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PER LO SCIOPERO – CONTRO LA POLITICA STRUMENTALE DELLA CGIL


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Per lo sciopero – contro la politica strumentale della CGIL
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Per lo sciopero – contro la politica strumentale della CGIL

Lo sciopero nazionale dei metalmeccanici del 6 luglio indetto dalla FIOM avviene dopo anni di assoluta immobilità della classe operaia e in una fase di profonda divisione al suo interno. In un momento in cui inoltre la rottura tra CGIL (che appoggia la giornata di mobilitazione) da una parte e CISL-UIL dall’altra conferma la recente tendenza delle relazioni industriali del paese: il governo del «polo delle libertà» cercherà infatti di approfondire la divisione tra le confederazioni per ridimensionare il ruolo dei sindacati nella «concertazione».

Ciò mentre alcuni segnali sembrano annunciare una congiuntura economica internazionale sfavorevole per i lavoratori: in USA i titoli tecnologici hanno conosciuto un calo del 90 % negli ultimi 15 mesi, l’occupazione nelle aziende della «new economy» è calata di 62 mila unità, i profitti del settore manifatturiero sono scesi, il settore automobilistico è crollato del 22 % tra il settembre 2000 e il gennaio 2001. Il Giappone, il paese che più di tutti si era sviluppato nei primi 30 anni del dopoguerra, da un lustro si trova immerso in una crisi economica e finanziaria che non vede sbocchi.

In Italia, secondo Fazio, la ricetta è sempre la solita:
«In Europa un impulso alla crescita e all’occupazione proverrà da interventi strutturali nel mercato del lavoro, nella previdenza e nella sanità e da una riduzione graduale e certa della pressione fiscale».
Come dire: i lavoratori staranno peggio e i capitalisti meglio!

Dunque si annunciano ancora tempi duri per i lavoratori: ad es. le PPTT, ormai semi-privatizzate, hanno chiesto 9 mila licenziamenti (a cui i dipendenti hanno risposto con mezza giornata di sciopero).

Anche il Contratto Nazionale sembra avere i giorni contati: già il governo di centro-sinistra ha lasciato in eredità al nuovo una legge molto favorevole alla CONFINDUSTRIA: prima delle dimissioni Amato le ha regalato infatti, estraendola dal cilindro della legge sul federalismo, la chicca della «devolution» contrattuale: il nuovo art. 117 della Costituzione assegna alle Regioni la tutela e la sicurezza del lavoro.
«È una bomba – spiega M. Biagi, docente di Diritto del Lavoro, su «Corrier Economia» del 19–3–01 –. Potrebbe aprire la strada a un federalismo contrattuale più spinto di quello in vigore negli USA. Ogni regione potrebbe addirittura farsi un proprio statuto dei lavoratori».
Non a caso si ventila l’introduzione della contrattazione individuale. Senza contare i peggioramenti legislativi che rendono più onerose per il lavoratore le cause del lavoro. Tanto che tutti ormai sostengono che lo Statuto dei lavoratori va «superato»!

Per quanto riguarda la flessibilità, che è probabilmente la misura maggiormente richiesta dagli industriali, Berlusconi appena arrivato al governo ha subito adottato la direttiva europea, risolvendo la questione dei contratti a termine lasciata in sospeso per motivi elettorali dal vecchio governo.

Gli industriali chiedono ormai senza più ritegno riduzione delle tasse e della spesa pubblica (leggi: riduzione dello stato sociale), flessibilità del mercato del lavoro, libertà di licenziare, rilancio delle infrastrutture (cioè business finanziati dallo Stato), la riforma della pubblica amministrazione (ossia sacrifici per i lavoratori pubblici) e il rilancio delle privatizzazioni (= comprare per quattro soldi i gioielli del capitale statale). Essi battono la strada degli accordi separati, aziendali e non, con chi ci sta, e naturalmente hanno avuto vita facile con CISL e UIL, la cui esistenza è tutta politica e legata ai partiti borghesi di cui sono emanazioni. Ecco allora accordi come quello della FIAT di Cassino sui cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, che appesantisce i ritmi del 10–20 %.

Per la CGIL il problema è più complesso, perché la sua forza sta anche negli iscritti, e perciò essa è sì disposta a svenderne la pelle, ma in cambio di garanzie e concessioni (le farebbe molta gola ad es. la gestione dei nuovi fondi pensione, basati sul furto dei TFR dei lavoratori). In ogni caso essa già da tempo si è detta disposta a rivedere gli accordi del 23 luglio firmati a furor di popolo e famosi per il loro contenuto antioperaio, tanto che furono accolti dalle piazze con lancio di bulloni.

Le richieste contrattuali, già di per sé ridicole (135 mila lorde per la V categoria, e 96 per la III che rappresenta il 60 % dei metalmeccanici), sono rifiutate dai padroni, che si sentono forti dell’appoggio di una parte dei sindacati e del governo e sono consapevoli del fatto che per quanto faccia la voce grossa, nemmeno la CGIL è disposta a difendere veramente gli interessi dei lavoratori. Per uscire dal suo isolamento la CGIL cerca di recuperare credibilità – dopo i cedimenti di tutti questi anni in cui i governi di «sinistra» hanno attuato una serie mai vista di misure antiproletarie – sia dando vita a mobilitazioni addomesticate, sia «cavalcando» il malcontento operaio ove questo si produce spontaneamente. Ma è importante fare chiarezza sul fatto che la sua politica sarà strumentale a difendere la propria forza politica e quella delle «sinistre». Ciò significa che essa accetterà – se accetterà – di schierarsi dalla parte dei lavoratori solo nella misura in cui ciò sarà funzionale alla difesa del proprio ruolo politico ed alla dimostrazione che la sua forza e il suo ruolo sono indispensabili per controllare i lavoratori ed assicurare la pace sociale.

Quello che stiamo dicendo non è una nostra speculazione, ma si è già verificato innumerevoli volte: basti citare lo sciopero alla FIAT nell’80 o la famosa mobilitazione contro la riforma pensionistica del governo Berlusconi nel '94, la più grande manifestazione di lavoratori dell’Italia del dopoguerra. Una volta ottenuto l’obiettivo di scalzare «il polo» dal governo, infatti, nulla i sindacati fecero quando i governi Dini ed Amato, appoggiati dalle «sinistre», attuarono una riforma pensionistica che andava nella stessa direzione di quella di Berlusconi. Esattamente come CISL e UIL, che anni fa facevano la voce grossa contro i padroni, siamo convinti che anche la CGIL – da tempo schierata sul terreno della difesa degli interessi economici e politici della nazione, ossia della classe capitalista – sia pronta a svendere la pelle dei proletari per un piatto di lenticchie e che essa userà la sua forza organizzativa per tradire la lotta non appena ottenuto un compromesso con il governo e il padronato o se la mobilitazione operaia dovesse sfuggirle di mano.

Sarebbe tuttavia un errore boicottare le forme di agitazione sindacale da essa indette perché l’alternativa alla sua politica collaborazionista va costruita tenendo conto della grande debolezza attuale delle avanguardie di lotta e dello stato d’animo della massa dei lavoratori, che ancora non hanno la coscienza o la forza per scavalcare il sindacalismo opportunista.

I lavoratori più coscienti devono cercare dunque di approfittare delle occasioni di mobilitazione create da questa situazione per organizzarsi autonomamente, dentro e fuori il sindacato, senza dare fiducia alla CGIL.

È in questo spirito che partecipiamo allo sciopero del 6 luglio.


Source: «Partito Comunista Internazionale (Bolletino)», 2001, 36035 Marano Vicentino – Schio

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