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FINCHÉ CI SARÀ IL CAPITALE NON C’È PACE CHE SIA DESIDERABILE NON C’È GUERRA CHE NON SIA INFAME


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Primo maggio 1999: Finché ci sarà il capitale non c’è pace che sia desiderabile non c’è guerra che non sia infame
Proletari! Compagni!
Questi i nostri compiti
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Primo maggio 1999

Finché ci sarà il capitale non c’è pace che sia desiderabile non c’è guerra che non sia infame

Proletari! Compagni!

Questo 1° maggio 1999 si leva su un mondo sconvolto da catastrofi economiche, politiche, militari, indissolubilmente legate al persistere del modo di produzione capitalistico.

La guerra nei Balcani, dopo l’avventura militare nel Golfo, conferma una volta di più che sul piano dei rapporti fra Stati, come su quello dei rapporti fra classi, imprese e individui, le leggi del modo di produzione capitalistico a un certo punto impongono il ricorso alla violenza organizzata fino alla sua massima espressione: la guerra. Fornisce l’ennesima riprova di come siano prive di contenuto le frasi mille volte ripetute sulla libertà, la giustizia, la fratellanza, il rispetto dei diritti umani, la pacifica convivenza fra i popoli nel segno della democrazia universale.

Dietro ai bombardamenti NATO in Serbia non c’è alcun intento umanitario, nessuna «lotta alla barbarie». Soltanto inguaribili ingenui, sapientemente drogati dai media, possono crederlo. Ad armare questa e quella mano – statunitense o serba, italiana o francese, russa o inglese – sono sempre i contrasti inter-imperialistici suscitati dalle contraddizioni dell’economia borghese: gli stessi contrasti che hanno portato ai massacri della Prima e della Seconda guerra mondiale. Le colonne di profughi che oggi vediamo nel Kosovo sono le stesse che abbiamo già visto, dopo la Seconda guerra mondiale, in Prussia e Cecoslovacchia e, più di recente, in Bosnia, in Somalia, in Ruanda. E sono il tragico anticipo di quanto potrà in futuro accadere ai proletari di ogni paese.

Questa guerra ha le sue radici nella crisi economica che dura da più di vent’anni. Qualunque sia il vantaggio che la pirateria capitalistica internazionale può trarre oggi dal grande affare degli aiuti umanitari o delle ricostruzioni post-belliche, esso non sarà certo sufficiente a superare la crisi. Dappertutto crescono la disoccupazione e la sottoccupazione. Dappertutto sale alle stelle il costo della vita. Dappertutto si moltiplicano i tagli alle spese sociali, si riduce drasticamente il salario, aumenta lo sfruttamento. Le pretese meraviglie del mercato continueranno a mordere le carni del proletariato mondiale.

La turpe commedia della pace che seguirà l’avventura militare non potrà essere dunque che una tregua imperiali-sta. La pace durerà solo finché non riaffioreranno ed esploderanno vecchi e nuovi antagonismi economici, dovuti alla generale sovrapproduzione di merci, fra gli alleati di pochi mesi o di pochi giorni prima.

Come arrestare o invertire questa direzione, imboccata da tutti gli imperialismi, verso un nuovo macello mondiale, in cui dietro alla retorica sui «buoni da difendere» e sui «cattivi da castigare» ci saranno in realtà solo i proletari di tutti i paesi mandati a massacrarsi a vicenda per il bene del capitale?

Per noi comunisti internazionalisti è chiaro che solo l’abbattimento di questa società marcia e sempre più distruttiva e il passaggio alla società di specie, al comunismo, potranno espellere la guerra dalla storia. Questo fine è purtroppo ancora lontano. Ma i proletari che sentono con forza l’oppressione e il disgusto per la società del profitto e dello sfruttamento, della fame e dei massacri, dovranno necessariamente organizzarsi nel partito comunista mondiale e lottare per la rivoluzione comunista.

Ciò vuoi dire abbandonare ogni disarmante illusione pacifista e riformista e tornare agli obiettivi e ai metodi di lotta classisti che sono sempre appartenuti alla tradizione proletaria, ma che sono stati sabotati e distrutti da settant’anni di controrivoluzione e dal tradimento operato dalle forze di falsa sinistra.

Questi i nostri compiti

• Ripresa della lotta di classe. Ricominciare a difendere con vigore le proprie condizioni di vita e di lavoro, opponendo ai padroni, al loro stato, al capitale nazionale e internazionale, un fronte di lotta che non conosca divisioni interne per età, località, nazionalità, sesso, categoria, lingua o altro, e ricorrendo ad azioni di lotta le più estese e centralizzate possibili.

• Organizzazione permanente dei proletari. Lavorare alla rinascita di organismi in grado di centralizzare, collegare e dirigere le lotte di difesa economica, in aperta opposizione alla pratica sabotatrice dei sindacati tricolori e nella piena comprensione del tradimento consumato, a pieno vantaggio dell’economia borghese, dalle centrali sindacali e dai partiti e partitini opportunisti.

• Rifiuto di qualunque concessione allo Stato e all’economia nazionale. Ribadire che lo Stato non è un organismo al di sopra della classi, «il rappresentante di tutti i cittadini», ma è l’organo centralizzato e armato che in ogni paese difende il potere del capitale contro la minaccia della stragrande maggioranza di sfruttati, e che l’economia nazionale non è un bene che appartiene a tutti e che a tutti deve dunque stare a cuore, ma è l’insieme degli interessi capitalistici – quelli che nelle fabbriche e nelle strade, al mercato e nelle case, ci opprimono e ci sfruttano e in nome dei quali si viene mandati a bombardare questa o quella città, a massacrare questa o quella popolazione, a invadere questo o quel paese.

• Sciopero generale senza limiti di tempo e spazio. Riconoscere la necessità di opporre forza a forza – non dunque con imbelli fiaccolate e raduni inconcludenti, ma riappropriandosi dello sciopero generale come arma di lotta sia economica che politica e colpendo con essa l’organizzazione capitalistica nel suo punto più delicato: alla fonte stessa del profitto, la produzione; affasciando cioè i lavoratori di tutte le categorie e località e tornando così a sentire e far sentire la propria forza collettiva, invece della frustrazione derivante dall’isolamento, dalla frammentazio-ne, dalla passività.

• Disfattismo rivoluzionario. Rifiutare di piegarsi all’ordine sovrano del capitale, proclamando apertamente che la guerra imperialistica non ci avrà né come strumenti di massacro (non importa se con vecchie tecnologie tradizionali o nuove tecnologie fantascientifiche) né come vittime designate, come carne da cannone o da «pulizia etnica»; rompendo apertamente con lo Stato borghese non più solo sul piano economico del rapporto di lavoro, ma anche su quello politico e militare. Non un uomo, non un soldo per le guerre imperialistiche: lotta aperta contro la propria borghesia nazionale, serba o kossovara, italiana o statunitense, tedesca o francese.

• Fraternizzazione fra i militari degli opposti schieramenti di guerra. Affermare nei fatti che il proletariato è internazionale e internazionalista nella sua natura e nei suoi fini e che non un’arma verrà rivolta contro i nostri fratelli di classe, fatti schierare sul fronte opposto e mandati allo sbaraglio; mostrare la necessità dell’unione internazionale del proletariato, al di sopra degli schieramenti e dei fronti imperialisti, contro il comune nemico: il capitale.

Lo sappiamo. E una strada lunga e difficile, ma non vi sono alternative e solo percorrendola con pazienza e decisione dall’inizio alla fine, dalla prima rivendicazione economica limitata e difensiva fino alla rivoluzione e alla dittatura proletaria, sarà possibile farla finita con il regime distruttivo della borghesia.

Oggi come ieri e come domani, i comunisti internazionalisti sono al loro posto: a fianco del proletariato di tutti i paesi e contro le guerre del capitale, nella dura opera quotidiana della difesa e della diffusione della teoria marxista e del partito rivoluzionario – le due armi che ci permetteranno infine di dare l’assalto al cielo e di passare dalla preistoria alla storia dell’umanità.


Source: «Il Programma Comunista», n.4, 30 aprile 1999

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