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«DERETANO DI PIOMBO», CERVELLO MARXISTA


Content:

«Deretano di piombo», cervello marxista
Molotov nel 1917
Servizio di stato e di partito
Forbici del censore
Abiura elegante
Correttore pacchiano
Antica fonte comune
Per uso esterno
Notes
Source


«Deretano di piombo», cervello marxista

In questa sciocca etade Molotov ha avuto i suoi tre o quattro giorni di primo piano, anche se li ha subito ceduti a Margaret-Townsend e simili personaggi di turno al buttafuori[1].

Tanto attesta della vacuità snobbata di borghesi, che sorridono della nostra ingenua ubbia di tenere in prima linea, per decenni ed oltre, le stesse questioni.

Molotov ha rimesso un attimo in luce piena quello che è stato il tema centrale della nostra oscura riunione di Genova sulla Russia d’oggi[2], e con le stesse formulette (traccia lieve di cose giganti): edificazione del socialismo o delle basi del socialismo?

Noi, è ormai chiaro, riteniamo che la prima formuletta non solo non risponda alla realtà russa di oggi, ma sia in sé stessa una corbelleria; e che la seconda, rispondendo in pieno a quella realtà, altro non significhi che edificazione del capitalismo.

Borghesi di altro punto cardinale, oltre al trarne al solito la conclusione del tramonto anche di Molotov (cui non crediamo, mentre ce ne freghiamo ben poco) hanno illustrata la «autocritica» come quella di un provato e originario «staliniano» al mille per mille. Poderoso lavoratore, incrollabile in lungimiranti propositi, tanto che (alla solita sua maniera grossolana) proprio il suo Capo lo gratificò della definizione in epigrafe: «deretano di piombo». Di acciaio era, si capisce, solo Lui[3].

Adagio.

Molotov, proprio in quello che «ritira» (fino a quando? fino a quando lo ripeteranno magari quelli che hanno provocato l’abiura, i dirigenti con lui o senza e contro lui della manovra statale, la trampoleggiante rivista «Kommunist»?) tradisce, dopo tanti anni, il suo «buon marxismo». Può essere stato di Stalin un «fenicottero»[4] o messaggero, non ne è stato uno scolaro. Del resto Stalin, se ha gestito cose grandi nella storia, scuole non ne ha fondate. Al pari di Mussolini, Hitler, Perón

Molotov nel 1917

Abbiamo dedicato una vasta documentazione al fatto che nel 1917, quando Lenin giunse in Russia e capovolse un indirizzo «paludoso» del partito bolscevico, Stalin era impaludato fino alla tiroide.

Ebbene, allora Molotov (non in evidenza in Russia negli anni del Komintern: questo povero individuo umano, anche se ha notevole testa e deretano, è sempre una «variabile ad eclissi») era già vivo, tesserato nel partito, e dirigente attivo di esso. Non era con Stalin, era contro di lui; con pieno diritto e verità storica e non attraverso postume manipolazioni come quelle di cui tutti i big hanno voluto fruire come sul patriottismo di Mussolini fin dalla Svizzera, fin da Trento: siamo assai edotti di questi trucchi sfacciati) accolse la parola e l’azione di Lenin con immediato entusiasmo quale vittoria della posizione già sostenuta.

Carte di Molotov 1917 in tutta regola! Riandiamo: Lenin giunge a Pietrogrado il 3 (16) aprile, Stalin vi era giunto dall’esilio il 2 (15) marzo, una ventina di giorni di sbandato antileninismo. Stalin non aveva resistito alla deriva cui il bolscevismo minacciava di andare in quelle settimane di fuoco: Spandarjan sì, che era morto in Siberia, chi sa quanti altri compagni oggi, ignoti e poco noti, Sverdlov sì, giovane e focoso, Molotov con Šljapnikov e altri sì, alla redazione della «Pravda», sinistri risoluti anche senza la potenza dottrinale di Lenin. Arriva Stalin a Pietrogrado, parla poco, ma rivendica la funzione organizzativa: a titolo di punizione caccia i redattori con Molotov e si insedia lui con Muranov e con quel Kamenev che doveva poi far pestare.

Con rabbia di tanti buoni rivoluzionari la «Pravda» vira di bordo e si impegna con pietosi articoli dei tre per la «benevola attesa» verso il Governo provvisorio, per la riunificazione con i menscevichi, per la deglutizione del rospo: la guerra continua, il disfattismo è finito; che pure aveva fatto scrivere al furente Vladimiro: a questo patto rompo fin coll’ultimo compagno di ieri!

Alla discussione sulla unificazione, poche ore prima che sopraggiungesse Lenin, mentre ancora non avevano spiombato il castigamatti, Stalin disse di piccole divergenze, e disse che si poteva accogliere la proposta Tsereteli, di «unione sulla base Zimmerwald-Kienthal» (ossia di opposizione alla guerra nello stile famoso né aderire né sabotare). Se un compagno, Zaluckij, apostrofò gli unificatori con la parola filistei, tuttavia anche Molotov ebbe il merito a Lenin ancora piombato[5], di levarsi contro la proposta di Tsereteli.

Servizio di stato e di partito

Se V. M. Molotov, anziché essere un semplice stalinista dopo Stalin, risulta da questo ed altri episodi un vero leninista avanti Lenin, egli è perché si tratta di un autentico vecchio bolscevico, di un marxista solidamente sicuro in dottrina. Che abbia dopo compiuto e che compirà ancora fesserie, e se finirà nel Valhalla degli eroi o nella spazzatura storica tra i rifiuti, ebbene questo a noi non importa, e non insegna nulla a nessuno.

La rivoluzione brucia molto combustibile, mette molto fetido sego sui candelieri, lascia dietro di sé molti incorrotti nel fango, e molti vuoti farabutti sui piedistalli. Sono i sottoprodotti di ogni fiammeggiante reazione innovatrice. Il caso di Molotov non è unico. Si dovettero buttare nella diplomazia molti compagni efficienti, che vi rischiavano ben più dei nobiluzzi arrotanti erre al soldo del Capitale e delle Clare Luce premi di sciccheria. Erano come noi e più di noi sani marxisti che furono destinati ad essere a nostra cura engueulés, come in una mozione del nostro partito contro il puttaneggiare col Duce a Rapallo[6].

Erano autentici rivoluzionari, e la necessità di partito fece far loro quel mestiere disgustoso. Solo un potente marxista può in questi casi sdoppiarsi, pranzare col monarca e col miliardario, e tenere intatta la concezione teorica e la prospettiva storica. Il tradimento sale irresistibilmente quando i due tempi, le due fasi, dialetticamente opposte, si giustappongono e si fondono: e lo stesso linguaggio pisciato a Ginevra e all’U.N.O. viene spacciato per verbo puro dell’agitazione proletaria mondiale.

Un primo esempio: la audace estremista Kollontaj a Stoccolma; ne fece pasticci intelligenti, senza discostarsi dalla opposizione bolscevica di sinistra nella vita di partito: il borghese già allora imbecillito la definì con idiota sicurezza «l’amante di Lenin»! come se per questo fosse stata prescelta… E poi i grandi profondi marxisti Čičerin, Joffe, potenti negoziatori in faccia ai sicari del capitalismo, sciupati, bruciati, avviati al patibolo o al suicidio, e tanto marxisti che se ne fotterono anche di un glorioso passare alla storia. E con loro un altro valoroso compagno, Karachan, coraggioso e veemente e pure al servizio del partito, diplomatico sottile e lubrico; Jurenëv, elogiato dai militanti italiani a Riga e ingiuriato a Roma, e altri molti…

Nel lungo bazzicare colla gente politica occidentale ufficiale e nel preparare ad essa tiri diabolici ( a lui si attribuisce il piano semidecapitato da Stalin di portare via il boccone ai cari alleati non solo fino a Berlino ma fino all’Atlantico: se andava, la cosa poteva avere altri sviluppi, e finire prima l’orgia cretina di gare a chi è più demopopolare) il Nostro, ascoltando con mezza orecchia e un quarto di… sedere le buaggini dei contraddittori, campioni di insignificanza, ha lasciato dormire ma non cancellata da sé la dialettica marxista.

Forbici del censore

Il brano autoincriminato ne è un puro saggio. Dato che si tratta di una lettera inviata al «Kommunist», e che prendiamo da «L’Unità», il testo deve essere fedele:
«A fianco dell’Unione Sovietica, dove sono state già costruite le basi della società socialista, esistono anche i paesi a democrazia popolare i quali hanno compiuto già i primi passi, ma passi importantissimi, verso il socialismo».
Ciò fu detto in un discorso al Soviet Supremo l’8 febbraio 1955; viene ritirato il 16 settembre ultimo.

L’autoconfutazione consiste nel dire che quella formula
«induce a giudizi sbagliati secondo i quali la società socialista non sarebbe, per così dire, edificata ancora nell’Unione Sovietica, e potrebbe indurre a credere che nel nostro paese sono state edificate solamente le basi di questa società».

Il dialettico e marxista si è ancora tradito nella paroline «per così dire». Egli vuole spergiurare, ma non dimentica che la società socialista, anche quando si formi, non viene edificata da nessuno, e per Lenin la costruzione del socialismo era una fesseria.

Perché quando si dice «edificate le basi del socialismo» non si aggiunge il per così dire? Perché tali basi, che tecnicamente sono date dalla industrializzazione e concentrazione capitalista, che nei paesi avanzati si formarono spontaneamente col diffondersi di private aziende, nella ritardata Russia sono state attuate con un processo pianificato dallo Stato, e come capitalismo industriale di Stato.

Serve lo Stato al proletariato, ma solo per distruggere il capitalismo nei suoi rapporti sociali, e poi svuotare sé stesso: non per pianificare nessuna operazione tecnica, in quanto le «basi» tecniche e produttive si ereditano già sufficienti: se andiamo avanti così, si tratterà di demolire buona parte della bestiale impalcatura produttiva; altro che edificare. Questo per un Molotov è chiaro e palese anche se non lo racconta all’estero.

Noi riferimmo che nel 1926 contro Trotzky e Zinoviev che dicevano: avremo qui la trasformazione socialista dopo la rivoluzione europea, Stalin, ancora prudente, oppose la formula che costruire il socialismo significava due cose, allora: battere politicamente ogni ritorno borghese al potere, e appunto «edificare le basi del socialismo». E noi: dunque il capitalismo economico.

Abiura elegante

Qui Molotov ritratta, ma in modo non spregevole, da dialettico e da diplomatico. Ho violato, dice, i dettami ufficiali del partito. Infatti, se così si disse nel 1926, fu nel 1932 che
«il 17° Congresso del partito rendeva noto che la costruzione della base del socialismo era compiuta».
Il 18° Congresso poi
«sulla base degli ulteriori successi della edificazione (delle basi) affermò che l’Unione Sovietica era entrata in una nuova fase di sviluppo: quella del compimento della edificazione socialista e quella della graduale transizione verso il comunismo».
Poi negli anni successivi
«la base materiale e tecnica della società socialista si è allargata e si è rafforzata, i rapporti di produzione nell’industria e nell’agricoltura si sono completamente rafforzati ed affermati, basati sulla indiscutibile supremazia della proprietà sociale socialista, sulle relazioni amichevoli (tra operai e contadini, evidentemente) e di collaborazione, ed escludendo qualsiasi possibilità di sfruttamento dell’uomo sull’uomo».

È una redazione impeccabile e che manca della frase banalmente staliniana e grammaticalmente attiva di fabbricar socialismo, pure assolvendo il dovere del laudabiliter se subiecit ai deliberati congressuali, ovvio dovere di un commesso viaggiatore in classe di lusso.

Il compimento della edificazione socialista entra in fase di sviluppo – al comunismo si apre una graduale transizione – la base tecnica si è molto allargata, i rapporti di produzione rafforzati – vi è supremazia della proprietà sociale socialista – ma, ammicca tra le righe Molotov, il socialismo non è la proprietà di stato, bensì, la cessazione di ogni proprietà e di ogni Stato. È cessato lo sfruttamento dell’uomo, ma ciò non definisce, riammicca come in un diplomatico vibrar di fioretti, il socialismo, perché può aversi in una società di private aziende molecolari uguali.

Quando l’autore della benissimo redatta lettera non cita congressi ma formula lui, sono sempre le basi, che sia pure grandiosamente, si sono allargate. Elegante reservatio mentalis da professore del non compromettersi.

Volete invece udire il fragore delle cornate nella cristalleria? Leggete il commento del conformistissimo redattore del «Kommunist». Parole, di vago suono marxista, in libertà.

Correttore pacchiano

«Le questioni dottrinali, prima appannaggio di una élite (accusato l’elegante sfottò?) sono ora discusse ad un livello più basso ma anche più largo».
Tanto per «tagliar corto a qualsiasi confusione nel campo teorico» si lancia questa bella constatazione:
«la legalità socialista si rafforza e la democrazia socialista si sviluppa e si perfeziona».
E la forca «socialista», di grazia, se la passa bene?

«Già nel dicembre dello scorso anno erano stati condannati coloro che credevano di poter fin da ora sacrificare l’industria pesante a vantaggio della produzione di beni di consumo (Beria e Malenkov?)».
Ebbene, siete allo stesso punto di Ike senza o con infarto, e del businessman yankee di alto bordo teso verso il boom: sempre più produzione, niente stop per ora all’industria di guerra; e vuole il 18° Congresso che siate già in viaggio graduale al comunismo? Ammazzalo! Se la piglia quindi, dopo questa strillante ammissione di arretratezza, con quelli che vogliono
«applicare al presente periodo le formule che caratterizzano la tappa da tempo superata, e presentano le cose come se si fossero costruite soltanto le basi del socialismo».
Tutto questo spezzando lance ipocrite per la giusta valutazione marxista, e la purezza della teoria marxista leninista, e per affrancare la classe operaia estera dalla ideologia borghese, il che si otterrebbe abbandonando l’atteggiamento
«nichilista e sdegnoso nei riguardi della scienza e della tecnica estera».

Questo custode della scienza ideologica può essere forse addetto non a ripulire il raziocinare marxista del cervello di Molotov, ma tutt’al più alla manutenzione del plumbeo suo deretano.

Non disse Stalin nel 1926 in tutte lettere, e nemmeno lo scrive oggi Molotov, che sussiste l’eguaglianza tra «edificare le basi del socialismo» ed «edificare il capitalismo». Ma lo ammettono entrambi, censurante e censurato, quando dicono che ridursi all’edificazione delle basi vuol dire essere alla storica confessione, di un domani che si intravede ormai (esso precederà la guerra numero tre) ossia: non abbiamo socialismo in Russia, l’abbiamo solo resa capitalista, da feudale che era.

Ma la differenza tra il burocratico censore e il censurato sta nella dialettica; essa scioglie ed annoda, la forbice taglia soltanto, sterilmente.

Camminare verso il capitalismo dove le basi sono ormai edificate (come in America) significa camminare in senso inverso al socialismo. Ma camminare verso il capitalismo, ove queste basi storicamente mancano o sono incomplete, significa l’opposto, ossia camminare «nel senso che conduce al socialismo».

È chiaro che il secondo caso allude alla Russia, e ancora più agli arretrati Stati satelliti e alleati. E quindi costoro non vanno vituperati per la politica economica del potere, ma per la politica anticlassista del partito, che spaccia l’andare al socialismo per lo stare nel socialismo, con incalcolabili effetti antirivoluzionari in tutto il sistema internazionale.

Criminale della rivoluzione non è chi il socialismo non fa, ma chi tradisce il fondamentale, engelsiano, riconoscimento di esso.

Qui determinismo; perché l’uomo non fa la storia, ma la decifra, e basta.

Qui, nella vivisezionata formulazioncella: dialettica.

È metodo metafisico porre la questione dello stare, alternativamente, nel campo eletto o in quello reietto.

È metodo dialettico porre la questione dell’andare, ossia della direzione del movimento.

Cercammo altra volta di spiegare elementarmente questo con il linguaggio della matematica. Se sia positivo o negativo il valore assoluto della funzione, non ha alcuna importanza, deriva tutto da una nostra arbitraria convenzione (caso della posizione di un mobile nello spazio).

Oggetto di conoscenza e di scienza viva è se sia negativo o positivo il valore della derivata della funzione (velocità del moto di quel corpo in una delle due direzioni sulla traiettoria). E (permettete) delle derivate della derivata.

Nello scrittarello su Einstein[7] cercammo mostrare che egli fu tanto relativista (e dialettico) quanto Democrito, Copernico, Galileo, Cartesio, Newton.

La grande barriera tra il Su e il Giù, il Prima e il Dopo, il Bene e il Male, la Legge e il Crimine, il Paradiso e l’Inferno, la possiamo mettere ad arbitrio sul foglio del nostro lavoro. Qui la ricerca comincia soltanto.

La tradizione ci ha sempre trasmesso un risultato di ricerche gloriose, ma un risultato sempre transitorio, come se fosse una Barriera metafisica indiscutibilmente tracciata ab aeterno in quella tale posizione.

Ogni volta che una barriera sacra cade, la Rivoluzione sorge e cammina.

Non sputa però su quella barriera transeunte, segnata nella storia al tempo di altre Rivoluzioni.

Quindi camminare verso il capitalismo ove storicamente queste basi mancano e sono incomplete, significa l’opposto, ossia camminare nel senso che conduce al socialismo. Giuste perciò le parole di Molotov sui primi passi nella direzione del socialismo, che oggi fanno i paesi entro cortina (non però la Cecoslovacchia, che rincula, anche per averla saccheggiata delle sue basi).

Infine non abbiamo noi inventato, a Genova nel 1953[8], poveri clandestini senza uno straccio di altoparlante, la sopraddetta identità, che Molotov lancia implicitamente al mondo, tra basi e capitalismo schietto. Tutti conoscono il ministro sovietico, egli ignora noi del tutto.

Antica fonte comune

Può darsi che mai noi abbiamo chiacchierato con Molotov. Che monta? Lui e noi abbiamo letto Marx, Engels. Tutta la magnifica dimostrazione del trapasso da capitalismo a socialismo che fin dal 1878 Engels contrappone alle baggianate di Dühring, lavorando su citazioni del «Capitale», mostra come la borghesia ha già erette le basi del socialismo. Quando abbiamo la divisione tecnica del lavoro, nei tre gradi: cooperazione (lavoro collettivo), manifattura ed industria, abbiamo tutto; nulla dobbiamo più costruire. Nulla aggiungere: dobbiamo solo togliere la schiavitù aziendale, l’anarchia sociale della produzione. Solo qualche classico brano:
«La borghesia non poteva trasformare i primi limitati mezzi di produzione in poderose forze produttive senza trasformarli da mezzi di produzione dell’individuo in mezzi di produzione sociale e atti ad essere usati da una comunità di uomini»[9]. Corsivi di Engels.

Che dunque dobbiamo edificare? La borghesia ha per noi edificato; essa doveva farlo, anzi non poteva non farlo.

«La proprietà da parte dello Stato delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma essa racchiude il mezzo formale, il manubrio della soluzione. Questa soluzione può consistere soltanto in ciò: che la natura sociale delle forze produttive viene effettivamente riconosciuta, e quindi il modo di produzione e di distribuzione è messo all’unisono col carattere sociale del mezzo di produzione»[10].

Le leggi economiche, continua Engels (sono i celebri passi di cui Lenin ha fatto tesoro circa lo Stato), agiscono come quelle naturali. Una volta conosciute e comprese, diverranno da «indemoniate dominatrici nostre, serve volonterose»[11].

Ex, quante volte, compagno Molotov, comunque non pre-dühringhiano! Guardiamoci un solo istante in faccia. La edificazione del socialismo è roba da stipendiato al «Kommunist». Non si edifica il socialismo! Non è che soluzione, riconoscimento, spiegazione, in campo tecnico economico di basi già date. E al dato punto della storia, è guerra civile rivoluzionaria.

Per uso esterno

Borghese, qualcosa che tu possa smaltire. Ecco. Può darsi che Molotov abbia visto giunto il momento della Grande Confessione: non siamo socialismo, ma capitalismo, come voi, Occidente, quasi come voi. Può darsi che gli altri, o la voce misteriosa della Ragione di Stato, sacra pei deretani in velluto, abbia imposto di rinviare la Confessione.

Questa verrà[12].

La questione non è se socialismo e capitalismo possano coesistere o convivere a questo si risponde subito. Coesistere possono come due armate nemiche, in guerra o con arme al piede. Convivere non possono, perché sono conviventi solo i mantenuti. Coesisteranno quindi dietro le cortine chiuse. Ma questo è problema del domani.

Oggi possono coesistere e convivere, Russia ed Occidente, in quanto sono la stessa cosa. Possono coesistere in pace, ma non eternamente, possono fare affari, l’uno sfruttando l’altro, o l’altro l’uno, a scala grandiosa. Ma convivere in eterna pace non possono.

I due capitalismi in schieramenti mondiali che possono essere domani di varie formazioni, un giorno si scontreranno.

Molotov vuole darvi una confessione che vi soddisfi. Voi non ne potete valutare la portata. È un passo verso grandi affari, ma non è un passo alla Pace mondiale, bensì alla Guerra, dopo al massimo un paio di decenni. Salvo che anticipino, sulla scadenza storica, Guerra e Rivoluzione[13].

Sei un grande borghese? Gioisci. Sei piccolo? Fattela nei pantaloni.

Notes:
[prev.] [content] [end]

  1. Storia amorosa fra la sorella dell’attuale regina d’Inghilterra e un pilota d’aviazione. [⤒]

  2. Cfr. «Per l’organica sistemazione dei principi comunisti» cit. pag. 49. [⤒]

  3. «Stalin» in russo vuol dire acciaio. [⤒]

  4. Si chiamavano «fenicotteri» le staffette del PCd’I nel periodo del lavoro illegale. [⤒]

  5. Cioè in viaggio dalla Svizzera alla Russia sul treno sigillato messo a disposizione dal ministro della difesa tedesco Ludendorff con la mediazione di Parvus. [⤒]

  6. Si tratta verosimilmente della Conferenza di Genova nel 1922. A Rapallo, in margine alla conferenza, si riunirono le delegazioni russa e tedesca. [⤒]

  7. «Relatività e determinismo – In morte di Albert Einstein», «Il Programma Comunista», n. 9 del 1955. [⤒]

  8. «Per l’organica sistemazione dei principi comunisti» cit. pag. 57. [⤒]

  9. F. Engels, «Anti-Dühring», Opere Complete, Ed. Riuniti, vol. XXV, pag. 258. Manteniamo sempre la traduzione di Bordiga. [⤒]

  10. F. Engels, «Anti-Dühring», Opere Complete, Ed. Riuniti, vol. XXV, pag. 268. Nella traduzione Ed. Riun. al posto di «manubrio» è stato usato il termine «chiave». [⤒]

  11. F. Engels, «Anti-Dühring», Opere Complete, Ed. Riuniti, vol. XXV, pag. 269. [⤒]

  12. Sulla Grande Confessione potremmo citare qualcuna tra le sbracate lodi al capitalismo pronunciate da politici del dopo-Gorbačëv. Riportiamo invece il passo di un «tecnico» che difende il socialismo sovietico. Si tratta di Leonid Abalkin, direttore dell’Istituto di economia dell’Accademia delle Scienze dell’URSS al tempo di Gorbaciov:
    «Contraddice all’essenza e allo spirito del marxismo-leninismo ogni tentativo di trasformare la teoria cui ci ispiriamo in una raccolta di schemi e di ricette pietrificati (…) Il modo di pensare economico, formandosi e sviluppandosi sotto l’azione di condizioni oggettive, possiede una determinata autonomia e influisce attivamente sullo sviluppo dell’economia. Esso è in grado di accelerare lo sviluppo socio-economico oppure di frenarlo, di ritardare la realizzazione di trasformazioni ormai mature. La ristrutturazione di tutta la sfera della coscienza sociale è dovuta all’ingresso del paese in una nuova fase dello sviluppo storico, alla necessità di realizzare profonde trasformazioni qualitative nella produzione. Un nuovo tipo di pensiero economico prende il posto degli stereotipi esistenti (…) Può essere considerato moderno soltanto quel modo di pensare economico che si basa interamente sulle conclusioni e sulle tesi della scienza, innanzi tutto dell’economia politica» (da «Il nuovo corso economico in URSS», Ed. Riun. 1988 pagg. 22, 151 e 153).
    Elegante e chiaro, rispetto alle sguaiatezze neoliberiste eltsiniane. Leggiamo così: gli stereotipi pietrificati cui avevamo ridotto il marxismo rappresentano ormai un freno allo sviluppo dell’economia capitalistica russa, liberiamola; per far ciò dobbiamo smetterla di essere ascientifici, innanzi tutto smetterla di sbagliare sulla classificazione delle categorie economiche esistenti: chiamiamo la nostra scienza col suo nome, economia politica e lasciamo ai marxisti la critica all’economia politica. [⤒]

  13. In una lettera del 5 gennaio 1957 ad un vecchio militante Bordiga scriveva:
    «Circa il passo del Dialogato [«Dialogato coi morti»] va così inteso: Tra venti anni la alternativa tra guerra imperialista mondiale e rivoluzione. Ma non si deve intendere (come ho scritto altre volte) che dopo la guerra verrà la rivoluzione, piano che ci ha mentito nel 1919 e nel 1945 (per chi ci credeva, ma non certo io; e del resto è noto che mi si accusa che nell’altro dopoguerra nemmeno ci credevo, né in Italia né in Europa). La rivoluzione verrà se la guerra sarà bloccata sul suo scatto e capovolta, ossia se impedirà che la guerra si sviluppi. Perché tanto sia possibile sarà necessario che un potente partito internazionale sia organizzato con la dottrina che solo abbattendo il capitalismo si impedisce la serie delle guerre. Insomma, l’alternativa è questa: o passa la guerra o passa la rivoluzione» (archivio dei «Quaderni Internazionalisti»). [⤒]


Source: «Il Programma Comunista», n. 19 del 1955

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