che era il riflesso della lotta sociale rivoluzionaria contro i regimi teocratici e assolutisti, ma che non potevano osare di spingere alle applicazioni sociali). Esso deduce dai risultati acquisiti in tale campo le soluzioni del problema del comportarsi dell’individuo singolo, mentre invece tutte le scuole avversarie, religiose, giuridiche, filosofiche, economiche, procedono in senso inverso. Costruiscono cioè le norme del comportamento collettivo sulla base inconsistente di questo mito dell’Individuo, sia esso presentato come anima personale immortale, sia affermato come soggetto di diritto e Cittadino, sia studiato come monade immutabile della prassi economica, e via via (oggi che la scienza fisica ha proseguito oltre la sua fecondissima ipotesi degli individui materiali, indivisibili, gli atomi, li ha definiti come ricchi complessi, e ridotti non tanto ad ulteriori monadi-tipo incorruttibili, quanto a punti di incontro di tutta la dinamica radiante dei campi energetici esteriori, sicché schematicamente si può dire che non è il cosmo funzione degli uni, ma qualunque uno è funzione di tutto il cosmo).

Chiunque crede nell’individuo e parla di personalità, di dignità, di libertà, di responsabilità dell’uomo o del cittadino, non deve aver nulla a che fare col pensiero marxista. Gli uomini non sono messi in movimento da opinioni o confessioni o comunque da fenomeni del cosiddetto pensiero, da cui siano ispirate la loro volontà e la loro azione. Sono indotti a muoversi dai loro bisogni, che prendono il carattere di interessi quando la stessa esigenza materiale sollecita parallelamente interi gruppi. Si urtano contro le limitazioni che l’ambiente e la struttura sociale pongono alla soddisfazione di tali esigenze. E reagiscono singolarmente e collettivamente, in un senso che nella grande media è necessariamente determinato, prima che il gioco degli stimoli e delle reazioni abbia fatto nascere nella loro testa i riflessi che si chiamano sentimenti, pensieri, giudizi.

Il fenomeno è ovviamente di estrema complessità e può nel caso singolo andare in controsenso alla legge generale che è pur giustificato stabilire.

Comunque non ha diritto di dirsi marxista chi fa intervenire come causa motrice nel gioco dei fatti sociali e storici la coscienza individuale, i principii morali, l’opinione e la decisione del singolo o del cittadino.

Classe, lotta di classe, partito

Il contrasto tra le forze produttive e le forme sociali si manifesta come lotta tra le classi aventi opposti interessi economici; questa lotta nelle fasi culminanti diviene contesa armata per la conquista del potere politico.

Classe nel senso marxista non è fredda constatazione statistica, ma forza organica operante, ed appare quando la semplice concomitanza di condizioni economiche e di interessi sfocia in una azione e in una lotta comune.

In queste situazioni, il movimento è condotto da aggruppamenti e organismi di avanguardia, di cui la forma sviluppata e moderna è il partito politico di classe. La collettività la cui azione culmina in quella di un partito si muove nella storia con una efficienza ed una dinamica reale irraggiungibili nel cerchio ristretto dell’azione individuale.

È il partito che perviene ad avere una coscienza teoretica dello sviluppo degli eventi ed una conseguente influenza sul divenire di essi nel senso disposto dalla determinante delle forze produttive e dei rapporti tra esse.

Conformismo, riformismo, antiformismo

Al fine di una presentazione di principii e direttive, la quale, malgrado la tremenda difficoltà e complessità delle questioni, non può farsi senza ricorrere a schemi semplificativi, si ravvisano tre tipi storici di movimenti politici nei quali possiamo classificarli tutti.
Conformisti sono quei movimenti che combattono per conservare integre le forme e gli istituti vigenti, vietandone ogni trasformazione, e richiamandosi ad immutabili principii, siano essi presentati in veste religiosa, filosofica o giuridica.
Riformisti sono i movimenti che, pur non chiedendo di sconvolgere bruscamente e violentemente gli istituti tradizionali, avvertono che le forze produttive premono troppo fortemente, e propugnano graduali e parziali modificazioni nell’ordine vigente.
Rivoluzionari (e adotteremo il termine provvisorio di antiformisti) sono i movimenti che proclamano ed attuano l’assalto alle vecchie forme, ed anche prima di saper teorizzare i caratteri del nuovo ordine, tendono a spezzare l’antico, provocando il nascere irresistibile di forme nuove.

Ogni schematizzazione presenta pericoli di errore. Si può domandare se la dialettica marxista non conduca a sua volta a costruire un artificioso modello generale delle vicende storiche, riducendo tutto lo sviluppo ad una successione nel dominio di classi che nascono rivoluzionarie, vivono riformiste e finiscono conservatrici. Il termine suggestivo posto a tale vicenda dall’avvento, con la classe proletaria e la sua vittoria rivoluzionaria, della società senza classi (la nota uscita dalla preistoria umana di Marx) può apparire un costrutto finalistico e quindi metafisico come quelli delle fallaci ideologie del passato. Hegel, come appunto Marx denunziò, ridusse il suo sistema dialettico ad una costruzione assoluta, ricadendo inconsciamente in quella metafisica che nella parte demolitrice della sua critica (riflesso filosofico della lotta rivoluzionaria borghese) aveva superata.

Con ciò Hegel, a coronamento della filosofia classica dell’idealismo tedesco, e del pensiero borghese, collocava la tesi assurda che la storia dell’azione e del pensiero doveva fermarsi cristallizzata nel suo perfetto sistema, nella conquista dell’Assoluto. Un simile punto statico di arrivo è dalla dialettica marxista eliminato.

Tuttavia, Engels nella sua classica presentazione del socialismo scientifico (come contrapposto all’utopismo, che affidava il rinnovamento sociale alla propaganda per l’adozione di un progetto di società migliore proposto da un autore o da una setta) sembrerebbe ammettere una regola e legge generale del movimento storico quando usa espressioni come quelle: v’è movimento in avanti; il mondo cammina. Tali vigorose formule di propaganda non devono far credere che si sia trovata una ricetta in cui si possano chiudere tutti gli infiniti sviluppi del divenire della società umana, ricetta che prenda il posto dei soliti astrattismi borghesi di evoluzione civiltà progresso e simili.

Il meraviglioso benefizio dell’arma dialettica di ricerca è anch’esso essenzialmente rivoluzionario; si estrinseca nella implacabile distruzione degli innumerevoli sistemi teorici che a volta a volta rivestono le impalcature di dominio delle classi privilegiate. A questo cimitero di idoli infranti dobbiamo sostituire non un nuovo mito, un nuovo verbo, un nuovo credo, ma solo le espressioni realistiche di una serie di rapporti tra le condizioni di fatto e i loro meglio calcolabili sviluppi.

Per dare di ciò un esempio: la corretta formulazione marxista non è: Un giorno il proletariato prenderà il potere politico, distruggerà il sistema sociale capitalistico, e costruirà l’economia comunista; ma è invece: Soltanto mediante la sua organizzazione in classe, ossia in partito politico, e l’instaurazione armata della sua dittatura il proletariato potrà distruggere il potere e l’economia capitalistici e rendere possibile una economia non capitalistica e non mercantile.

Scientificamente non possiamo escludere una diversa fine della società capitalistica, come potrebbe essere il ritorno nella barbarie, una catastrofe mondiale dovuta a mezzi bellici avente ad esempio il carattere di una degenerazione patologica della razza (i ciechi e i condannati alla dissoluzione radioattiva dei tessuti di Hiroshima e Nagasaki ammoniscono) o altra non desumibile dai dati di fatto di oggi.

Interpretazione dei caratteri della fase storica contemporanea

Criterio dialettico di valutazione di istituti e di soluzioni sociali passati e presenti

Il movimento rivoluzionario comunista di quest'epoca convulsa dev'essere caratterizzato non solo dalla demolizione teorica di ogni conformismo e di ogni riformismo del mondo contemporaneo: ma anche dalla posizione pratica e come suol dirsi tattica che non vi è più strada da fare insieme con qualunque movimento, conformista o riformista, nemmeno in settori e tempi limitati. Soprattutto, esso si deve fondare sulla acquisizione storica irrevocabile che il capitalismo borghese ha ormai esaurito ogni slancio antiformista, ossia non ha più alcun compito storico generale di demolizione di forme precapitalistiche e di resistenza a loro minacciati ritorni.
Con ciò non si nega che, fino a quando le possenti forze del divenire capitalistico, che hanno accelerato a ritmo inaudito la trasformazione del mondo, agivano in tali rapporti, il movimento della classe proletaria potesse e dovesse, dialetticamente, condannarle in dottrina ed appoggiarle, nell’azione.

Una differenza essenziale tra il metodo metafisico e quello dialettico nella storia sta in questo. Ogni tipo di istituzione e di ordinamento sociale e politico non è di per se stesso buono o cattivo, da accettare o da respingere, secondo l’esame delle sue caratteristiche in base a canoni e principii generali.

Secondo l’interpretazione dialettica della storia, ciascun istituto ha avuto nelle successive situazioni compiti ed effetti rivoluzionari, progressivi, conservatori. Si tratta, per ciascuna posizione del problema, di porre al loro posto le forze produttive ed i fattori sociali deducendone il senso del conflitto politico che ne è l’espressione.

È metafisica dichiararsi per principio autoritari o libertari, monarchici o repubblicani, aristocratici o democratici, e risalire nella polemica a canoni posti fuori dalle congiunture storiche. Già il vecchio Platone nel primo tentativo sistematico di scienza politica supera l’assolutismo mistico dei principii, e lo segue Aristotele distinguendo fra i tre tipi – potere di uno, di pochi, di molti – le forme buone e quelle cattive: monarchia e tirannide – aristocrazia ed oligarchia – democrazia e demagogia.

La moderna analisi, soprattutto dopo Marx, va molto più a fondo.

Nella attuale fase storica, la quasi totalità delle enunciazioni e delle propagande politiche utilizza i peggiori motivi tradizionali di tutte le superstizioni religiose giuridiche e filosofiche.

Va contrapposto a tutto questo caos di idee, proiezione nella testa degli uomini contemporanei del caos dei rapporti di interessi in una società che si decompone, l’analisi dialettica dei rapporti delle reali forze oggi in gioco.

Per introdurre questa, va richiamata una analoga valutazione riferita a ben noti rapporti propri di epoche storiche precedenti.

La valutazione dialettica delle forme storiche

Esempio economico: mercantilismo

Incominciando dalle forme economiche, non ha alcun senso il parteggiare in modo generale per una economia comune o privata, liberistica o monopolistica, individuale o collettiva, e vantare i pregi di ciascun sistema ai fini del benessere generale: così facendo si cadrebbe nell’utopia, che è l’esatto rovescio della dialettica marxista.
È noto in Engels il classico esempio del comunismo come «negazione della negazione». Le prime forme di produzione umana furono comunistiche, indi sorse la proprietà privata, che rappresentò un sistema molto più complesso ed efficiente. Da questa la società umana ritorna al comunismo. Questo comunismo moderno sarebbe irrealizzabile se il comunismo iniziale non fosse stato superato, sconfitto e distrutto dal sistema della proprietà privata. Il marxista considera un vantaggio e non un danno questo trapasso iniziale. Ciò che si dice del comunismo si può dire di tutte le altre forme economiche come lo schiavismo, la servitù della gleba, il capitalismo manifatturiero, industriale, monopolistico, e così via.

L’economia mercantile, per cui gli oggetti suscettibili di soddisfare i bisogni umani cessarono, all’uscita dalla barbarie, di essere direttamente acquisiti e consumati dall’occupante o dal primitivo produttore e divennero suscettibili di essere scambiati dapprima tra loro, nella forma del baratto, e in seguito con un equivalente comune monetario, costituì al suo apparire storico una grandiosa rivoluzione sociale.

Si rese così possibile l’adibire i diversi uomini a diversi lavori produttivi, ampliando e differenziando enormemente i caratteri della vita sociale. Si può al tempo stesso riconoscere questo trapasso ed affermare che, dopo una serie di tipi di organizzazione economica, tutti basati sul comune principio mercantile (schiavismo, feudalesimo, capitalismo ecc.), si tende oggi ad una economia non mercantile, e che la tesi secondo la quale la produzione sarebbe impossibile al di fuori del meccanismo dello scambio monetario delle merci, è oggi una tesi conformista e reazionaria.

L’abolizione del mercantilismo si può sostenere oggi ed oggi soltanto in quanto lo sviluppo del lavoro associato e la concentrazione delle forze produttive, che il capitalismo, ultima delle economie mercantili, ha procurato, rende possibile di spezzare i limiti per cui tutti i beni di uso circolano come merci e lo stesso lavoro umano è trattato come una merce.

Un secolo prima di questo stadio, sarebbe stata pura follia una critica del sistema mercantilistico basata su ragionamenti generali a sfondo filosofico, giuridico, morale.

Esempio sociale: la famiglia

I vari tipi di aggregati sociali successivamente apparsi, attraverso i quali la vita collettiva si è differenziata dal primitivo individualismo animale, percorrendo un immenso ciclo che ha sempre più complicato i rapporti nei quali vive e si muove il singolo, non possono, singolarmente presi, venir giudicati favorevolmente o sfavorevolmente, ma debbono essere considerati in rapporto alla successione e allo svolgimento storico che ha dato ad essi un compito mutevole nelle successive trasformazioni e rivoluzioni.
Ciascuno di tali istituti sorge come una conquista rivoluzionaria, si svolge e si riforma in lunghi cicli storici, diviene infine un ostacolo reazionario e conformista.

L’istituto della famiglia appare come prima forma sociale quando, nella specie umana, il legame tra i genitori e la prole si sposta molto più oltre dell’epoca in cui esiste per necessità fisiologica. Nasce la prima forma di autorità, che la madre e poi il padre esercitano sui discendenti, anche quando questi sono fisicamente individui completi e forti. Siamo anche qui in presenza di una rivoluzione, poiché appare la prima possibilità di un’organizzazione di vita collettiva e si stabilisce la base degli ulteriori sviluppi che condurranno alle prime forme di società organizzata e di stato.

Divenuta nelle lunghe successive fasi sempre più complessa la vita sociale, l’interessamento e l’autorità di un uomo sull’altro si estende ben oltre i limiti della parentela e del sangue. Il nuovo più vasto aggregato contiene e disciplina l’istituto della famiglia, come avviene nelle prime città, negli stati, nei regimi aristocratici, poi in quello borghese, fondati tutti sull’istituto-feticcio dell’eredità.

Quando si pone l’esigenza di una economia che superi il gioco degli interessi individuali, l’istituto della famiglia, con i suoi limiti troppo angusti, diventa un ostacolo ed un elemento reazionario nella società.

Senza quindi averne negata la funzione, i comunisti moderni, dopo aver notato che già il sistema capitalistico ha deformato e sconnesso la decantata «santità» di questo istituto, lo combattono apertamente e si propongono di sopprimerlo.

Esempio politico: monarchia e repubblica

Le varie forme di stati, come monarchia e repubblica, si avvicendano nella storia in modo complicato e possono entrambe aver rappresentato energie rivoluzionarie, progressive, e conservatrici, nelle varie situazioni storiche. Pur potendosi ammettere in modo generale che probabilmente il regime capitalistico prima della sua caduta perverrà a liquidare i regimi dinastici oggi superstiti, anche in questa questione non si giudica per assoluti che stanno fuori dello spazio e del tempo.
Le prime monarchia sorsero come espressione politica di una divisione di compiti materiali: taluni elementi dell’aggregato di famiglie o tribù primitive si assunsero – mentre gli altri attendevano alla caccia, alla pesca, all’agricoltura, al primo artigianato – la difesa con le armi contro altri gruppi o altri popoli, o anche la preda armata dei beni di questi ultimi, e i primi guerrieri e re fondarono su maggiori rischi il privilegio del potere. Si tratta anche qui dell’avvento di forme più sviluppate e complesse, che altrimenti erano impossibili, e quindi di una delle vie che condussero ad una rivoluzione nei rapporti sociali.
In fasi successive l’istituto monarchico rese possibile la costituzione e lo sviluppo delle vaste organizzazioni statali nazionali contro il federalismo di satrapi e signorotti, ed ebbe funzione innovatrice e riformatrice. Dante è il grande riformista monarchico allo schiudersi del tempo moderno.
Più recentemente la monarchia si è prestata in molti paesi – ma non meno vi si è prestata la repubblica – a rivestire le forme più strette del potere di classe della borghesia.

Possono esservi stati movimenti e partiti repubblicani con carattere rivoluzionario, altri con carattere riformista, altri con carattere nettamente conservatore.

Per restare ad esempi accessibili e semplificabili, fu rivoluzionario Bruto «che cacciò Tarquinio», furono riformisti i Gracchi, che cercarono di dare alla repubblica aristocratica un contenuto conforme agli interessi della plebe, furono conformisti e reazionari i repubblicani tradizionali come Catone e Cicerone, che contrastarono il grandioso sviluppo storico costituito dall’espansione dell’Impero romano e delle sue forme giuridiche e sociali nel mondo. La questione è completamente falsata quando si ricorre ai luoghi comuni sul cesarismo, la tirannide o, all’opposto, sui sacri principii delle libertà repubblicane e simili motivi retorico-letterari.

Tra gli esempi moderni basta considerare come tipi antiformista, riformista e conformista le tre Repubbliche francesi del '93, del '48 e del '71.

Esempio ideologico: la religione cristiana

I riflessi delle crisi delle forme economiche si hanno non solo negli istituti sociali e politici, ma anche nelle credenze religiose e nelle opinioni filosofiche.
Ogni posizione giuridica, confessionale o filosofica, va considerata in relazione alle situazioni storiche ed alle crisi sociali, ed è stata volta a volta bandiera rivoluzionaria, progressiva o conformista.

Antiformista e rivoluzionario per eccellenza fu il movimento che porta il nome di Cristo.

L’affermazione che in tutti gli uomini è un’anima di origine divina e destinata all’immortalità, qualunque ne sia la posizione sociale o di casta, era l’equivalente dell’insorgere rivoluzionario contro le forme oppressive e schiavistiche dell’antico Oriente. Fin quando la legge ammette che la persona umana possa essere considerata come una merce, oggetto di compravendita al pari di un animale, e quindi tutte le prerogative giuridiche di uomini liberi e cittadini sono monopolio di una sola classe, l’affermazione dell’uguaglianza dei credenti era una parola di battaglia che urtava implacabilmente contro la resistenza degli ordinamenti teocratici dei giudei, aristocratici e militari di altri stati dell’antichità.

Dopo lunghe fasi storiche e dopo l’abolizione dello schiavismo, il cristianesimo diviene religione ufficiale e cardine dello stato. Esso vive il suo ciclo riformista nella Europa dei tempi moderni come espressione di una lotta contro l’eccessivo aderire della chiesa ai ceti sociali più privilegiati ed oppressivi.

Oggi non vi può essere ideologia più conformista di quella cristiana, che già nell’epoca della rivoluzione borghese fu la più potente arma organizzativa e dottrinale per la resistenza dei vecchi regimi.

Oggi il potente reticolato chiesastico e la suggestione religiosa, riconciliati e concordati ufficialmente ovunque col sistema capitalistico, sono impegnati come difesa fondamentale contro la minaccia della rivoluzione proletaria.

Nei rapporti sociali di oggi, essendo ormai una vecchia conquista quella che fa di ogni singolo individuo una ditta economica con la possibilità teorica di avere un attivo e un passivo, la superstizione che traccia attorno ad ogni singolo il cerchio chiuso del bilancio morale di tutte le sue azioni e lo proietta nell’illusione di una vita d’oltretomba, non è che la proiezione nel cervello degli uomini dello stesso carattere borghese della presente società, fondata sulla economia del privato.

Non è possibile condurre la lotta per spezzare i limiti di una economia a ditte private e a bilanci individuali, senza prendere in maniera aperta una posizione antireligiosa e anticristiana.

Il ciclo capitalistico

Fase rivoluzionaria

La borghesia capitalistica moderna ha già presentato nei principali paesi tre fasi storiche caratteristiche.
La borghesia appare come classe apertamente rivoluzionaria e conduce una lotta armata per rompere le forme dell’assolutismo feudale e clericale, vincoli che legano le forze lavoratrici dei contadini alla terra e quelle degli artigiani al corporativismo medioevale.
L’esigenza della liberazione da questi vincoli coincide con quella dello sviluppo delle forze produttive che, con le risorse della tecnica moderna, tendono a concentrare i lavoratori in grandi masse.
Per dare un libero sviluppo a queste nuove forme economiche, occorre abbattere con la forza i regimi tradizionali. La classe borghese non solo conduce la lotta insurrezionale, ma attua dopo la prima vittoria una ferrea dittatura per impedire la riscossa di monarchici, feudatari e gerarchie ecclesiastiche.

La classe capitalistica appare nella storia come una forza antiformista e le sue energie imponenti la conducono ad infrangere tutti gli ostacoli, materiali e ideali; i suoi pensatori rovesciano gli antichi canoni e le antiche credenze nella maniera più radicale.

Alle teorie dell’autorità per diritto divino si sostituiscono quelle dell’eguaglianza e libertà politica, della sovranità popolare, e si proclama l’esigenza di istituti rappresentativi, pretendendo che, grazie a questi, il potere sia espresso dalla volontà collettiva liberamente manifestata.

Il principio liberale e democratico in questa fase appare nettamente rivoluzionario ed antiformista, tanto più che esso non è realizzato per vie pacifiche e legalitarie, ma trionfa attraverso la violenza e il terrore rivoluzionario, e viene difeso da ritorni restauratori con la dittatura della classe vincitrice.

Fase evoluzionista e democratica

Nella seconda fase, stabilizzatosi ormai il sistema capitalistico, la borghesia si proclama esponente del migliore sviluppo e del benessere di tutta la collettività sociale e percorre una fase relativamente tranquilla di svolgimento delle forze produttive, di conquista al proprio metodo di tutto il mondo abitato, di intensificazione di tutto il ritmo economico. Questa è la fase progressiva e riformista del ciclo capitalistico.

Il meccanismo democratico parlamentare in questa seconda fase borghese vive parallelamente all’indirizzo riformista, interessando alla classe dominante di far risultare il proprio ordinamento come suscettibile di esplicare e manifestare gli interessi e le rivendicazioni delle classi lavoratrici. I suoi governanti sostengono di poterli soddisfare con provvidenze economiche e legislative che tuttavia lascino sussistere i cardini giuridici del sistema borghese. Parlamentarismo e democrazia non hanno più il carattere di parole d’ordine rivoluzionarie, ma assumono un contenuto riformista che assicura lo sviluppo del sistema capitalistico, scongiurando urti violenti ed esplosioni della lotta di classe.

Fase imperialistica e fascista

La terza fase è quella del moderno imperialismo, caratterizzato dalla concentrazione monopolistica dell’economia, dal sorgere dei sindacati e trust capitalistici, dalle grandi pianificazioni dirette dai centri statali. L’economia borghese si trasforma e perde i caratteri del classico liberismo, per cui ciascun padrone d’azienda era autonomo nelle sue scelte economiche e nei suoi rapporti di scambi. Interviene una disciplina sempre più stretta della produzione e della distribuzione; gli indici economici non risultano più dal libero gioco della concorrenza, ma dall’influenza di associazioni fra capitalisti prima, di organi di concentrazione bancaria e finanziaria poi, infine direttamente dello stato. Lo stato politico, che nell’accezione marxista era il comitato di interessi della classe borghese e li tutelava come organo di governo e di polizia, diviene sempre più un organo di controllo e addirittura di gestione dell’economia.
Questa concentrazione di attribuzioni economiche nelle mani dello stato può essere scambiata per un avviamento dall’economia privata a quella collettiva solo se si ignori volutamente che lo stato contemporaneo esprime unicamente gli interessi di una minoranza e che ogni statizzazione svolta nei limiti delle forme mercantili conduce ad una concentrazione capitalistica che rafforza e non indebolisce il carattere capitalistico dell’economia. Lo svolgimento politico dei partiti della classe borghese in questa fase contemporanea, come fu chiaramente stabilito da Lenin nella critica dell’imperialismo moderno, conduce a forme di più stretta oppressione, e le sue manifestazioni si sono avute nell’avvento dei regimi che sono definiti totalitari e fascisti. Questi regimi costituiscono il tipo politico più moderno della società borghese e vanno diffondendosi attraverso un processo che diverrà sempre più chiaro in tutto il mondo. Un aspetto concomitante di questa concentrazione politica consiste nello assoluto predominio di pochi grandissimi stati a danno dell’autonomia degli stati medi e minori.

L’avvento di questa terza fase capitalistica non può essere confuso con un ritorno di istituti e forme precapitalistici, poiché si accompagna ad un incremento addirittura vertiginoso della dinamica industriale e finanziaria, ignoto qualitativamente e quantitativamente al mondo preborghese. Il capitalismo ripudia di fatto l’impalcatura democratica e rappresentativa e costituisce centri di governo assolutamente dispotici. In alcuni paesi, esso ha già teorizzata e proclamata la costituzione del partito unico totalitario e la centralizzazione gerarchica; in altri, continua ad adoperare le parole d’ordine democratiche ormai vuote di contenuto, ma procede inesorabilmente nello stesso senso.

La posizione essenziale di una esatta valutazione del processo storico contemporaneo è questa: l’epoca del liberalismo e della democrazia è chiusa e le rivendicazioni democratiche, che ebbero già carattere rivoluzionario, indi progressivo e riformista, sono oggi anacronistiche e prettamente conformistiche.

La strategia proletaria nella fase della rivoluzione borghese

Corrispondentemente al ciclo del mondo capitalistico ne abbiamo uno del movimento proletario.
Fin dall’inizio del formarsi di un grande proletariato industriale si comincia a costruire una critica delle enunciazioni economiche, giuridiche e politiche borghesi e si teorizza la scoperta che la classe borghese non libera ed emancipa l’umanità, ma sostituisce il proprio dominio di classe ed il proprio sfruttamento a quello di altre classi che la precedettero.
Tuttavia, i lavoratori in tutti i paesi non possono non combattere a fianco della borghesia per il rovesciamento degli istituti feudali e non cadono nelle suggestioni di un socialismo reazionario che, con lo spettro del nuovo spietato padrone capitalistico, chiama gli operai ad una alleanza con le classi dirigenti monarchiche e terriere.
Anche nelle lotte che i giovani regimi capitalistici svolgono per rintuzzare i ritorni reazionari, il proletariato non può rifiutare il proprio appoggio alla borghesia.

Una prima impostazione della strategia di classe del nascente proletariato è la prospettiva di realizzare moti antiborghesi sullo slancio della stessa lotta insurrezionale condotta al fianco della borghesia, raggiungendo in modo immediato la liberazione dall’oppressione feudale e dallo sfruttamento capitalistico.

Una manifestazione embrionale si ha fin dalla grande rivoluzione francese con la «Lega degli Eguali» di Babeuf. Teoricamente il movimento è del tutto immaturo, ma resta significativa la lezione storica dell’implacabile repressione che la borghesia giacobina vittoriosa esercita contro gli operai che avevano combattuto con essa e per i suoi interessi. Alla vigilia dell’ondata rivoluzionaria borghese e nazionale del 1848 la teoria della lotta di classe è già maturamente elaborata, essendo ormai chiari su scala europea e mondiale i rapporti tra borghesi e proletari.

Marx, nel «Manifesto», progetta al tempo stesso l’alleanza con la borghesia contro i partiti della restaurazione monarchica in Francia e del conservatorismo prussiano, e un immediato sviluppo verso una rivoluzione che miri alla conquista del potere da parte della classe operaia. Anche in questa fase storica lo sforzo di rivolta dei lavoratori è spietatamente represso, ma va affermato che la dottrina e la strategia di classe corrispondenti a questa fase sono sul chiaro cammino storico del metodo marxista. Le stesse situazioni e le stesse valutazioni si accompagnano al grandioso tentativo della Comune di Parigi, con il quale il proletariato francese, dopo aver rovesciato il Bonaparte e assicurato la vittoria alla repubblica borghese, tenta ancora una volta la conquista del potere e offre, sia pure per pochi mesi, il primo esempio storico del governo di classe.

Il significato più suggestivo di questo sviluppo sta nella incondizionata alleanza antiproletaria dei democratici borghesi con i conservatori e con lo stesso esercito prussiano vincitore per uccidere il primo tentativo di dittatura del proletariato.

Tendenze del movimento socialista nella fase democratico-pacifista

Nella seconda fase, in cui il riformismo nei quadri dell’economia borghese si accompagna al più largo impiego dei sistemi rappresentativi e parlamentari, si pone per il proletariato un’alternativa di portata storica.
Sotto l’aspetto teorico sorge il quesito interpretativo della dottrina rivoluzionaria costruitasi come una critica degli istituti borghesi e di tutta la loro difesa ideologica: la caduta del dominio di classe capitalistico e la sostituzione ad esso di un nuovo ordine economico avverrà con un urto violento, ovvero può raggiungersi con graduali trasformazioni e con l’utilizzazione del meccanismo legalitario parlamentare?
Sotto l’aspetto pratico sorge il quesito se il partito della classe proletaria debba o meno associarsi non più alla borghesia contro le forze dei regimi precapitalistici, ormai scomparse, ma ad una parte avanzata e progressiva della borghesia stessa, meglio disposta a riformare gli ordinamenti.

Nell’intermezzo idilliaco del mondo capitalistico (1871–1914) si sviluppano le correnti revisionistiche del marxismo, di cui si falsificano gli indirizzi e i testi fondamentali, e si costruisce una strategia nuova, secondo la quale vaste organizzazioni economiche e politiche della classe operaia permeano e conquistano le istituzioni con mezzi legali, preparando una graduale trasformazione di tutto l’ingranaggio economico.

Le polemiche che accompagnano questa fase dividono il movimento operaio in opposte tendenze; benché non si ponga in generale il programma dell’assalto insurrezionale per infrangere il potere borghese, i marxisti di sinistra resistono vigorosamente agli eccessi della tattica collaborazionistica sul piano sindacale e parlamentare, al proposito di sostenere governi borghesi e di far partecipare i partiti socialisti a coalizioni ministeriali.

È a questo punto che si apre la gravissima crisi del movimento socialista mondiale, determinata dallo scoppio della guerra del 1914 e dal passaggio di gran parte dei capi sindacali e parlamentari alla politica di collaborazione nazionale e di adesione alla guerra.

Tattica proletaria nella fase del capitalismo imperialistico e del fascismo

Nella terza fase il capitalismo – per la necessità di continuare a sviluppare la massa delle forze produttive e nello stesso tempo di evitare che esse rompano l’equilibrio dei suoi ordinamenti – è costretto a rinunziare ai metodi liberali e democratici, conducendo di pari passo la concentrazione in potentissimi agglomerati statali tanto del dominio politico, quanto di uno stretto controllo della vita economica. Anche in questa fase si pongono al movimento operaio due alternative.
Nel campo teorico, bisogna affermare che queste forme più strette del dominio di classe del capitalismo costituiscono la necessaria fase più evoluta e moderna che esso percorrerà per arrivare alla fine del suo ciclo ed esaurire le sue possibilità storiche. Esse non sono un transitorio inasprimento di metodi politici e di polizia, dopo il quale si possa e debba ritornare alle forme di pretesa tolleranza liberale.
Nel campo tattico, il quesito se il proletariato debba iniziare una lotta per ricondurre il capitalismo alle sue concessioni liberali e democratiche è falso e illusorio, non essendo più necessario il clima della democrazia politica all’ulteriore incremento delle energie produttive capitalistiche, indispensabile premessa alla economia socialista.
Tale quesito nella prima fase rivoluzionaria borghese non solo era posto dalla storia, ma anche si risolveva in una concomitanza nella lotta delle forze del terzo e quarto stato, e l’alleanza tra le due classi era una indispensabile tappa del cammino verso il socialismo.
Nella seconda fase il quesito di una concomitante azione tra democrazia riformista e partiti operai socialisti andava legittimamente posto, e se la storia ha dato ragione alla soluzione negativa sostenuta dalla sinistra marxista rivoluzionaria contro quella della destra revisionista e riformista, questa, prima delle fatali degenerazioni del 1914–18, non poteva essere definita un movimento conformista. Essa credeva infatti plausibile un giro lento della ruota della storia, non tentava ancora di girarla a rovescio. Sia questo riconosciuto ai Bebel, ai Jaurès, ai Turati.
Nella fase odierna del più avido imperialismo e delle feroci guerre mondiali il quesito di una azione parallela tra la classe proletaria socialista e la democrazia borghese non si pone più storicamente; il sostenerne una risposta affermativa non rappresenta più un’alternativa, una versione, una tendenza del movimento operaio, ma copre il passaggio totale al conformismo conservatore.
La sola alternativa da porre e risolvere è divenuta un’altra. Dato che lo sviluppo e lo svolgimento del mondo e del regime capitalista si attuano nel senso centralistico, totalitario e «fascista», deve il movimento proletario alleare le sue forze con questo movimento, divenuto il solo aspetto riformista dell’ordine e del dominio borghese? Può sperare di inserire il sorgere del socialismo in questo inesorabile avanzare dello statalismo capitalistico, aiutandolo a disperdere le ultime resistenze passatistiche di liberisti e liberali, borghesi conformisti della prima maniera?
Ovvero il movimento proletario, duramente colpito e disperso per non aver potuto, nella fase delle due guerre mondiali, realizzare la sua autonomia dalla pratica della collaborazione di classe, deve ricostituirsi fuori da questo metodo, fuori dalla illusione del ripresentarsi di pacifici ordinamenti borghesi penetrabili con mezzi legali, o più vulnerabili dall’assalto delle masse (due forme, queste, ugualmente pericolose del disfattismo di ogni movimento rivoluzionario)?
Il metodo dialettico marxista conduce alla conclusione negativa del quesito dell’alleanza con le nuove moderne forme borghesi accentratrici, per le ragioni che storicamente si svolgono da quelle stesse che conducevano ieri a combattere l’alleanza con il riformismo della fase democratica e pacifista.
Il capitalismo, premessa dialettica del socialismo, non ha più bisogno di essere aiutato a nascere (affermando la sua dittatura rivoluzionaria) né a crescere (nella sua sistemazione liberale e democratica).
Esso inevitabilmente concentra nella fase moderna il suo patrimonio economico e la sua forza politica in unità mostruose.
Il suo trasformismo e il suo riformismo assicurano il suo sviluppo e difendono la sua conservazione al tempo stesso.
Il movimento della classe operaia non soggiacerà al suo dominio solo se si porrà fuori dal terreno dell’aiuto alle pur necessarie evoluzioni del divenire capitalistico, riorganizzando le sue forze fuori da queste prospettive superate, scrollandosi di dosso il peso delle tradizioni del vecchio metodo, denunziando – già con un’intera fase storica di ritardo – il suo concordato tattico con ogni forma di riformismo.

La rivoluzione russa, errori e deviazioni della Terza Internazionale, involuzione del regime proletario russo

All’uscita dalla Prima Guerra Mondiale, il più scottante problema della storia contemporanea passa nella fase attuale: la crisi del regime zarista russo, superstite struttura statale feudale in pieno sviluppo capitalistico.

La posizione della sinistra marxista (Lenin, bolscevichi) era già da molti decenni stabilita nella prospettiva strategica di condurre il combattimento per la dittatura proletaria contemporaneamente a quello di tutte le forze antiassolutistiche per il rovesciamento dell’impero feudale.

La guerra permise di realizzare questo piano grandioso e di concentrare nell’acceleratissimo ciclo di nove mesi il passaggio dal potere della dinastia, dell’aristocrazia e del clero, traverso una parentesi di governi di partiti borghesi democratici, alla dittatura del proletariato.

Le questioni e gli schieramenti mondiali relativi alla lotta di classe, alla guerra per il potere e alla strategia della rivoluzione operaia, ricevettero un impulso potentissimo dal grandioso evento.

Nel breve ciclo, la strategia e la tattica del partito proletario vissero tutte le fasi: lotta a fianco della borghesia contro il vecchio regime; lotta contro di questa non appena, crollato lo stato feudale, cercò di costruire il proprio; rottura e lotta contro tutti i partiti riformisti e gradualisti dello stesso movimento operaio, pervenendo al monopolio esclusivo del potere da parte della classe lavoratrice e del partito comunista. I riflessi storici sul movimento operaio ebbero il carattere di una sconfitta clamorosa per le tendenze revisioniste e collaborazioniste, e in tutti i paesi i partiti proletari furono spinti a portarsi sul terreno della lotta armata per il potere.

Ma false interpretazioni ed applicazioni si ebbero nel trasportare la strategia e la tattica russa negli altri paesi, ove si volle attendere un regime kerenskiano raggiunto con una politica di coalizione per vibrargli con audace conversione il colpo mortale.

Si dimenticò così che quella successione di movimenti era in relazione strettissima con la ritardata nascita dello stato politico proprio del capitalismo, quale invece esisteva con stabilità di decenni o di qualche secolo negli altri paesi europei, tanto più forte quanto più evidente era la sua struttura giuridica democratico-parlamentare. Non si vide che le alleanze nelle battaglie insurrezionali tra bolscevichi e non bolscevichi ed anche quelle volte a scongiurare alcuni tentati ritorni della restaurazione feudale erano l’ultimo possibile esempio su scala storica di simili rapporti di forze politiche; che la rivoluzione proletaria, ad esempio, di Germania avrebbe avuto lo andamento tattico di quella russa se fosse uscita, come Marx attendeva, dalla crisi del 1848, mentre nel 1918–1919 poteva riuscire solo se il partito rivoluzionario comunista avesse avuto forze bastevoli a sopraffare il blocco dei kaiseristi, dei borghesi e dei socialdemocratici al potere nella repubblica di Weimar.

Quando il primo esempio del tipo di governo totalitario borghese si ebbe in Italia col fascismo, la fondamentale falsa impostazione strategica di dare al proletariato la consegna della lotta per la libertà e le garanzie costituzionali nel seno di una coalizione antifascista manifestò il fuorviarsi totale del movimento comunista internazionale dalla giusta strategia rivoluzionaria.

Il confondere Mussolini ed Hitler, riformatori del regime capitalistico nel senso più moderno, con Kornilov o con le forze della restaurazione e della Santa Alleanza del 1815, fu il più grande e rovinoso errore di valutazione e segnò l’abbandono totale del metodo rivoluzionario.

La fase imperialistica, matura economicamente in tutti i paesi moderni, nella sua forma politica fascista apparve ed apparirà con una successione determinata dai contingenti rapporti di forza fra stato e stato e tra classe e classe nei vari paesi del mondo.

Tale passaggio poteva essere accolto ancora una volta come un’occasione per assalti rivoluzionari del proletariato; non però nel senso di schierare e dilapidare le forze della sua avanguardia comunista nell’obiettivo illusorio di arrestare la borghesia nel suo movimento di uscita dalle forme legali con l’assurda rivendicazione del ripristino delle garanzie costituzionali e del sistema parlamentare, ma all’opposto accettando la fine storica di questo strumento dell’oppressione borghese e l’invito alla lotta fuori della legalità per tentare di infrangere tutte le altre impalcature, poliziesche, militari, burocratiche, giuridiche del potere capitalista e dello stato.

Impostazione attuale del problema della strategia proletaria

Denunzia storica definitiva di ogni francheggiamento alle rivendicazioni liberali-democratiche. Soluzione negativa alla tesi del fiancheggiamento delle forze che conducono il capitalismo a svolgere la sua modernissima fase monopolistica in economia, totalitaria e fascista in politica.

Il passaggio dei partiti comunisti alla strategia del grande blocco antifascista, esasperato con le parole della collaborazione nazionale nella guerra antitedesca del 1939–1945, dei movimenti partigiani, dei comitati di liberazione nazionale, fino alla vergogna della collaborazione ministeriale, ha segnato la seconda disastrosa disfatta del movimento rivoluzionario mondiale.
Questo non può essere ricostituito, nella teoria nell’organizzazione e nell’azione, senza portarlo fuori e contro quella politica che oggi accomuna i partiti socialisti e quelli comunisti ispirati a Mosca. Il nuovo movimento deve incardinarsi su direttive che siano l’antitesi precisa delle parole diffuse da quei movimenti opportunisti, le cui posizioni – come riesce chiaro alla luce di una critica dialettica – nello stesso tempo sono il segnacolo – a parole – del movimento mondiale che si richiama all’antifascismo, e si inseriscono invece pienamente – di fatto – nel divenire in senso fascista della organizzazione sociale.
Il nuovo movimento rivoluzionario del proletariato, caratteristico della epoca imperialista e fascista, si incardina sulle seguenti direttive:
1) Negazione della prospettiva che, dopo la sconfitta dell’Italia, della Germania e del Giappone, si sia aperta una fase di ritorno generale alla democrazia; affermazione all’opposto che alla fine della guerra si accompagna una trasformazione nel senso e col metodo fascista del governo borghese negli stati vincitori, anche e soprattutto se vi partecipano partiti riformisti e laburisti. Rifiuto di presentare come rivendicazione interessante la classe proletaria quel ritorno – illusorio – alle forme liberali.
2) Dichiarazione che il regime attuale russo ha perduto i caratteri proletari, parallelamente all’abbandono della politica rivoluzionaria da parte della III Internazionale. Una progressiva involuzione ha condotto le forme economiche, sociali e politiche in Russia a riprendere strutture e caratteri borghesi. Questo processo non viene giudicato come un ritorno a forme pretoriane di tirannide autocratica o preborghese, ma come il raggiungimento, per una diversa via storica, dello stesso tipo di organizzazione sociale progredita presentato dal capitalismo di stato nei paesi a regime totalitario, e in cui le grandi pianificazioni offrono la via di imponenti sviluppi e danno un potenziale imperialistico elevato. Dinanzi a tale situazione non va presentata quindi la rivendicazione del ritorno della Russia alle forme di democrazia parlamentare interna, in dissoluzione in tutti i paesi moderni, ma quella del risorgere anche in Russia del partito rivoluzionario comunista totalitario.
3) Rifiuto di ogni invito alla solidarietà nazionale delle classi e dei partiti, chiesta ieri per rovesciare i cosiddetti regimi totalitari e per combattere gli stati dell’Asse, oggi per la ricostruzione con pratica legalitaria del mondo capitalista rovinato dalla guerra.
4) Rifiuto della manovra e della tattica del fronte unico, ossia dell’invito ai partiti sedicenti socialisti e comunisti, i quali non hanno ormai nulla di proletario, ad uscire dalla coalizione governativa per creare la cosiddetta unità proletaria.
5) Lotta a fondo contro ogni crociata ideologica che tenda a mobilitare in fronti patriottici le classi operaie dei diversi paesi nella nuova possibile guerra imperialistica, e chieda loro sia di battersi per una Russia rossa contro il capitalismo anglosassone, sia di appoggiare la democrazia di occidente contro il totalitarismo stalinista, in una guerra presentata come antifascista.


Source: «Prometeo», Anno I, Luglio 1946, p.1–16

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