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L’A.B.C. DEL COMUNISMO – PARTE TEORICA (I)


Content:

L’A.B.C. del comunismo – Sviluppo e decadenza del capitalismo
Introduzione: Il nostro programma
Capitolo I: L’ordinamento sociale capitalista
6. L’economia mercantile
7. La monopolizzazione dei mezzi di produzione per opera della classe capitalistica
8. Il lavoro salariato
9. I rapporti capitalistici di produzione
10. Lo sfruttamento della mano d’opera
11. Il capitale
12. Lo stato capitalista
13. Le contraddizioni dell’ordinamento sociale capitalistico
Capitolo II: Lo sviluppo dell’ordinamento sociale capitalista
Capitolo III: Comunismo e dittatura del proletariato
Capitolo IV: Come lo sviluppo del capitalismo conduca alla rivoluzione comunista
Capitolo V: La seconda e la terza internazionale
Notes
Source


L’A.B.C. del Comunismo

Capitolo I: L’ordinamento sociale capitalista

6. L’economia mercantile

Se noi consideriamo più da vicino l’economia come essa si è sviluppata sotto la dominazione del capitalismo, vediamo innanzi tutto che vi si producono merci. Che cosa c’è di straordinario in ciò?, potrebbe domandare qualcuno. Ciò che vi è di notevole è il fatto che la merce non è un prodotto qualsiasi, bensì un prodotto destinato per il mercato.

Un prodotto non è una merce finché esso viene prodotto per il proprio bisogno. Quando il contadino semina il grano, lo miete, lo trebbia, lo macina e ne cuoce il pane per sé e la sua famiglia, questo pane non è ancora una merce, ma semplicemente pane.

Esso diventa una merce quando lo si vende e si compera, vale a dire, quando lo si produce per il mercato.

Nel regime capitalista tutti i prodotti sono destinati per il mercato, essi diventano tutti quanti merci. Ogni fabbrica, ogni azienda ed ogni officina produce generalmente un solo dato prodotto, ed ognuno comprenderà che questa merce non può essere destinata al proprio bisogno. Il proprietario di un’impresa di pompe funebri, che esercisce un’officina per la fabbricazione di casse mortuarie, non produce certamente queste casse per sé ed i suoi famigliari, ma per il mercato. Il fabbricante di olio di ricino, anche se soffrisse ogni giorno di disturbi gastrici, non consumerebbe che una minima parte dell’olio da lui prodotto. La stessa cosa avviene nella società capitalistica per tutti gli altri prodotti.

I milioni di prodotti che vengono prodotti in una fabbrica di questa specialità non sono destinati al panciotto del proprietario della fabbrica, ma al mercato. Tutto ciò che viene prodotto nella società capitalistica è destinato al mercato, dove confluiscono guanti e salcicce, libri e lucido da scarpe, macchine e liquori, pane, stivali, fucili, insomma tutto ciò che viene prodotto.

Il presupposto dell’economia mercantile è necessariamente la proprietà privata.

L’artigiano e l’esercente, che produce delle merci, possiede il suo laboratorio ed i suoi utensili; l’industriale ed il proprietario d’officina la sua fabbrica e la sua officina con tutti gli stabili, le macchine ed altri beni. E la proprietà privata e l’economia mercantile sono sempre accompagnate dalla lotta per il compratore, dalla concorrenza fra i venditori. Quando non esistevano ancora industriali, proprietari di officine e grandi capitalisti, ma soltanto artigiani lavoratori, anche questi erano in lotta fra di loro per il compratore. E quell’artigiano che era più forte e più abile, che possedeva migliori attrezzi, e soprattutto si era messo da parte qualche piccolo capitale, faceva strada, conquistava la clientela, rovinava gli altri artigiani, e si faceva una fortuna. La piccola proprietà produttrice e l’economia mercantile basata su di essa, contenevano in sé il germe della grande proprietà, ed erano causa della rovina di molti.

La prima caratteristica dell’ordinamento sociale capitalistico è quindi l’economia mercantile, vale a dire una economia che produce per il mercato.

7. La monopolizzazione dei mezzi di produzione per opera della classe capitalistica

Per caratterizzare il capitalismo non basta indicare la sola caratteristica dell’economia mercantile. Vi può essere un’economia mercantile senza capitalisti, come, ad esempio, nell’artigianato. L’artigianato lavora per il mercato e vende i suoi prodotti; i suoi prodotti sono quindi merci e l’intera sua produzione è una produzione di merci. Ma ciò nonostante questa economia mercantile non è ancora una produzione capitalistica, ma una semplice produzione di merci. Perché questa semplice produzione di merci si trasformi in produzione capitalistica è necessario che, da una parte, i mezzi di produzione (attrezzi, macchine, fabbricati, terreni, ecc.) diventino proprietà di una piccola classe di ricchi capitalisti, e dall’altra, che numerosi artigiani e contadini indipendenti diventino operai.

Noi abbiamo già visto che la semplice economia mercantile recava in sé il germe della rovina degli uni e dell’arricchimento degli altri. Ciò è divenuto realtà. In tutti i paesi gli artigiani lavoranti ed i piccoli maestri d’arte sono andati per la maggior parte in rovina. Il più povero, dopo aver venduto in ultimo anche i suoi ordegni, da maestro d’arte ch’era diventò un uomo che non possiede altro che le proprie braccia. Coloro invece che erano un po’ più ricchi divennero ancora più ricchi; essi ingrandirono le proprie officine, acquistarono migliori attrezzi e più tardi anche macchine, cominciarono ad occupare molti operai, e si trasformarono così in fabbricanti.

Tutto ciò che è necessario per la produzione, le fabbriche, le materie prime, i depositi, le case, le miniere, le ferrovie, i piroscafi, passò gradatamente nelle mani di questi ricchi. Tutti questi mezzi di produzione divennero proprietà esclusiva della classe capitalistica (o come si suol dire «monopolio» della classe capitalista). Un piccolo numero di ricchi domina tutto; la maggioranza dei poveri non possiede altro che la propria forza di lavoro. Questo monopolio della classe capitalista sui mezzi di produzione è la seconda caratteristica dell’ordinamento sociale capitalista.

8. Il lavoro salariato

La numerosa classe di uomini che sono rimasti senza alcuna proprietà si è trasformata in classe di lavoratori salariati del capitale. Infine che cosa altro restava da fare al contadino o all’artigianato impoverito? Egli poteva o entrare al servizio del grande proprietario terriero, oppure andare in città e diventare operaio salariato in una fabbrica od in una officina. Non gli restava altra scelta. Così si sviluppò il lavoro salariato, la terza caratteristica dell’ordinamento capitalista.

Che cosa è veramente il lavoro salariato? In altri tempi, quando esisteva ancora la schiavitù, si poteva comperare o vendere ogni schiavo. Uomini di carne ed ossa erano proprietà privata del padrone. Il padrone bastonava a morte lo schiavo, come nell’ubriachezza rompeva una sedia od una poltrona. Lo schiavo o servo della gleba era semplicemente un oggetto. Gli antichi romani dividevano infatti ogni proprietà padronale necessaria alla produzione in «mezzi di lavoro muti» (oggetti), «mezzi di lavoro semi-parlanti» (bestiame da lavoro, pecore, vacche, buoi, ecc.) e «mezzi di lavoro parlanti» (schiavi, uomini). Lo schiavo era un mezzo di lavoro alla stessa stregua della vanga e del bue, che il padrone poteva comperare, vendere o distruggere.

Nel lavoro salariato l’uomo di per sé non viene comperato né venduto. Si compera e si vende non lui, ma soltanto la sua forza-lavoro, la sua capacità di lavoro. L’operaio salariato è personale libero; l’industriale non può né bastonarlo, né venderlo o barattarlo col suo vicino contro un giovane cane da caccia, come era possibile ai tempi del servaggio. L’operaio viene soltanto assoldato. A prima vista sembra addirittura che il capitalista e l’operaio siano ugualmente liberi: «se non vuoi lavorare, puoi farne a meno; nessuno ti costringe a lavorare»: così dicono i signori capitalisti. Essi pretendono perfino di essere loro a nutrire l’operaio, dandogli da lavorare.

In realtà però operai e capitalisti non si trovano nella stessa situazione. Gli operai sono tenuti alla catena mediante la fame. La fame li costringe ad assoldarsi, vale a dire, a vendere la loro forza-lavoro. L’operaio non ha nessun’altra via d’uscita, non gli rimane nessun’altra scelta. Con le sole mani non si può produrre nulla! mettetevi senza macchine e senza ordegni a fucinare l’acciaio, a fabbricare tessuti o a costruire vagoni! Essendo poi tutta la terra di proprietà privata, è impossibile fermarsi in un luogo qualsiasi per impiantarvi un’azienda agricola. La libertà per l’operaio di vendere la sua forza produttiva, la libertà per il capitalista di comperarla, la uguaglianza del capitalista e dell’operaio, tutto ciò non è altro che una catena di fame che costringe l’operaio a lavorare per il capitalista.

L’essenza del lavoro salariato consiste dunque nella vendita della mano d’opera, ossia nella trasformazione della forza-lavoro in merce. Nell’economia mercantile primitiva, di cui parlammo sopra, si poteva trovare sul mercato latte, pane, stoffe, scarpe, ecc., ma non mano d’opera. La mano d’opera non era in vendita. Il suo proprietario, l’artigiano, possedeva, oltre ad essa, anche una cassetta ed i suoi attrezzi. Egli lavorava personalmente, conduceva la sua economia produttiva, impiegava la propria forza lavoro nella propria azienda.

Nel regime capitalista le cose sono ben differenti. Colui che lavora non possiede mezzi di produzione; egli non può impiegare la propria forza-lavoro nella propria azienda. Per non morire di fame egli deve vendere la sua forza-lavoro al capitalista. Accanto al mercato sul quale si vendono cotone, formaggio o macchine, si costituisce il mercato della mano d’opera, sul quale i proletari, cioè gli operai salariati, vendono la loro forza-lavoro. L’economia capitalista si distingue quindi dall’economia mercantile primitiva per il fatto, che nell’economia capitalista anche la forza-lavoro diventa una merce.

La terza caratteristica dell’ordinamento sociale capitalistico è quindi il lavoro salariato.

9. I rapporti capitalistici di produzione

L’essenza dell’ordinamento sociale capitalista è quindi data dalle tre seguenti caratteristiche: la produzione per il mercato (produzione di merci); la monopolizzazione dei mezzi di produzione per opera della classe capitalista; il lavoro salariato, vale a dire, il lavoro basato sulla vendita della mano d’opera.

Tutte queste caratteristiche si connettono con la questione di determinare in quali reciproci rapporti entrino gli uomini attraverso la produzione e la distribuzione dei prodotti. Che cosa significano le definizioni: «economia mercantile» o «produzione per il mercato»? Significano che gli uomini producono l’uno per l’altro, ma ognuno nella propria economia produce per il mercato senza sapere prima a chi egli venderà la propria merce. Prendiamo ad esempio l’artigiano A ed il contadino B. L’artigiano A porta gli stivali da lui prodotti sul mercato, e col denaro che ne ricava compera del pane da B. Lo A, andando al mercato, non sapeva di trovare colà B ed il B non sapeva di incontrarsi coll’A; sia l’uno che l’altro andavano semplicemente al mercato. Quando lo A ebbe comprato il pane dal B ed il B gli stivali dall’A, fu come se il B avesse lavorato per lo A e viceversa lo A per il B; soltanto che la cosa non era così riconoscibile a prima vista. Il movimento del mercato nasconde il fatto che essi lavorano realmente l’uno per l’altro, come se l’uno non potesse vivere senza l’altro. Nell’economia mercantile gli uomini lavorano l’uno per l’altro, ma in modo inorganico ed indipendente, senza accorgersi che in realtà l’uno dipende dall’altro. Nella produzione mercantile le funzioni degli uomini sono quindi distribuite in un dato modo, gli uomini stanno in determinati rapporti l’uno verso l’altro; qui si tratta dunque di reciproci rapporti tra uomini.

Quando si parla di «monopolizzazione dei mezzi di produzione» o di «lavoro salariato», si tratta ugualmente di reciproci rapporti tra uomini. Ed infatti che cosa significa questa «monopolizzazione»?. Essa significa che gli uomini possono produrre merci, a condizione che i produttori lavorino con mezzi di produzione appartenenti ad altri, che i produttori siano sottomessi ai proprietari di questi mezzi di produzione, ecc. insomma, anche qui si tratta di rapporti reciproci tra gli uomini nel corso della produzione. Questi reciproci rapporti tra gli uomini nel corso della produzione si chiamano rapporti di produzione.

Non è difficile riconoscere che i rapporti di produzione non furono sempre uguali. In tempi remoti gli uomini vivevano in piccole comunità; tutti lavoravano insieme da camerati (andavano a caccia, pescavano, raccoglievano frutta e radici) e ripartivano poi tutto fra di loro. Questa è una forma dei rapporti di produzione. Ai tempi della schiavitù vigevano altri rapporti di produzione. Nel regime capitalistico di nuovo altri, ecc. Vi sono dunque diversi generi di rapporti di produzione. Questi generi dei rapporti di produzione formano ciò che si chiama comunemente la struttura economica della società od il sistema di produzione. «I rapporti della produzione capitalistica» o, ciò che è lo stesso, «la struttura capitalistica della società» od «il sistema di produzione capitalistico», non sono altro che i rapporti tra gli uomini nell’economia mercantile, nel possesso monopolistico dei mezzi di produzione da parte di un piccolo numero di capitalisti e nel lavoro salariato della classe operaia.

10. Lo sfruttamento della mano d’opera

Qui sorge il quesito: per quale motivo la classe capitalistica assume degli operai? Ognuno sa che ciò non avviene perché gli industriali vogliano dare da mangiare agli operai affamati, ma per spremere da essi qualche profitto. Per il profitto l’industriale fa costruire la sua fabbrica, per il profitto egli assume i suoi operai, per il profitto egli va in cerca di una buona clientela. Il profitto è la molla di tutte le sue azioni. In ciò si manifesta un tratto caratteristico della società capitalistica. In essa non è già la società quella che produce ciò che le occorre e le è utile, bensì è la classe capitalista quella che costringe gli operai a produrre ciò che viene meglio pagato, ciò che apporta un maggior profitto. La grappa, ad esempio, è un liquore nocivo e l’alcool dovrebbe essere prodotto soltanto per scopi tecnici o medicinali. Ma noi vediamo invece che i capitalisti di tutto il mondo coltivano questa produzione, per la semplice ragione che dall’alcolismo del popolo si può trarre un enorme profitto.

Ora dobbiamo renderci chiaro come si formi il profitto, e a tale scopo vogliamo considerare la questione più da vicino. Il capitalista riceve il profitto in forma di denaro, realizzato con la vendita della merce prodotta nella sua fabbrica. Quanto denaro riceve egli per la sua merce? Ciò dipende dal prezzo della merce. Ora sorge il quesito: come si determina questo prezzo? Perché il prezzo di una merce è alto, quello di un’altra basso? Non è difficile riconoscere che, quando in una qualunque industria vengono introdotte nuove macchine e quindi il lavoro vien reso più produttivo, i prezzi della merce scendono. Viceversa se la produzione viene ostacolata ed il lavoro reso meno produttivo, vale a dire se si producono meno merci, il loro prezzo aumenta[5].

Se la società deve impiegare molto lavoro per produrre una data merce, il prezzo di tale merce sarà alto: se vi è stato impiegato poco lavoro, il prezzo sarà basso. La somma del lavoro sociale impiegato nella produzione di una data merce, dato un livello tecnico medio (cioè, né con le peggiori, né con le migliori macchine e attrezzi), determina il prezzo di questa merce. Ora vediamo che il prezzo è determinato dal valore. Nella pratica il prezzo è ora superiore, ora inferiore al valore, ma per maggiore chiarezza vogliamo ammettere che esso sia uguale.

Parlavamo prima dell’assunzione degli operai. La assunzione degli operai non è altro che la compera di una merce speciale chiamata «mano d’opera». La mano d’opera divenuta merce assume tutti i caratteri di qualunque altra merce. Un proverbio russo dice: «Se ti chiami fungo devi andar a finire nella cesta». Quando il capitalista assume l’operaio, gli paga il prezzo per la sua forza lavoro (o più semplicemente il suo valore). Come viene determinato questo valore? Abbiamo visto che il valore di tutte le merci viene determinato dalla somma del lavoro che è stato impiegato nella sua produzione. Lo stesso vale per la forza-lavoro. Ma che cosa s’intende sotto l’espressione: produzione della forza produttiva? La forza- lavoro non viene prodotta in una fabbrica come la tela, il lucido da scarpe o qualche macchina. Come bisogna intendere la cosa? Basta considerare la vita attuale nel regime capitalista per capire di che si tratti. Ammettiamo che gli operai abbiano in questo momento cessato di lavorare. Essi sono esausti dalla dura fatica, spremute sono le loro energie. La loro forza-lavoro è quasi consumata. Che cosa è necessario per rigenerarla? Mangiare, riposarsi, dormire, rinvigorire l’organismo per restaurare in questo modo le forze. Solo con ciò essi riacquistano la facoltà di lavorare, e la loro capacità produttiva, la loro forza-lavoro è restaurata. Il nutrimento, il vestiario, l’alloggio, insomma, il soddisfacimento dei bisogni dell’operaio rappresenta la produzione della forza-lavoro. Vi si aggiungano ancora altre cose, come le spese di un eventuale tirocinio se si tratta di operai qualificati, ecc.

Tutto ciò che la classe operaia consuma per rinnovare la sua forza-lavoro ha un valore. Il valore degli articoli di consumo e le spese per il tirocinio determinano quindi il valore della forza-lavoro. Differenti merci hanno anche un differente valore. Così anche ogni genere di forza-lavoro ha un differente valore: la forza-lavoro di un tipografo ha un valore differente da quella di un manovale, ecc.

Ora ritorniamo alla fabbrica. Il capitalista acquista materie prime e combustibile, macchine e lubrificanti, ed altre cose indispensabili; infine egli acquista la forza-lavoro, egli «assume operai». Egli paga tutto in contanti. La produzione comincia il suo corso: gli operai lavorano, le macchine corrono, il combustibile arde, il lubrificante si consuma, l’edificio si logora, la forza-lavoro si esaurisce. Ma in compenso una nuova merce esce dalla fabbrica. Questa merce ha come tutte le altre un valore. Quale è il suo valore? In primo luogo essa contiene il valore dei mezzi di produzione consumati: le materie prime, i combustibili, il logoramento delle macchine, ecc. In secondo luogo vi è contenuto il lavoro degli operai. Se per la produzione di questa merce 30 operai impiegarono 30 ore di lavoro essi vi impiegarono complessivamente 900 ore lavorative. Il valore totale della merce prodotta sarà quindi dato dal valore delle materie consumate (ammettiamo che questo valore corrisponda a 600 ore lavorative) e dal nuovo valore aggiuntovi dal lavoro degli operai (900 ore), e sarà quindi rappresentato da 600 più 900 ore uguale a 1500 ore.

Ma quanto viene a costare al capitalista questa merce? Per le materie prime l’intero importo corrispondente a 600 ore lavorative. E per la mano d’opera? Ha egli pagato le intere 900 ore? Qui sta appunto la questione. Egli paga secondo il nostro calcolo l’intero valore della forza-lavoro per i giorni di lavoro. Se 30 operai lavorano per 30 ore, 3 giorni a 10 ore, il fabbricante paga la somma necessaria per il restauro della forza-lavoro consumata in questi giorni. Quale è l’ammontare di questa somma? La risposta è semplice: essa è di gran lunga inferiore al valore di 900 ore. Perché? Perché la somma di lavoro necessaria per il mantenimento della mia forza-lavoro è inferiore alla somma di lavoro che io posso fornire in una giornata. Io sono capace di lavorare 10 ore al giorno, mentre il nutrimento che io consumo, il vestiario che io logoro in un giorno, corrisponderanno forse ad un valore di 5 ore. Io sono quindi capace di lavorare molto più di quanto sia necessario per il mantenimento della mia forza-lavoro. Ammettiamo nel nostro caso che gli operai consumino in tre giorni viveri e vestiario per un valore di 450 ore, mentre essi prestano un lavoro del valore di 900 ore; 450 ore restano al capitalista e formano la fonte del suo profitto. Come abbiamo visto, la merce costa, al capitalista, 1050 ore (600 più 450), mentre egli la vende per il valore di 1500 ore (600 più 900); le 450 ore che vanno a profitto del fabbricante sono il plusvalore creato dalla forza produttiva. Metà del tempo gli operai lavorano per ricostituire ciò che essi personalmente consumano, e l’altra metà interamente per il capitalista. Ora consideriamo tutta la società. A noi non interessa ciò che fa il singolo industriale o il singolo operaio. Noi vogliamo sapere come è congegnata questa enorme macchina chiamata società capitalista. La classe capitalistica da lavoro alla numerosissima classe operaia. In milioni di fabbriche, di miniere, di boschi e di campi lavorano come le formiche centinaia di milioni di operai. Il capitale paga loro il salario, il valore della forza-lavoro, col quale essi rinnovano continuamente questa forza produttiva a profitto del capitale. La classe operaia col suo lavoro non soltanto paga se stessa, ma crea anche gli introiti delle classi dominanti, crea il plusvalore. Per mille vie questo plusvalore confluisce nelle tasche della classe dominante: una parte la riceve il capitalista stesso, e ne costituisce il profitto; una parte la riceve il latifondista, il proprietario terriero; una parte va a finire, sotto forma di imposte, nelle mani dello Stato capitalista; una parte va nelle tasche dei commercianti, dei mediatori, delle chiese e dei postriboli, dei commedianti e dei pennaiuoli borghesi, ecc., ecc. Di questo plusvalore vivono tutti i parassiti che la società capitalista nutre nel suo seno.

Una parte del plusvalore viene però di nuovo investita dai capitalisti. Essi aumentano in questo modo il loro capitale, ingrandiscono le loro aziende, assumono nuovi operai, acquistano macchine più moderne. Un maggior numero di operai produce per essi un maggior plusvalore. Le aziende capitalistiche diventano sempre più grandi. Così il capitale progredisce accumulando plusvalore. Il capitale aumenta spremendo dalla classe operaia il plusvalore, sfruttandola.

11. Il capitale

Ora vediamo chiaramente che cosa sia il capitale. Esso è innanzi tutto un dato valore, sia sotto forma di denaro, macchine, materie prime, fabbricati, sia sotto forma di merce finita. Ma è un valore che serve a produrre un nuovo valore, il plusvalore. La produzione capitalistica è la produzione del plusvalore.

Nella società capitalistica le macchine e i fabbricati appaiono come capitale. Ma macchine e fabbricati sono essi sempre capitale? Certo che no. Se l’intiera società costituisse una economia di compagni producenti tutto per sé stessi, né le macchine né i fabbricati sarebbero capitale, perché essi non costituirebbero i mezzi per creare profitto a favore di pochi ricchi. Le macchine diventano capitale solo quando esse sono proprietà privata della classe capitalista, quando servono allo sfruttamento del lavoro salariato e alla produzione del plusvalore. La forma del valore è in questo caso differente: esso può consistere in dischi metallici, monete, oppure in biglietti di banca, coi quali il capitalista compera la forza-lavoro ed i mezzi di produzione; questo valore può essere anche rappresentato da macchine con le quali gli operai lavorano, o da materie prime con le quali essi producono le merci, o da merce finita destinata alla vendita. Quando questo valore serve per la produzione del plusvalore esso diventa capitale.

Il capitale cambia di solito il suo rivestimento esteriore. Ora vediamo come avviene tale trasformazione:

I. Il capitalista non ha ancora acquistato né la mano d’opera né i mezzi di produzione. Egli bensì desidera assumere operai, acquistare il macchinario, le materie prime, i combustibili, ecc.; ma per ora non possiede che danaro. In questo caso il capitale si presenta nella sua forma monetaria;

II. Con questo danaro egli va sul mercato (s’intende non personalmente; vi è il telefono e il telegrafo).Qui avviene l’acquisto dei mezzi di produzione e della mano d’opera. Il capitalista ritorna nella sua fabbrica senza denaro, ma con operai, macchine, materie prime e combustibile. Adesso tutte queste cose non sono più merci; esse non vengono più vendute. Il denaro si trasforma in mezzi di produzione, in mano d’opera. Il capitale si è spogliato della sua forma monetaria ed appare in quella di capitale industriale.

Poi comincia il lavoro. Le macchine sono in azione, le ruote girano, le leve si muovono, gli operai e le operaie si affaticano, le macchine si logorano, le materie prime si consumano, la forza produttiva si esaurisce;

III. Le materie prime e il macchinario logorati, la forza produttiva consumata si trasformano ora a poco a poco in merce. A questo punto il capitale si sveste della sua forma di impianto industriale ed appare come un cumulo di merci. Ecco il capitale nella sua forma di merce. Ma esso non ha cambiato soltanto la forma. Esso è pure aumentato di valore, poiché il processo di produzione vi ha aggiunto il plusvalore;

VI. Ma il capitalista non fa produrre la merce per il proprio uso, bensì per il mercato, per la vendita. Ciò che è stato accumulato nei suoi magazzini deve vendersi. Dapprincipio il capitalista andò sul mercato come compratore; ora, vi ritorna come venditore. Prima egli aveva in mano denari e voleva merci (mezzi di produzione). Ora egli dispone di merci e desidera denaro. Quando la sua merce viene venduta il capitale passa di nuovo dalla forma di merce nella forma di denaro. Sennonchè la forma di denaro che il capitalista riceve non è più quella originariamente spesa, poiché essa è aumentata dell’importo dell’intero plusvalore.

Ma con ciò il movimento del capitale non è ancora terminato. Il capitale aumentato viene di nuovo messo in circolazione e produce un maggior plusvalore. Questo plusvalore viene in parte aggiunto al capitale e comincia un nuovo ciclo. Il capitale procede come una palla di neve ed ad ogni giro vi resta attaccata una maggiore quantità di plusvalore. In altre parole, la produzione capitalistica si sviluppa e si espande.

In questo modo il capitale spreme alla classe operaia il plusvalore e si espande dappertutto. Il suo rapido sviluppo si spiega colle sue particolari qualità. Lo sfruttamento di una classe da parte di un’altra si conosceva anche in altri tempi. Prendiamo p. es. un feudatario ai tempi del servaggio od un proprietario di schiavi nei tempi antichi. Essi opprimevano i loro servi e schiavi. Tutto ciò che questi producevano veniva consumato dai loro padroni stessi o dal loro seguito, e dai loro numerosi parassiti. La produzione di merci era ancora poco sviluppata. Non si poteva vendere in nessun luogo. Se i latifondisti avessero costretto i loro servi e schiavi a produrre monti di pane, di carne, di pesci ecc., tutto ciò sarebbe putrefatto. La produzione si limitava allora al soddisfacimento dei bisogni fisici del proprietario e della sua brigata. Sotto il capitalismo la cosa è del tutto differente. Qui non si produce più per il soddisfacimento dei bisogni, ma per il profitto. Qui si produce la merce per venderla, per ricavarne un guadagno, per poter accumulare profitto. Quanto maggiore il profitto, tanto meglio. Con ciò si spiega la pazzesca caccia al profitto della classe capitalistica. Questa ingordigia non conosce limiti. Essa è il perno, la molla principale della produzione capitalista.

12. Lo stato capitalista

La società capitalistica è, come abbiamo visto, basata sullo sfruttamento della classe operaia. Una piccola minoranza di uomini domina tutto; la maggioranza degli operai non possiede nulla. I capitalisti comandano; gli operai vengono sfruttati. Tutta la natura della società capitalistica consiste in questo implacabile, sempre crescente sfruttamento.

La produzione è una efficace pompa che serve ad attingere il plusvalore. Come questa pompa si mantiene fino ad un certo tempo in efficienza? Perché tollerano gli operai questo stato di cose?

A questa domanda non è tanto facile dare senz'altro una risposta. Ma in generale vi sono due ragioni: in primo luogo, che l’organizzazione ed il potere si trovano nelle mani della classe capitalistica; in secondo luogo, che la borghesia signoreggia spesso la mente della classe operaia.

Il mezzo più sicuro di cui si serve a questo scopo la borghesia è l’organizzazione statale. In tutti i paesi capitalistici lo Stato non è altro che una associazione degli imprenditori. Prendiamo qualunque paese, l’Inghilterra o gli Stati Uniti, la Francia o il Giappone. I ministri, gli alti funzionari, i deputati sono dappertutto gli stessi capitalisti, latifondisti, imprenditori e banchieri od i loro fedeli e ben rimunerati servitori: avvocati, direttori di banca, professori, generali, arcivescovi e vescovi.

Il complesso di tutti questi dipendenti della borghesia, che abbraccia tutto il paese e lo domina, si chiama Stato. Questa organizzazione della borghesia ha due scopi: in primo luogo, e ciò è la cosa principale, quello di reprimere tutti i movimenti e le insurrezioni degli operai, di assicurare l’indisturbato sfruttamento della classe operaia ed il rafforzamento del sistema di produzione capitalistico, ed in secondo luogo quello di combattere altre simili organizzazioni (cioè altri Stati borghesi) per la ripartizione del plusvalore spremuto dalla classe operaia. Lo Stato capitalistico è quindi un’associazione di imprenditori, che garantisce lo sfruttamento. Solo gli interessi del capitale guidano l’attività di questa associazione brigantesca.

Contro questa concezione dello Stato borghese può essere elevata la seguente obiezione.

Voi affermate che lo Stato si basa interamente sugli interessi del capitale. Ma guardate; in tutti i paesi capitalistici esistono leggi sulle fabbriche che proibiscono o limitano il lavoro dei fanciulli e riducono l’orario di lavoro in confronto di prima. In Germania, per es., esisteva già ai tempi di Guglielmo II un’assicurazione operaia statale relativamente buona; in Inghilterra è stata introdotta una assicurazione operaia dal solerte ministro borghese Lloyd-George; in tutti gli Stati borghesi vengono aperti ospedali e case di salute per gli operai, si costruiscono ferrovie sulle quali possono viaggiare tutti, ricchi e poveri, acquedotti, canalizzazioni, ecc.: cose che godono tutti. Dunque, ci si obbietta, anche nei paesi dove domina il capitale, lo Stato agisce non soltanto nell’interesse del capitale ma anche in quello degli operai. Lo Stato punisce talvolta perfino gl’industriali che trasgrediscono le leggi di fabbrica.

Tali argomenti sono falsi. E precisamente per le seguenti ragioni: è vero che il potere borghese emana talvolta leggi e disposizioni che sono utili anche per la classe operaia. Ma tutto ciò avviene nell’interesse della borghesia stessa. Prendiamo l’esempio delle ferrovie. Esse vengono usate anche dagli operai, sono utili anche ad essi. Ma esse non vennero costruite per gli operai. I commercianti, gl’industriali ne hanno bisogno per il trasporto delle loro merci, per il movimento delle truppe, per il trasporto degli operai, ecc. Il capitale ha bisogno di ferrovie e le costruisce per i propri interessi. Lo Stato capitalista non costruisce le ferrovie perché esse sono utili anche agli operai. Osserviamo ora da vicino la così detta «sanità pubblica», la pulizia delle strade, gli ospedali. In questo campo la borghesia pensa anche ai quartieri operai. È vero che in confronto ai quartieri borghesi del centro, i sobborghi dove abitano gli operai sono sporchi e malsani; ma qualche cosa la borghesia fa ad ogni modo. Perché? Semplicemente perché in caso diverso le malattie si propagherebbero per tutta la città ed anche la borghesia ne soffrirebbe. Anche qui lo Stato e gli organismi locali fanno gl’interessi della borghesia stessa. Ancora un altro esempio. In Francia gli operai negli ultimi decenni impararono dalla borghesia a limitare artificialmente la procreazione: non nascono più figli od al massimo due per ogni famiglia. La miseria tra gli operai è così grande che ad essi riesce quasi impossibile mantenere una numerosa famiglia. Il risultato è che la popolazione della Francia quasi non aumenta. Alla borghesia francese vengono quindi a mancare i soldati. Essa grida perciò: «La nazione va alla rovina. I Tedeschi si propagano più presto di noi! Essi avranno più soldati!». A ciò va aggiunto che le reclute erano di anno in anno sempre più meschine: piccole di statura, strette di torace, deboli di fisico. La borghesia divenne perciò ad un tratto «generosa»; essa cominciò spontaneamente ad introdurre miglioramenti per la classe operaia, affinché gli operai si rimettessero un po’ e producessero più figli. Poiché quando si ammazza la gallina questa cessa di fare le uova.

In tutti questi casi la borghesia adotta misure, che sono bensì utili per la classe operaia, ma con le quali essa persegue i propri interessi. In altri casi queste misure vengono prese dallo Stato borghese sotto la pressione della classe operaia. Di tali leggi ve ne sono molte. Quasi tutte le «leggi di fabbrica» vennero ottenute in questo modo: in seguito alle minacce degli operai. La prima riduzione di orario in Inghilterra, a 10 ore, venne ottenuta dietro minacce degli operai; in Russia il governo zarista emanò le prime leggi di fabbrica impaurito dalle agitazioni operaie e dagli scioperi. Lo Stato, questa organizzazione di imprenditori ostile alla classe operaia, fa nel perseguire i propri interessi il seguente calcolo: «Vale meglio cedere oggi che dover domani accordare il doppio o rischiare la propria pelle». Allo stesso modo l’industriale che cede agli scioperanti accordando loro un piccolo aumento, non cessa di essere borghese sol perché, davanti alla minaccia di disordini, getta al proletariato qualche piccolo osso.

Lo Stato capitalista non è soltanto l’organizzazione più grande e più potente della borghesia, ma anche la organizzazione più complicata, divisa in numerosi dicasteri, i quali estendono in tutte le direzioni i loro tentacoli. E tutto ciò serve allo scopo principale: la difesa, il consolidamento e l’espansione dello sfruttamento della classe operaia. Contro la classe operaia lo Stato borghese dispone dei mezzi di coercizione brutale e di quelli dell’asservimento mentale; essi formano gli organi più importanti dello Stato capitalista.

I mezzi di coercizione brutale sono soprattutto l’esercito, la polizia e gendarmeria, le carceri ed i tribunali, e i loro organi sussidiari: le spie, gli agenti provocatori, l’organizzazione di crumiri, di sicari ecc.

L’esercito dello Stato capitalistico è organizzato in modo speciale. Alla testa dell’esercito sta la casta degli ufficiali «dalle spalline d’oro e d’argento». Essi si reclutano dalle file dei latifondisti feudali, della grande borghesia ed in parte anche degli intellettuali. Questi nemici feroci del proletariato imparano già da ragazzi in scuole speciali (accademie militari) come si bastonino i soldati, come si tuteli «l’onore della divisa» cioè come si mantengano i soldati in completa servitù e li si trasformino in tante pedine. Gli ufficiali appartenenti alla aristocrazia più alta ed alla grande borghesia diventano generali ed immigrati ornati di nastri e di croci.

Gli ufficiali non provengono mai dalle classi povere. Essi tengono nelle proprie mani tutta la massa dei soldati, i quali vengono educati in modo da non osar neppur di domandare per che cosa debbano combattere, e da diventar ciechi strumenti dei loro superiori. Un tale esercito è in prima linea destinato a tener soggetti gli operai.

In Russia l’esercito servì parecchie volte come mezzo per reprimere gli operai e i contadini. Le rivolte dei contadini sotto Alessandro II, prima della loro emancipazione, vennero soffocate dall’esercito. Nel 1905 durante l’insurrezione di Mosca gli operai vennero mitragliati dall’esercito; l’esercito compì le spedizioni punitive nelle province baltiche, nel Caucaso e nella Siberia; esso soffocò negli anni 1906–1908, le rivolte dei contadini in difesa della proprietà dei latifondisti. Durante la guerra vennero mitragliati gli operai di Ivanovo-Vosnessensk, di Kostroma, ecc. Particolarmente feroci furono dappertutto gli ufficiali e generali. All’estero la stessa storia. In Germania l’esercito dello Stato capitalistico fu fedele alla funzione di carnefice della classe operaia. La prima rivolta dei marinai di Kiel venne soffocata dall’esercito. Le insurrezioni degli operai a Berlino, Amburgo, Monaco, vennero pure represse dall’esercito. In Francia si impiegò spesso la truppa per mitragliare scioperanti, ed adesso si fucilano operai e soldati rivoluzionari russi. In Inghilterra l’esercito ha negli ultimi tempo ripetutamente soffocato nel sangue le rivolte degli operai irlandesi, dei semischiavi egiziani, degli Indiani, e nella stessa Inghilterra sono stati aggrediti pacifici comizi di operai. Nella Svizzera ad ogni sciopero vengono mobilitati i reparti mitraglieri e la cosiddetta milizia (l’esercito svizzero); avvenne più di una volta che la milizia facesse fuoco sui proletari. Negli Stati Uniti la truppa ha spesso raso al suolo interi alloggiamenti di operai (per es. durante lo sciopero nel Colorado). Gli eserciti degli Stati capitalistici vogliono ora soffocare la rivoluzione proletaria in Russia, Ungheria, Germania e negli stati balcanici, e reprimere la sollevazione proletaria in tutto il mondo.

Polizia e gendarmeria. Lo Stato capitalistico mantiene, oltre l’esercito regolare, anche un esercito scelto di farabutti ed un corpo speciale addestrato alla lotta contro gli operai. Questi corpi (come la polizia) hanno per compito anche la lotta contro la delinquenza e la difesa della cosiddetta «sicurezza personale e materiale dei cittadini». Ma essi servono nello stesso tempo a perseguitare, arrestare e punire gli operai malcontenti. In Russia la polizia era la tutela più sicura dei latifondisti e dello Zar. Particolarmente brutale è in tutti i paesi capitalistici la polizia segreta («polizia politica», da noi chiamata «Ochrana») ed il corpo della gendarmeria. D’accordo con essi lavora anche una massa di spie, agenti provocatori, crumiri, ecc.

Interessanti sono a questo riguardo i mezzi della polizia segreta americana. Essa sta in stretto contatto con una infinità di «uffici di detectives» privati e semistatali. Le famose avventure di Nat Pinkerton non erano in sostanza che imprese contro gli operai. Gli agenti provocatori distribuivano ai dirigenti operai delle bombe, li incitavano ad assassinare i capitalisti, ecc. Questi sgherri assoldano anche schiere di crumiri (in America essi si chiamano scabes) e bande di sicari armati che hanno il compito di assassinare operai scioperanti.

Non esistono malefatte che questi delinquenti non sarebbero capaci di compiere al servizio dello Stato «democratico» dei capitalisti americani.

Il sistema giudiziario dello Stato borghese è un mezzo di autodifesa di classe della borghesia; la giustizia borghese si vendica in prima linea di coloro che osano intaccare la proprietà capitalistica ed offendere il sistema borghese. Questa giustizia condannò Liebknecht ai lavori forzati, ed assolse i suoi assassini. Le autorità carcerarie statali ed i carnefici eseguiscono le sanzioni dei tribunali borghesi. Tutte queste istituzioni gravano soltanto sui poveri e non sui ricchi.

Queste sono le istituzioni dello Stato capitalistico che hanno per compito di opprimere brutalmente la classe operaia.

Fra i mezzi di asservimento spirituale della classe operaia di cui dispone lo Stato capitalistico sarebbero da menzionare i tre più importanti: la scuola di Stato, la chiesa di Stato e la stampa di Stato o sovvenzionata dallo Stato.

La borghesia capisce di non poter reprimere le masse operi colla sola forza brutale. Essa vede che è necessario annebbiarne anche il cervello. Lo Stato borghese considera l’operaio come bestia da soma, che deve lavorare, ma deve essere messa anche nella impossibilità di mordere. Perciò non soltanto lo si sferza e si uccide quando esso morde, ma lo si addomestica come nei serragli. Perciò lo Stato capitalistico eleva specialisti per l’incretinimento e l’addomesticamento del proletariato: insegnanti borghesi e professori, preti e vescovi, pennaiuoli e giornalisti borghesi. Questi specialisti insegnano ai bambini sin dalla prima infanzia ad ubbidire al capitale, a disprezzare ed odiare i «ribelli». Si raccontano ai bambini delle favole sulla rivoluzione e sui movimenti rivoluzionari, e si glorificano gli imperatori, i re, gli industriali ecc. I preti, al soldo dello Stato, predicano dal pulpito che «ogni potere è istituito da Dio». I giornali borghesi ripetono giorno per giorno questa menzogna ai proletari (i giornali proletari vengono di solito soppressi dallo stato capitalista). Come possono gli operai in tali condizioni uscire dal pantano?

Un brigante imperialista tedesco ha scritto: «Noi abbiamo bisogno non soltanto delle gambe dei soldati, ma anche dei loro cervelli e dei loro cuori». Lo Stato borghese è perciò intento a fare dell’operaio un animale domestico, che lavora indefesso e paziente come un cavallo. Lo Stato capitalistico si assicura in questo modo il suo sviluppo. La macchina sfruttatrice funziona, e spreme continuamente plusvalore dalla classe operaia. E lo Stato sta di guardia a che gli schiavi del salariato non si ribellino.

13. Le contraddizioni dell’ordinamento sociale capitalistico

Ora occorre esaminare se la società capitalista borghese sia ben costruita. Una cosa è solida e buona quando tutte le sue parti vanno d’accordo. Prendiamo il meccanismo d’un orologio. Esso funziona regolarmente e senza arresti soltanto se ogni ingranaggio combacia con l’altro dente per dente.

Consideriamo ora la società capitalista. E noi vedremo subito che essa non è così solidamente costruita come appare a prima vista, ma anzi presenta grandi contraddizioni ed enormi falle. Soprattutto sotto il capitalismo non esiste una organizzata produzione e distribuzione dei prodotti, ma bensì un’anarchia della produzione.

Che cosa significa ciò? Ciò significa che ogni imprenditore capitalista (od ogni associazione capitalistica) produce merci indipendentemente dall’altro. Non è che la società stabilisca quanto e che cosa ad essa occorre, ma gli industriali fanno semplicemente produrre col miraggio di un maggiore profitto ed al fine di battere la concorrenza. Perciò avviene talvolta che vengono prodotte troppe merci (si tratta naturalmente dell’anteguerra) che non possono venir vendute (gli operai non possono acquistare non avendo sufficiente denaro). In questi casi subentra una crisi: si chiudono le fabbriche, gli operai vengono messi sul lastrico. L’anarchia della produzione ha per conseguenza la lotta per il mercato. Ognuno tende a portare via la clientela all’altro, a conquistare il mercato. Questa lotta assume varie forme, vari aspetti; essa comincia con la concorrenza fra due fabbricanti e finisce con una guerra mondiale fra gli Stati capitalistici per la ripartizione dei mercati in tutto il mondo. Qui abbiamo, anziché un combaciare degli organi della società capitalistica, il loro cozzo diretto.

La prima ragione del caos capitalistico sta quindi nell’anarchia della produzione, che trova la sua manifestazione nella crisi, nella concorrenza e nella guerra.

La seconda ragione dello stato caotico della società capitalistica sta nella sua divisione in classi. In fondo la società capitalista non è omogenea, ma divisa in due società: il capitalista da una parte, gli operai ed i poveri dall’altra. Queste due classi si trovano in una continua, inconciliabile ed implacabile inimicizia, che si manifesta nella lotta di classe. Anche qui vediamo che le varie parti della società capitalistica, nonché armonizzare tra loro, si trovano in continuo antagonismo.

Il capitalismo crollerà o no? La risposta a tale quesito dipende dalle seguenti considerazioni. Se, esaminando lo sviluppo del capitalismo, come esso si è verificato nel corso dei tempi, noi troviamo che il suo stato caotico va sempre diminuendo, noi possiamo augurargli una lunga vita; e viceversa noi troviamo che nel corso del tempo le singole parti della società capitalistica cozzano sempre più violentemente l’una contro l’altra e ci persuadiamo che le crepe di questa società si trasformeranno inevitabilmente in abissi, noi possiamo celebrare il suo requiem.

Bisogna quindi prendere in esame il problema dello sviluppo del capitalismo.

Letteratura:
A. Bogdanov, «Breve sunto di dottrina economica»;
K. Kautsky, La dottrina economica di K. Marx;
K. Kautsky, «Programma di Erfurt»;
N. Lenin, «Stato e rivoluzione»;
F. Engels, «Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato»;
F. Engels, «Il socialismo dall’utopia alla scienza».

Notes:
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  1. Noi parliamo qui del cambiamento dei prezzi facendo astrazione dalla moneta e dal fatto che esista molta o poca moneta, moneta in oro o moneta cartacea. Queste oscillazioni dei prezzi possono essere molto grandi, ma esse si manifestano ugualmente per tutte le merci, ciò che non spiega ancora la differenza dei prezzi delle singole merci. La pletora di moneta cartacea, ad esempio, ha fatto salire i prezzi in tutti i paesi. Ma questo rincaro generale non spiega ancora perché una merce sia più cara dell’altra. [⤒]



Source: «Edizioni Prometeo», Milano 1948. Rivisto nella primavera del 2021, passaggi mancanti tradotti dal russo (e le omesse citazioni di Engels dal tedesco) e inseriti. Citazioni, nomi, numeri e paginazione sono stati corretti sulla base dell’originale russo. (sinistra.net)

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