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ALLO SLAI COBAS ALFA ROMEO


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Allo SLAI COBAS Alfa Romeo
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Allo SLAI COBAS Alfa Romeo

(Schio, 12 maggio 1999)

Abbiamo avuto modo nei giorni scorsi di visionare la vostra proposta di sottoscrizione nazionale a favore degli operai della Zastava, fabbrica colpita dai bombardamenti NATO.

L’iniziativa, che si distingue dalle altre per il richiamo alla solidarietà classista e internazionalista, merita alcune considerazioni.

Il marasma politico attuale non aiuta certamente gli operai a capire la vera natura di questa guerra e tanto meno esistono forze politiche che riescano a creare una solidarietà genuinamente classista. Crediamo che la risposta del proletariato internazionale alla guerra sia la conferma di una tendenza da lungo tempo consolidatasi: vale a dire la sua pressoché totale immobilità a livello sindacale e politico, che lo porta quindi spesso a sposare la causa della propria borghesia nazionale. Borghesia che gioca molto bene le proprie pedine soprattutto in campo politico, dove, grazie ai suoi partiti di sinistra, riesce a porre la questione sul terreno del nazionalismo: oggi con gli americani o alleati che siano contro i serbi, domani magari cambiando bandiera a seconda di come girino le cose. Emblematico è l’atteggiamento di Rifondazione, che denunciando l’aggressione NATO finisce suo malgrado per appoggiare il nazionalismo serbo: ne sono prova le manifestazioni antimilitariste di Vicenza ed Aviano dove bandiere rosse si fondevano con bandiere Yugoslave e foto di Milošević. Per non parlare dei partiti di sinistra, oggi al governo in tutta Europa, in prima linea in quanto a posizioni interventiste. Essi sono depositari e continuatori nella peggior maniera di una politica opportunista, come quella dei partiti della socialdemocrazia internazionale che in occasione del primo conflitto mondiale tradirono il proletariato appoggiando i propri governi. «La lotta di classe è qualcosa che va messa in soffitta in tempo di guerra» ebbe a dire Kautsky in quell’occasione.

Al contrario noi siamo convinti della sua necessità anche e soprattutto in questi momenti. Lotta di classe che, anche se al giorno d’oggi ridotta ai minimi termini, può esprimersi in un atteggiamento di solidarietà con i lavoratori e le lavoratrici colpiti dalla guerra. È però altrettanto importante definire che tipo di solidarietà va data: essa deve essere innanzitutto un gesto contenente un forte messaggio di unità transnazionale fra i lavoratori sfruttati di due paesi, le cui rispettive borghesie sono in conflitto fra di loro. Deve cioè avere un forte connotato classista, alla faccia di coloro i quali si sbracciano nel raccontarci i drammi delle popolazioni, siano esse kosovare o serbe, e a chiedere aiuti in loro nome.

Parlare di popoli infatti è troppo semplicistico. Non si può ignorare il fatto che pure nella semidistrutta ex-Yugoslavia esistono rapporti di sfruttamento capitalistico e forti disuguaglianze sociali, o che il governo di Belgrado opprime sanguinosamente la popolazione del kosovo, come non si può ignorare che le spese di questa guerra ancora una volta graveranno sulle spalle del proletariato americano ed europeo, perché è dal suo lavoro e dal plusvalore da esso prodotto che nasce la ricchezza per lanciare bombe intelligenti.

È perciò inoltre fondamentale denunciare questa guerra per quello che è, cioè uno sporco affare borghese da tutte le parti in conflitto. Del resto i diversi capitali nazionali, gli stessi che esigono dai proletari la difesa degli interessi della «patria», non ci pensano due volte per investirsi dove fa più comodo. Nessun odio razziale quindi, e nemmeno nessun dittatore antidemocratico impazzito sia esso Clinton o Milošević, ma piuttosto normale amministrazione borghese della ricchezza e del potere, una gestione che crea, e non potrebbe essere altrimenti, continui conflitti di crescenti dimensioni. È una guerra di capitale per il dominio economico di una determinata area geografica, nella quale ingenti quantità di persone vengono spostate come accade agli albanesi kosovari. Essi sono da una parte espulsi e cacciati, dall’altra volontariamente concentrati ed impediti nel tornare a casa propria, proprio perché costituiscono l’alibi di un intervento alleato che sin dal primo momento si è dato la parvenza di missione a scopi umanitari e liberatori, facendo apologia del secessionismo kosovaro e dell’organizzazione che lo propugna: l’UCK, ieri semplici scafisti e gestori dei traffici più illegali, oggi nobili patrioti da appoggiare e sui quali appoggiarsi.

Ritornando all’iniziativa: chi sono questi lavoratori della Zastava che odiano Milošević e cosa significa per loro odiare Milošević? I lavoratori leghisti indubbiamente odiano D’Alema ma non possiamo certo dire che lo facciano in modo classista. La solidarietà va data affinché i proletari serbi vedano che tra i lavoratori dei paesi che li bombardano c’è chi sa opporsi agli interessi nazionali; affinché meglio comprendano la necessità di lottare a loro volta contro la propria borghesia, anche se essa è in questo momento attaccata da una più potente: il nemico si trova nel proprio paese e nessun fronte nazionalista, unitario, interclassista potrà emancipare i proletari dalla loro condizione di sfruttati.

Pensiamo che il gesto di aiutare anche economicamente la lotta contro la borghesia sia un contributo importante; prendiamo tuttavia le distanze da episodi già verificatisi di operai che si interpongono come scudi umani tra le bombe NATO e le proprie fabbriche. Ci dissociamo da questi atteggiamenti sbagliati rispetto ai veri interessi della classe operaia. Essa adottandoli finisce per difendere il luogo del proprio sfruttamento dimenticando di non aver nessun interesse al mantenimento dell’apparato produttivo della borghesia, il quale in ultima analisi è il supporto dello stesso sforzo bellico. Anche se la difesa del posto di lavoro è fondamentale per i lavoratori non è loro compito provvedere alla prosperità del loro capitale nazionale che può così proseguire la guerra.

Del resto furono proprio i proletari europei alla fine della seconda guerra mondiale a contribuire alla ricostruzione dei rispettivi paesi ricavandone in cambio continue pedate e peggioramenti delle condizioni di vita e di lavoro. Perché iniziative di solidarietà verso i lavoratori yugoslavi assumano connotati di vera solidarietà classista ed internazionalista esse non devono assolutamente confondersi con le prese di posizione europeiste o filoserbe oggi sempre più evidenti in una parte dello schieramento politico in Italia (Chiesa compresa), in Europa ecc.

Essere per la pace, contro la NATO o gli USA non basta. Purtroppo il seguito della vostra iniziativa a favore degli operai della Zastava, ossia la creazione di un «Comitato nazionale a sostegno del popolo yugoslavo» assieme alle più svariate forze politiche (tra cui addirittura un’«Associazione dei cittadini yugoslavi») va in direzione opposta alle esigenze dell’internazionalismo classista, che con il «popolo» e i «cittadini» hanno ben poco a che fare.


Source: «Partito Comunista Internazionale» 1999
36035 Marano Vicentino (VI)

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