LISC - Libreria Internazionale della Sinistra Comunista
[home] [content] [end] [search] [print]


I COMUNI ED IL SOCIALISMO


Content:

I comuni ed il socialismo
Ieri
Oggi
Source


Sul filo del tempo

I comuni ed il socialismo

Ieri

Adoperando l’espressione: I Comuni e il comunismo, ovvero: i Comuni e i comunisti, più che fare un gioco di parole si contribuisce a favorire la confusione di termini e di idee contro cui il partito marxista lotta sistematicamente e di cui invece gli opportunisti fanno la loro quotidiana biada.

Vogliamo parlare dei Comuni come enti locali amministrativi odierni, e non sembri banale rilievo premettere che comunismo non viene da Comune ma da comunanza di strumenti di produzione e di oggetti di consumo. Strumenti ed oggetti che sono fisici e sempre ci saranno, mentre i termini beni ricchezze merci e simili comportano rapporti sociali che la rivoluzione comunista distruggerà.

Non sempre è chiara la distinzione tra Comune e Stato. Dice Engels che la società primitiva senza proprietà privata il cui nucleo è la tribù o gens originaria non aveva ancora Stato, non essendovi divisione in classi, lotta tra classi e potere politico statale espressione della classe più forte. I primi stati politici appaiono con territori limitati e comprendenti una sola città di notevole numero di abitanti, e poiché lo stesso termine si riferisce al territorio organizzato unitariamente e agli istituti che lo reggono, la città si confonde con lo Stato. Ma la «polis» greca e la «civitas» romana non corrispondono al nostro moderno Comune urbano bensì agli Stati nazionali. Il Municipium era il Comune attuale, Roma era l’urbe, ma quando la qualità giuridica del cittadino, parola che vide da città (piuttosto è civitas che viene da cives) viene riconosciuta agli italici di tutti i municipii fino al Po, l’intera penisola forma il territorio dello Stato politico romano con uniformità di legge e giurisdizione. D’altra parte il termine politica ossia arte, scienza dello Stato, viene dal greco «polis», inteso appunto non come città agglomerato di case ma come territorio e regime unico.

Molta poesia si è fatta attorno al Comune del Medio Evo dai rivoluzionari borghesi di prima mano che finiscono con Carducci, e da quelli di oggi, di seconda mano, costituiti dai sottofessi a cui Mussolini aveva pestato rudemente i fragili calli. Il Comune in cui la prima borghesia lottò con coraggio contro l’ordine feudale per poi soccombere in Italia alle Signorie aristocratiche, in quel riflusso che il nostro paese subì per secoli in conseguenza dello svolgersi del commercio e della produzione mondiale (ma che tuttavia aveva escluso storicamente la minaccia del ritorno dello spettro feudale, minaccia di cui bambinescamente pasteggiano i pensatori, gli scrittori, i mestatori politici che ne ammorbano) il Comune era uno Stato politico di piccolo territorio, formato da un grosso centro urbano con un contado di ville e campagne a comune organamento politico elettivo, era una polis non un municipium. Già Dante aveva capito come nello scontro tra i Collegati di Legnano e il Barbarossa stava dalla parte di costui l’elemento fondamentale dello Stato moderno accentrato a grande territorio che avrebbe condotto molto più avanti del frammentamento politico e delle angustie organizzative e mentali di «quei che un muro ed una fossa serra». Ma i retori sfiatati della storia politica quando hanno visto dove si leva il Palladio della Libertà hanno visto tutto. Formola da buoni figli di Troia.

Negli stati borghesi moderni il municipio romano è stato rinnovato nella pretesa autonomia delle amministrazioni locali, funzionanti in genere in modo più da bassa camorra quando hanno un modello locale di parlamentino che quando lo Stato vi prepone suoi funzionari.

La visione marxista della lotta di classe indaga e presenta tale fatto sociale nella singola azienda dove il salariato dipende dal padrone borghese, e lo svolge nel quadro nazionale ove, contro lo Stato organo della borghesia dominante, la classe lavoratrice conduce la sua lotta per rovesciarlo, e nel quadro internazionale della solidarietà proletaria. Ha per suo campo e sua scena la lotta di classe anche il Comune e la Provincia o Catone, indubbiamente, ma la cosa non si riduce al pettegolezzo di venire a veder Montecchi e Cappelletti.

Politica ed Amministrazione, cianciavano i borghesi, due campi diversi. Eco fessa e fedele, i socialisti accomodanti pretendevano che negli Enti locali fosse utile e bello contribuire a pilotare – i disgraziati erano per giunta bravi tecnici onesti e disinteressati mentre gli opportunisti di oggi sono fior di filibustieri – la barcaccia amministrativa, in quanto i postulati classici si difendevano nello Stato e nell’Internazionale. Dicevano perciò che i principi di partito si potevano ben sostenere nelle campagne politiche e parlamentari nazionali, mentre localmente non si dovevano fare «quistioni politiche» ma contribuire alla buona soluzione di problemi tecnici e concreti nell’interesse, sì, vagamente espresso dai lavoratori, ma parimenti in quello della «popolazione», della «generalità» della «nostra città», e simili. Volete tenere, dicevano, una attitudine di opposizione di principio di fronte allo Stato e al parlamento, rifiutare mandati di governo e alleanze con altri partiti, ma nelle amministrazioni locali gli operai aspettano da noi (al solito sono sempre gli operai che aspettano tutte queste cose – pazientemente tuttora stanno aspettando, sono i consiglieri gli assessori i sindaci ed altri insetti che non aspettano più quello che fu il sogno di una vita) opera positiva per il loro benessere, e non vi è contraddizione ai nostri principi socialisti se facciamo della buona amministrazione e se a tal fine facciamo accordi con altri partiti.

Adagio Biagio, e la solita rimboccata di maniche. Politica e amministrazione? Per l’ideologo liberale borghese la sfera politica è quella in cui giocano e si scontrano le opinioni, le confessioni, le libere professioni di fede politica dei cittadini, che nel formularle interrogano la loro coscienza e la educazione civile ricevuta dalla scuola e dalla stampa del «libero» Stato capitalistico. Il Cittadino che adempie al sacro libero diritto e dovere del voto non interroga i suoi interessi né ricorda la classe economica cui appartiene, ma sceglie secondo i filosofemi politici che più lo hanno sedotto nelle orazioni dei candidati. Da questo nobile campo sorge il supremo organo di governo popolare della nazione, che la guida secondo i sommi principi e i dettami della consacrazione democratica. Nel più basso campo «amministrativo» si può poi, messe le grandi idee nell’un canto, degnare di occuparsi di fatti della vita materiale, strade canali acquedotti e, pardon, fognature persino. Nella soluzione può convenire l’ateo e il cattolico, il repubblicano e il dinastico.

Ma appunto tutte queste balle getta all’aria la veduta socialista, con un capovolgimento totale. La soddisfazione dei bisogni materiali della classe che lavora e dei suoi interessi economici non riesce possibile che affrontando le basi del privilegio sociale della classe avversa, costruito in un sistema di istituzioni e di difese che hanno gioco in tutti gli angoli territoriali ed aziendali ma emanano da un centro unitario anni dato nello Stato politico. Ogni problema della tecnica della produzione e della amministrazione delle attività sociali in campo stretto o vasto diviene un problema politico, o meglio è un problema politico, di contrasto e di urto di forze politiche, ed è su questa base che il movimento socialista costruisce la sua organizzazione ed azione di classe.

Richiami e sviluppi di questa natura bastarono a condurre il partito socialista italiano al congresso di Ancona del 1914 a ributtare le tesi dei famigerate blocchi popolari amministrativo. A dispetto di riformisti e opportunisti si disse che si sarebbe fatto la lotta di classe e politica di classe anche nel Comune di Milano e in quello di Borgocollefregato:

Se il vecchio socialista intransigente Serrati sbagliò in modo colossale in rapporto alle grandi quistioni della Terza Internazionale si dovette in gran parte alla suggestione che esercitavano su di lui le conquiste di questi «fortilizi» da parte del partito, costituito da Comuni, Mutue, Cooperative, che egli credeva potessero giocare in senso rivoluzionario anche se tenuti da grigi riformisti dediti all’opera più trita e concreta. Nel vituperare Serrati, tuttavia poi ben morto, i concretisti del gruppo torinese dell’Ordine Nuovo non solo non furono secondi a nessuno, ma toccarono il massimo della virulenza, per non parlare di veleno. Ciò non impedì loro di difendere la fusione col pentito Serrati, anziché la sua semplice riammissione nelle file. Ma l’antiserratismo di allora ancor meno ha impedito in tempi recenti, quando uno dei funamboli del post-fascismo, senza tuttavia autoprendersi sul serio, manipolò una nuova teoria storico politica – chi non ne ha una tra i postventennali? Mussolini ci aveva fatto fortuna, e quelli ragionano come al Totocalcio – ossia quello dello Stato Amministrativo, non ha impedito diciamo a Togliatti di attribuire un senso marxistico e di lanciare una delle tanto abili ammiccamenti di simpatia a questa sguaiata fregnaccia in libertà.

Una ulteriore fase di confusione tra Comune e Stato soprattutto nella definizione delle differenze dottrinali tra marxisti ed anarchici si è avuta a proposito della Comune parigina del 1871. In lunghi anni di propaganda rivoluzionari socialisti ed anarchici hanno ben rivendicato quella gloriosa battaglia, ma i contributi critici di Marx e di Engels soprattutto nella decisiva chiarificazione dello «Stato e Rivoluzione» di Lenin hanno definito l’argomento. La Comune era il primo esempio di Stato rivoluzionario che si organizza dopo avere infranto lo Stato tradizionale capitalistico e parlamentare. Se errò, fu nello esitare ad infrangere taluni istituti del regime borghese e nel non impiegare sufficiente forza e autorità per schiacciare le superstiti minoranze della vecchia classe dominante. I rivoluzionari parigini mossero alla conquista della casa municipale e sembrarono sostituire un potere comunale ai ministeri del governo nazionale, ma la sostanza storica sta nella fondazione di un nuovo potere politico proletario che voleva estendersi a tutta la Francia e fare insorgere in tutta la Francia la classe lavoratrice. Le armi della repubblica borghese sostenuta dall’impero prussiano germanico impedirono il formarsi di questo Stato operaio, di questa prima dittatura proletaria, di cui Marx e Lenin hanno dimostrato la natura unitaria, centralista e non federativa.

Se l’economia capitalistica ha limiti ormai ultranazionali quella comunista non potrà chiudersi in limiti più ristretti, aziendali o comunali. E così la forma storica del potere rivoluzionario che guiderà il trapasso economico fino al dissolversi dello Stato, della Democrazia, della stessa Amministrazione nel senso attuale (Lenin, Engels) non potrà essere a stretto limite territoriale. Tendiamo ad una Comune mondiale, non municipale, poiché non avrebbe alcun senso, o davvero un senso medioevale, la economia municipale.

La facilità degli spiriti impronti, romantici e romagnoli aveva destato in Mussolini, quando ancora guidava i marxisti italiani di sinistra, una delle tante simpatie inconsiderate per un ismo che voleva sorgere con la solita pretesa di superare le direttive classiche marxista: il Comunalismo. Questi grandi politici di ieri e di oggi è dura fatica tenerli indietro dal loro malvezzo di beccare in tutte le direzioni, di pensare che per cameratesco rancio tutto fa brodo. Anche l’amministrativismo …brrrr!

Oggi

La consegna dei partiti stalinisti a proposito di Comune sembra essere questa: negli organi politici centrali tutto è permesso, ma in quelli locali è permesso anche di più. Ad esempio il blocco in giunta con i qualunquisti. Non vogliamo azzardare inesattezze ma se avessimo la possibilità di compulsare tutte le liste da Castiglione Messer Marino a Pieve Porto Morone credo che troveremmo blocchi stalinisti con monarchici democristi e misisti. E la consegna della Centrale è una sola: non mollate posti. Enrichissez-vous!

Un notevole successo comunalista lo hanno riportato col sindaco staliniano del piccolo paese francese di Villauris, che ha celebrato in stile impeccabile il matrimonio del secolo, e questo qui non ha sentito puzza di feudalesimo, vedi caso. La stampa della città più cafona del mondo, New York, è uscita dieci minuti dopo per dire su otto colonne che Rita lo ha trovato «magnifico».

Sindaci, deputati, ministri, funzionari sindacali e capi di partito, lavorano tutti in serie e di concerto al fine di fare del proletariato mondiale, di successo in successo, il «cocu magnifique» – il magnifico cornuto – della storia.

Speriamo tuttavia di vederli un giorno infilati su quelle corna.


Source: «Battaglia Comunista», № 22 – 1949

[top] [home] [mail] [search]