LISC - Libreria Internazionale della Sinistra Comunista
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INTRODUZIONE AD UNA SINTESI GENERALE DEL CONFLITTO RUSSO-CINESE


Content:

Introduzione ad una sintesi generale del conflitto russo-cinese
La crisi degli «anni folli»
Noi, soli di fronte allo stalinismo
Primi sgambetti russi a Mao
Chi ha ingannato e chi si è lasciato ingannare
La confessione
1 – La questione jugoslava
2 – Le rivoluzioni anti-coloniali
3 – La guerra e la pace
4 – U.R.S.S., Cina e proletariato mondiale
Source


Introduzione ad una sintesi generale del conflitto russo-cinese

Quindici anni sono trascorsi dal giorno (16 dicembre 1949) in cui Mao Tse-tung giunse a Mosca per partecipare ai festeggiamenti per il settantesimo compleanno di Stalin. Due anni prima, nel 1947, era stato creato un Ufficio di informazione dei partiti comunisti (Cominform) la cui sede era Belgrado e del quale facevano parte i partiti comunisti di U.R.S.S., Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Cecoslovacchia, Francia, Italia, Jugoslavia. Un mese prima dell’arrivo di Mao a Mosca, gli aderenti al Cominform avevano proclamato per bocca di Gheorghiu Dej che
«il partito comunista jugoslavo era caduto nelle mani di una banda di assassini e di spie».
Nel 1949 Mao sembrava portare al Cremlino, in cambio di 19 milioni di jugoslavi, 600 milioni di cinesi: la «grande rivoluzione cinese» sembrava ravvivare il «prestigio rivoluzionario» di Mosca, cancellare il ruolo controrivoluzionario dello stalinismo nella II guerra imperialista, annullare come una «parentesi tattica» l’alleanza dell’U.R.S.S. con gli U.S.A. e l’Inghilterra, i patti di Yalta e di Postdam, la fondazione dell’O.N.U.

Allo scioglimento dell’Internazionale Comunista nel 1943, seguiva la formazione del Cominform; all’alleanza di guerra con gli USA la vittoria della «grande rivoluzione cinese»; alla sistemazione delle zone d’influenza fra U.R.S.S. e Alleati a Yalta e a Postdam, seguiva nel febbraio 1950 la guerra di Corea. Giusta sembrava dunque essere stata la «tattica» di Stalin dal 1926 al 1940, e dal 1940 al 1947. L’U.R.S.S. aveva «costruito il socialismo in un paese solo»: aveva sconfitto il fascismo: aveva permesso il trionfo del socialismo nell’Europa Orientale e in Cina: intorno a lei un miliardo di uomini «costruiva il socialismo»: dopo aver astutamente sconfitto il fascismo alleandosi con l’imperialismo americano, Stalin «ritornava» nel 1949 alla «rivoluzione» e scatenava la «guerra fredda» contro l’Occidente imperialista.

La crisi degli «anni folli»

Il periodo compreso fra l’autunno del 1947 (creazione del Cominform), il 23 settembre '49 (prima esplosione atomica sovietica), il novembre 1949 (esclusione della Jugoslavia dal Cominform), il 16 dicembre 1949 (arrivo di Mao Tse-tung a Mosca) il febbraio del 1950 (scoppio della guerra di Corea), segna dunque il massimo trionfo dello stalinismo. In questo periodo quasi tutte le forze che avevano in un modo o nell’altro, dal 1926 al 1947, contestato la pretesa di Stalin di rappresentare la continuità del movimento «comunista» nei confronti di Lenin e di Marx, della Rivoluzione d’Ottobre e dell’Internazionale Comunista, si spezzano dinanzi alla strapotenza e al trionfo apparentemente assoluto del movimento diretto dal Cremlino. Questo spezzarsi delle forze residue delle «opposizioni di sinistra» allo stalinismo, si manifesta come dislocazione al fianco dei due «blocchi» che sembravano nel febbraio 1950 alla vigilia della guerra «totale»: il blocco «orientale» e il blocco «occidentale». Da un lato il «trotzkismo» inaugura la tattica «entrista», proclama che «nessuno in questo momento può criticare gli stalinisti», propaganda «la difesa dell’U.R.S.S. e del campo socialista» nell’imminenza della «aggressione imperialista». Dall’altro i transfughi del trotzkismo (Socialisme ou barbarie) e altri gruppi di «oppositori di sinistra» dichiarano che il marxismo è superato dagli avvenimenti, che un nuovo modo di produzione (il «capitalismo burocratico» o «il capitalismo totalitario di Stato») ha preso il posto del «capitalismo dell’ottocento» di Marx, che una «nuova classe» (la «burocrazia») ha sostituito la borghesia, che le radici dello stalinismo si ritrovano in Marx e in Lenin, che il proletariato deve costruire una «nuova strategia, una nuova tattica, e una nuova teoria», che «nuove forme d’organizzazione» (i «consigli operai») devono sostituire il partito marxista, che la guerra imminente fra i due «blocchi» non può essere definita guerra imperialistica perché è una guerra fra le due «burocrazie» dell’Est e dell’Ovest per l’egemonia mondiale. Se il definitivo aggiogamento del trotzkismo al carro di Stalin è evidente nel 1950, è altrettanto evidente che la «revisione di sinistra» del marxismo e la sua teorizzazione della «nuova classe» rappresentano nel 1950 la riproduzione pura e semplice dell’offensiva anti-marxista scatenata dal centro dell’imperialismo mondiale: gli USA. Inoltre, le due forme nelle quali si manifestò nel 1950 il passaggio dei gruppi anti-stalinisti al servizio cosciente od incosciente del blocco occidentale e del blocco orientale, avevano in realtà un solo contenuto: poiché «trotzkisti» e «barbaristi» avevano in comune la certezza della «imminenza della terza guerra mondiale», certezza riflessa nei loro cervelli dalla propaganda dei due blocchi che essi dicevano e credevano di combattere.

Noi, soli di fronte allo stalinismo

Negli «anni folli» dalla creazione del Cominform alla guerra di Corea, la corrente della Sinistra Comunista italiana si organizza definitivamente in P. C. Internazionalista e si presenta come l’unico gruppo rimasto fedele al marxismo rivoluzionario. Solo, in mezzo all’isterismo collettivo che nella pretesa imminenza della terza guerra mondiale non trovava nulla di meglio da fare che abbandonare la teoria marxista e mettersi al servizio aperto o mascherato dei due blocchi, il nostro Partito proclamò allora che la terza guerra mondiale non era affatto imminente. Solo, esso negò la stessa esistenza di un «blocco orientale» che volesse muovere guerra agli Stati Uniti. Solo, ribadì che gli Stati Uniti erano e rimanevano il centro del capitalismo mondiale e previde che il Piano Marshall sarebbe stato esteso all’Europa Orientale. Solo, confutò la pretesa staliniana secondo la quale il socialismo sarebbe stato «costruito» in U.R.S.S. Solo, dimostrò che nessun «nuovo modo di produzione» aveva sostituito il «vecchio capitalismo dell’ottocento» di Marx, e che l’U.R.S.S., culla di questo «nuovo modo di produzione», si trovava nella fase di transizione dal feudalesimo al capitalismo. Negli «anni folli» dal 1947 al 1952, i pochi militanti rimasti fedeli al marxismo rivoluzionario buttarono sul viso degli isterici, degli attivisti, dei traditori, dei venduti al capitale, la verità: il proletariato è stato sconfitto nella più terribile controrivoluzione della storia: il decennio 1950–1960 non darà luogo a nessun tentativo rivoluzionario: il primo e unico compito del partito rivoluzionario nella situazione attuale è rappresentato dalla difesa della teoria marxista.

Primi sgambetti russi a Mao

Questo fu detto, nel 1950, dal nostro Partito. Perciò, noi ci proclamammo allora IL PARTITO: non per investitura divina, né per il numero dei nostri seguaci, ma per l’empirica constatazione che tutti coloro che pretendevano di parlare a nome del proletariato erano in realtà passati al servizio del capitale. Da allora 15 anni sono trascorsi, Mao non ha ottenuto dal Cremlino il riconoscimento del carattere «socialista» della «grande rivoluzione cinese». Ciò da quando la «Pravda», nel resoconto del ricevimento per il settantesimo di Stalin, nel 1949, distinse sottilmente fra le «democrazie popolari impegnate nella lotta per l’edificazione del socialismo» e la Cina che aveva solo spezzato «il giogo dell’oppressione coloniale». Ciò da quando le «Isvestia», nel 1951, criticarono aspramente l’opinione secondo la quale la «grande rivoluzione cinese» avrebbe superato i limiti di una rivoluzione democratico borghese e «antifeudale» e avrebbe contenuto in sé elementi socialisti. Ciò da quando Zhukov, in un dibattito organizzato dall’Accademia delle Scienze sovietiche, dichiarò nel novembre 1951 che la Cina sarebbe stata assorbita ancora per «molto tempo» dall’eliminazione delle «vestigia del feudalesimo», e negò che si potesse «proporre la Cina come modello alle rivoluzioni nazionali, popolari e democratiche degli altri popoli dell’Asia». Ciò da quando V. Avarnic, in un articolo del febbraio 1950 su «Voprosy ekonomiki» assegnò alla
«grande rivoluzione cinese» il compito di «creare le condizioni preliminari che le avrebbero permesso un giorno di impegnarsi nella costruzione delle fondamenta dell’economia socialista».

Oggi, 15 anni sono trascorsi. Ma «il giorno» in cui la Cina, secondo le parole dell’ideologo staliniano V. Avarnic nel febbraio 1950, avrebbe dovuto «impegnarsi nella costruzione delle fondamenta dell’economia socialista», non è ancora venuto per il Cremlino. Né verrà più. Questo, il «grande» Mao è riuscito a capire nel 1964, 15 anni dopo il suo arrivo a Mosca alla vigilia della guerra di Corea, un mese dopo la scomunica di Tito, due anni dopo la fondazione del Cominform.

Perché il «grande» Mao capisse tutto questo 15 anni dopo, è stata necessaria la liquidazione del Cominform, la riabilitazione dell’«assassino», della «spia», del «nazista» Tito: è stato necessario che il «grande» Mao bussasse invano per anni alla porta del Cominform non solo, ma soprattutto del Comecon e del Patto di Varsavia, e che avvenissero il «patto di Mosca» fra U.R.S.S. e U.S.A. nel 1963, e il rifiuto russo di concedere al «grande alleato e fratello» cinese la bomba atomica. Dopo tutto ciò, il «grande» Mao… ha capito. E la lunghezza del periodo necessario alla comprensione del «grande» Mao è sufficiente a fornire una misura della sua «grandezza» e della vigliaccheria e insipienza della borghesia cinese, di cui Mao, l’allievo di Sun Yat-sen, è il rappresentante e l’erede.

Gli isterici di «sinistra» che oggi manifestano a gran voce la loro «sorpresa» di fronte alla «rottura russo-cinese», (gli stessi isterici che nel 1950 credevano imminente la terza guerra mondiale e abbandonavano come un ferro vecchio la teoria marxista per potersi meglio preparare al massacro) sono oggi attoniti di fronte alla «astuzia» con la quale il «grande» Mao avrebbe «ingannato Stalin». La verità intorno a questo «geniale» inganno ad opera di Mao, sul quale gli isterici di «sinistra» fondano 15 anni dopo tutto il loro atteggiamento problematico nei confronti del «fenomeno» cinese («si tratta pur sempre di rivoluzionari che hanno ingannato Stalin», dicono costoro), emerge per ora dal fatto che il «grande» Mao, se è dubbio che sia mai riuscito ad ingannare Stalin, è stato sicuramente e vergognosamente ingannato da Chruščëv.

Furono i «successori di Stalin», fu la troika Chruščëv-Bulganin-Malenkov, a definire nel dicembre 1953, nel telegramma inviato a Mao per il suo sessantesimo compleanno, il capo cinese come «grande teorico del marxismo e del leninismo». Stalin non avrebbe mai indirizzato queste parole a chicchessia, lui, il «quarto classico» dopo Marx Engels e Lenin. Ma oggi é Chruščëv, non Stalin, che definisce «nazista» «il grande teorico» del 1953.

Fu Mikojan, il «commerciante armeno» del Cremlino, che ingannò Mao stipulando gli accordi commerciali dell’ottobre 1954 in base ai quali
«le relazioni amichevoli tra la Russia e la Cina formano la base di una stretta collaborazione tra i due stati, in conformità ai principi della eguaglianza dei diritti, dei vantaggi reciproci, del mutuo rispetto, della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale». Mikojan nel 1954 ingannò Mao facendogli credere che secondo il Cremlino «il giorno di impegnarsi nella costruzione delle fondamenta dell’economia socialista» era finalmente giunto per la Cina. Oggi Mikojan sonda gli ambienti commerciali nipponici, e le acciaierie cinesi sono ferme per l’esodo dei tecnici russi.

Fu Chruščëv che ingannò Mao nel 1953, l’anno della liquidazione di Beria, facendogli credere che il capo della polizia segreta era andato «troppo avanti sulla strada delle concessioni all’occidente» e voleva riavvicinarsi alla Jugoslavia. Ma 15 anni dopo Chruščëv ha dichiarato in Slovenia, il 30 agosto 1963, dinanzi al maresciallo Tito:
«Le vertenze che esistevano tra i partiti comunisti dell’U.R.S.S. e della Jugoslavia sono risolte».

Fu sempre Chruščëv, l’uomo del granoturco e del gulasch, che ingannò Mao giustificando la liquidazione di Malenkov dicendo che quest’ultimo avrebbe voluto frenare lo sviluppo dell’industria pesante a vantaggio della produzione di beni di consumo. Ma oggi Chruščëv lancia la «competizione pacifica» basata sul condominio russo-americano, e l’industria pesante sovietica, se non é più in grado di costruire i missili per «conquistare la luna nel 1970», si disinteressa totalmente della fabbricazione delle armi necessarie ai soldati cinesi sulla catena dell’Himalaya. Fu sempre Chruščëv, il firmatario del trattato di Mosca nel 1963, a ingannare Mao promettendogli la bomba atomica nel 1957. Ma oggi Chruščëv, come può inviare telegrammi a Giovanni XXIII e a Paolo VI, così può difendere il monopolio atomico insieme agli Stati Uniti.

Chi ha ingannato e chi si è lasciato ingannare

Per 11 anni Mao si è fatto ingannare dai Chruščëv e dai Mikojan, concedendo loro il suo appoggio nella lotta per il potere in cambio delle loro promesse. Oggi, solo oggi, Mao si accorge di tutto ciò. E come avrebbe potuto, il «grande» Mao, il rappresentante di quella borghesia cinese che sognò con Sun Yat-sen l’industrializzazione della Cina ad opera dell’imperialismo internazionale e attese invano per 10 anni l’aiuto dell’U.R.S.S. «nella costruzione delle fondamenta dell’economia socialista», ingannare Stalin negli anni 1946–1949?

No, il «grande» Mao, il «grande» ingannato ad opera dei Chruščëv e dei Mikojan, non ha battuto in astuzia l’astuto Stalin nel 1949. Il marxismo rivoluzionario non renderà questo omaggio alla «grandezza» del rappresentante della borghesia cinese: non lo renderà certo a Mao nel 1946, nel momento in cui il «grande campo socialista» nel quale «un miliardo di uomini costruisce il socialismo» si rivela per ciò che sempre è stato: un campo di concentramento nel quale un miliardo di uomini costruisce il capitalismo.

Stalin non fu ingannato da Mao. Stalin sapeva di servire nel modo migliore gli interessi del capitalismo russo quando impose nel 1926 al Partito Comunista Cinese la «teoria della rivoluzione per tappe». Poiché fra Stalin e Mao Tse-tung vi era nel 1926, come nel 1949, almeno questa differenza: Stalin fu un bolscevico, Mao non lo fu mai.

Stalin sapeva, come ex-bolscevico, che cosa significava la teoria menscevica della «rivoluzione per tappe»: sapeva che la tattica menscevica nella doppia rivoluzione impedisce il raggiungimento sia della «prima tappa» (rivoluzione democratico-borghese) che della «seconda» (rivoluzione socialista). Stalin sapeva nel 1926 e nel 1949 che la tattica della rivoluzione «per tappe» avrebbe impedito alla Cina non solo di raggiungere il socialismo, ma di procedere alla industrializzazione capitalistica.

Perciò non Mao ingannò Stalin bensì Stalin ingannò Mao. Tutto ciò è oggi evidente, nel momento in cui gli eredi di Stalin negano per bocca dei Suslov e dei Kuusinen che la Cina abbia raggiunto la «tappa democratica», dopo aver negato per 15 anni che la Cina avesse raggiunto la «tappa socialista»; nel momento in cui Otto Kuusinen, al Comitato Centrale del P.C.U.S. nel febbraio 1964, dopo essersi gesuiticamente domandato:
«Nessuno, s’intende, dubita che nella Repubblica Popolare Cinese vi sia una dittatura. Ma quale?»,
risponde:
«In realtà, in Cina ora non c’è nessuna dittatura del popolo, non c’è posizione dirigente del proletariato, non c’è nemmeno la funzione d’avanguardia del partito. Tutta la fraseologia pseudo-marxista dei dirigenti cinesi serve soltanto a mascherare la vera dittatura che là esiste: la dittatura dei capi, e più esattamente, la dittatura personale».
Tutto ciò è oggi evidente nel momento in cui l’U.R.S.S. nega il suo aiuto alla industrializzazione cinese, e procede con gli USA ad una pianificazione internazionale del mercato delle materie prime e allo sfruttamento imperialistico dei paesi sottosviluppati.

Anche per Mao, oggi, tutto ciò è evidente. Per quanto miserabile sia la sua «grandezza», vogliamo ammettere che il rappresentante della borghesia cinese abbia finalmente compreso nel 1964 di essere stato ingannato due volte da Stalin dal 1926 al 1949, da Chruščëv dal 1953 al 1964. Se tutto ciò è dunque oggi evidente, se ne deduce che è interesse comune di Mao e di Chruščëv impedire che questa evidenza appaia agli occhi del proletariato russo e cinese, agli occhi del proletariato internazionale. Questo comune interesse è per noi il filo rosso che deve essere messo in evidenza nell’analisi della polemica ideologica russo-cinese, il filo rosso che il partito rivoluzionario deve porre sotto gli occhi del proletariato internazionale affinché legga nella polemica ideologica fra Mosca e Pechino la confessione che la controrivoluzione trionfante degli anni 1926–1947 è costretta a rendere alla rivoluzione proletaria veniente.

La confessione

I milioni di parole stampate da Mosca e da Pechino nella loro polemica non hanno preceduto la rottura e lo scontro fra gli Stati Russo e Cinese, ma li hanno al contrario seguiti; questo è il fatto incontestabile che spiega nello stesso tempo l’origine e la funzione di una polemica ideologica che riempie migliaia di libri e di opuscoli in tutte le lingue del mondo.

Mosca e Pechino sono costrette in qualche modo a spiegare al proletariato internazionale il fatto clamoroso di un «campo socialista» che si rivela simile «alla giungla capitalista» se non peggiore. Sono costrette a spiegare in qualche modo al proletariato per quale enigmatico influsso la U.R.S.S. è d’un tratto divenuta «imperialista» per Mao, mentre la Cina è ad un tratto divenuta «nazista» per Chruščëv. Così mentre il Cremlino può servirsi della teoria staliniana della «rivoluzione per tappe» per proclamare di fronte agli operai di tutto il mondo che la «tappa socialista» non è stata mai raggiunta dalla rivoluzione cinese, Pechino può servirsi della scomunica staliniana alla Jugoslavia per proclamare di fronte agli operai di tutto il mondo che la U.R.S.S. di oggi è divenuta la Jugoslavia di ieri; si è, in altre parole, asservita all’imperialismo americano.

La rottura fra Cina e U.R.S.S. ha dunque spezzato il campo della controrivoluzione, e ne ha spezzato la sovrastruttura, la ideologia. Lo stalinismo è diviso in due monconi, e i sofismi ideologici di Mosca e di Pechino non impediranno al proletariato internazionale di scorgere l’abisso controrivoluzionario nel quale i dirigenti russi e cinesi sono precipitati. Se noi intendiamo procedere a un’analisi della polemica ideologica russo-cinese, siamo mossi da questo solo intento: rendere evidente agli occhi del proletariato la natura controrivoluzionaria dei dirigenti russi e dei dirigenti cinesi, quale emerge dalle loro stesse parole.

Le parole di cui è intessuta la polemica ideologica fra Mosca e Pechino, milioni di parole in tutte le lingue del mondo, sono oggi geroglifici sorprendenti, incomprensibili e clamorosi per tutti meno che per noi, meno che per il partito marxista rivoluzionario. Questa polemica ideologica, come non ci sorprende e non suscita in noi né clamore né scalpore, così non dovrebbe interessarci se non ci servisse per ribadire nella conferma della realtà la previsione avanzata dal nostro Partito negli «anni folli» 1950–1960, se non fosse un’arma di propaganda rivoluzionaria nel seno del proletariato a cui possiamo e dobbiamo ricorrere.

Da anni il nostro Partito ha posto come termine necessario alla parabola sinistra della più terribile controrivoluzione della storia la confessione. Poiché la controrivoluzione staliniana non é stata solo la più lunga e la più terribile, ma la più infame: poiché essa ha trionfato inalberando i simboli della Rivoluzione di Ottobre e dell’Internazionale Comunista: poiché ha falsificato lo stesso programma della lotta storica della classe proletaria internazionale: poiché ha «costruito il capitalismo in un paese solo» e lo ha barattato per «socialismo»: per tutto ciò il partito marxista rivoluzionario previde negli anni '50 che la realtà avrebbe costretto la controrivoluzione a confessare la propria natura; per tutto ciò oppose negli anni '50 alla falsificazione del programma della società comunista la rivendicazione del programma integrale della società comunista. Oggi, 15 anni dopo, la confessione giunge per le vie che il nostro Partito aveva previste. Ma solo noi, che abbiamo difeso il «Programma Comunista» negli anni '50, possiamo oggi cogliere nella polemica ideologica russo-cinese la confessione che la controrivoluzione staliniana è costretta a rendere alla rivoluzione proletaria.

Era necessario ricordare tutto questo, ricordare il significato storico di quindici anni di lotta del nostro Partito, per chiarire il motivo che ci spinge ad occuparci in dettaglio della polemica ideologica russo-cinese, per definire lo scopo che nel farlo ci prefiggiamo.

Ci limitiamo a elencare quelli che per noi sono i temi essenziali della polemica ideologica fra Mosca e Pechino, riservandoci di analizzarli successivamente in una serie di articoli.

1 – La questione jugoslava

Gli ideologi di Pechino vanno proclamando, almeno dal l963, che la Jugoslavia è un paese capitalista. In particolare, l’articolo cinese che ci sembra il più completo sull’argomento è apparso sul «Renmin Ribao» e su «Hongqi» il 26 settembre 1963, dunque immediatamente dopo il viaggio della «grande riconciliazione» di Chruščëv in Jugoslavia nell’estate 1963. È opportuno ricordare che nel corso di questo viaggio, precisamente il 30 Agosto 1963 a Velenze in Slovenia, Chruščëv dichiarò in un discorso:
«Le vertenze che esistevano tra i partiti comunisti dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia sono risolte».
A noi interessa esaminare nella polemica cino-sovietica a proposito della Jugoslavia:
A) Come i maoisti sostengono la natura capitalistica della Jugoslavia;
B) perché i maoisti sostengono la natura capitalistica della Jugoslavia.

Circa A): per gli ideologi di Pechino la Jugoslavia è un paese capitalista per i seguenti motivi:
1 – Esistenza di una produzione artigianale nell’industria e di contadini ricchi nell’agricoltura;
2 – La dittatura del proletariato è stata
«trasformata dalla cricca di Tito in dittatura della borghesia burocratica e compradora»;
3 – Il cosiddetto «sistema di autogestione» jugoslavo ha distrutto la centralizzazione dell’economia.

Noi intendiamo dimostrare il carattere ipocrita delle argomentazioni degli ideologi cinesi. Infatti:
1) Nell’Europa Orientale, in U.R.S.S., nella stessa Cina, fiorisce la produzione artigianale nell’industria e si sviluppano contadini ricchi nell’agricoltura. Dunque, gli ideologi cinesi dovrebbero, se non fossero degli stalinisti incalliti e come tali dei falsificatori dei caratteri dell’economia socialista definiti da Marx nel «Capitale» e nella «Critica al Programma di Gotha» e da Lenin in «Stato e rivoluzione», concludere che in tutto il «campo socialista» non si è «costruita» nemmeno una briciola di socialismo.
2) «La borghesia burocratica e compradora» è un aborto ideologico esistente solo nel cervello degli ideologi di Pechino. Spiegheremo come e perché il cervello dei maoisti abbia potuto partorire una simile aberrazione.
3 – La «centralizzazione dell’economia» è un risultato del capitalismo che il socialismo conserva e sviluppa, mentre non è sufficiente a definire l’economia socialista. Anche su questo punto, i maoisti dimostrano di essere stalinisti incalliti e falsificatori spudorati della teoria marxista.

Inoltre, gli ideologi cinesi affermano che l’esperienza Jugoslava avrebbe dimostrato come uno Stato socialista possa ridivenire «pacificamente» capitalista, mentre «gli stessi individui – la cricca di Tito – detengono il potere».

Quest’ultima aberrazione anti-marxista svela la vera natura della polemica cinese contro Belgrado e contro Mosca, e permette di passare al punto B):
Perché i maoisti sostengono che la Jugoslavia é un paese capitalista?

Gli ideologi di Pechino non possono certo rivelare lo scopo dei loro furiosi attacchi alla Jugoslavia proprio perché sono degli ideologi e dei borghesi. Per i marxisti questo scopo si svela con assoluta trasparenza. La polemica fra Cina e U.R.S.S. non è una «disputa fra comunisti» ma un urto fra uno Stato imperialista (l’U.R.S.S.) e un giovane Stato capitalista sulla via dell’industrializzazione e dell’espansione (la Cina). In questo urto, la questione jugoslava gioca per entrambe le parti il ruolo di una «pedina diplomatica»: per i cinesi la Jugoslavia è un paese capitalista, per i russi un paese socialista; il riavvicinamento o la rottura fra Cina e U.R.S.S., così stando le cose, saranno determinati dall’atteggiamento nei confronti della Jugoslavia. In caso di rottura, i cinesi dichiareranno che quanto è avvenuto in Jugoslavia si è ripetuto in U.R.S.S. I russi, dal canto loro, hanno anticipalo la conclusione cinesi con l’intervento di Kuusinen al Comitato Centrale del P.C.U.S. nel febbraio 1964, sostenendo che in Cina non esiste né «dittatura del proletariato» né «dittatura del popolo», ma «dittatura dei capi, dittatura personale».

2 – Le rivoluzioni anti-coloniali

I maoisti non hanno potuto conservare il privilegio di accusare i kruscioviani di tradire «la lotta anti-imperialista» dei popoli di colore. I kruscioviani hanno infatti ritorto con estrema facilità l’accusa nei confronti dei cinesi alla Conferenza di Algeri, dove il rappresentante russo ha accusato la Cina di avere abbandonato i popoli dell’Unione Afro-malgascia per potersi accordare con la Francia di De Gaulle. Nella loro polemica, i cinesi si sono spinti fino a rinfacciare a Thorez di avere contribuito al massacro di 50 000 algerini a Costantina e di 90 000 malgasci nel 1945, e di avere votato i pieni poteri a Mollet per la repressione della rivolta algerina nel 1956.

In questo modo, russi e cinesi si sono smascherati a vicenda. Inoltre, poiché i cinesi hanno portato alla luce il passato asservimento del P.C.F. all’imperialismo francese nel 1945 e nel 1956 essi si sono smascherati come complici del P.C.F. nel 1945 e nel 1956. L’esame di «questo» aspetto della polemica ideologica russo-cinese ci sarà utile per contrapporre ancora una volta al tradimento delle rivoluzioni anti-coloniali ad opera dell’U.R.S.S. e della Cina le tesi classiche di Marx, di Lenin e dell’Internazionale Comunista su questa vitale questione.

3 – La guerra e la pace

Non intendiamo dedicare nemmeno una riga alla questione della «possibilità» o meno della guerra nelle attuali «nuove» condizioni. La propaganda pacifista svolta dal Cremlino non è meno ipocrita della propaganda pacifista svolta dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. I dirigenti del Cremlino, come i dirigenti del Pentagono, malgrado la loro propaganda pacifista, sanno molto bene che «la guerra ci sarà». Anzi, la propaganda é un’arma preventiva di terrorismo ideologico che ha preceduto due guerre mondiali e precederà ugualmente la terza. Se oggi la propaganda pacifista si è fatta più virulenta, ciò dimostra una cosa sola: la III guerra imperialista sarà più temibile di quelle che l’hanno preceduta se il proletariato non avrà la forza di impedirne lo scoppio con una rivoluzione internazionale.

La polemica russo-cinese intorno alla guerra e alla pace sarà esaminata da noi da un altro ben più importante punto di vista: la terza guerra imperialista vedrà l’U.R.S.S. e la Cina alleate o nemiche? E ci sembra di potere ormai rispondere che l’U.R.S.S. e la Cina si troveranno l’una contro l’altra nel corso della terza guerra mondiale.

Non possiamo esporre qui i morivi che determinano questa nostra conclusione. Rileviamo per ora che, contrariamente a quanto la propaganda russa e americana vogliono far apparire, non è la Cina che persegue una rottura con l’U.R.S.S., ma l’U.R.S.S. che persegue una rottura con la Cina. Questo avviene perché un’alleanza dell’U.R.S.S. con la Cina nella prossima guerra andrebbe a vantaggio della seconda, soprattutto in caso di vittoria.

4 – U.R.S.S., Cina e proletariato mondiale

Esamineremo infine la complessa vicenda dei rapporti fra P.C.U.S. e P.C.C. dal 1957 ad oggi, e la serie infinita di lettere che le direzioni dei due partiti si sono scambiate, per dimostrare una cosa sola: l’ipocrisia e la menzogna sistematiche dei dirigenti russi e cinesi nei confronti del proletariato internazionale.

Concluderemo negando ogni diritto a kruscioviani e a maoisti di parlare in nome del proletariato internazionale: contrapporremo, a tutte le ideologie nelle quali va dissolvendosi lo stalinismo, la teoria marxista e il partito rivoluzionario. (vedi rapporto alla riunione di Milano – 1964)


Source: «Programma Comunista», nn. 14, 15 – 1964

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