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DAL «FRONTE UNICO» AL FRONTE NAZIONALE E PATRIOTTICO
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Dal «fronte unico» al fronte nazionale e patriottico
La grande falsificazione
Marxismo e moti nazionali
Dal fronte unico alla lotta di liberazione
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Dal «fronte unico» al fronte nazionale e patriottico
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In un precedente articolo sulla natura opportunistica del «partito nuovo» avevamo messo in rilievo l'abisso che divide il partito di Lenin 1912 - portato in causa dagli enciclopedici per giustificare l'innovazione terminologica di «partito nuovo» - e il partito di Togliatti 1944 e anni successivi.

Passiamo ora ad altri pezzi che compongono il mosaico del partito ultra-degenerato che ha tuttavia la pretesa di richiamarsi al marxismo-leninismo e quindi di agire in «conformità alla dottrina marxista».

Per offrire un quadro più esauriente, ci serviamo di altre citazioni sparse nell'«Enciclopedia socialista» al fine di togliere ogni dubbio - se ancor ve ne fosse - sul carattere controrivoluzionario di un partito, come quello comunista italiano, che non si è certo snaturato a partire dalla «svolta» 1944, giacché tale snaturamento risale almeno all'epoca in cui venne sancito il classico fronte antifascista di collaborazione di classe, favorito al suo nascere da circostanze venutesi a creare dopo la prima guerra mondiale: ripresa del capitalismo mondiale da un lato e, soprattutto, involuzione della III Internazionale, come riflesso della controrivoluzione in Russia e, di conseguenza, dell'ascesa del capitalismo anche nel paese dell'Ottobre Rosso dall'altro.

Il partito «comunista italiano» trovò qui il terreno propizio alla sua involuzione e poté divenire il restauratore del capitalismo indigeno attraverso il fronte unico, la guerra di liberazione, e la disfatta completa del movimento di classe. Lo stesso infame tradimento perpetrato ai danni del comunismo fu naturalmente consumato da tutti i partiti operai legati al capitalismo staliniano di ieri e kruscioviano d'oggi.

Infatti, la rovinosa tabe collaborazionista affonda le sue radici nel radicale «errore di valutazione» compiuto nell'analisi del fenomeno sociale del fascismo dai partiti operai, quando videro in esso una corrente reazionaria diretta a «riportare» sulla scena sociale forze politiche ed economiche pre-borghesi che avrebbero pregiudicato l'esistenza non solo del proletariato ma anche dei ceti intermedi e, in parte, della stessa borghesia (vedremo più avanti come questa «cantonata» sia ancor oggi un'arma di speculazione demagogica nelle mani del «partito nuovo»).

Il non aver decifrato economicamente e politicamente il fascismo, prima come controffensiva capitalistica all'azione di classe intrapresa dal proletariato, poi e soprattutto come violenta e ferrea anticipazione del moderno rapporto politico-economico tra capitale e stato, diede l'avvio alla rovinosa tattica delle alleanze con tutte quelle sottoclassi imbelli ed oscillanti, come i ceti medi e piccolo-borghesi, che, proprio per la loro inconsistenza, finiscono sempre per solidarizzare col grande capitale al primo tentativo di assalto del proletariato al potere e che, come nel primo dopoguerra, non solo si allearono immediatamente al fascismo, ma gli diedero pieno appoggio materiale e ideologico per condurre a termine la «controrivoluzione preventiva».

Che poi, constatato come il quadro politico del fascismo non solo lasciasse intatto il sistema sociale capitalistico, ma ne favorisse e portasse allo spasimo la tendenza alla concentrazione di tutti i mezzi sociali di produzione, i ceti medio e piccolo borghesi abbiano tentato il riscatto aderendo alla collaborazione offerta dai partiti operai e dando vita all'ibrida coalizione che verrà sempre più caratterizzandosi come blocco antifascista, è più che naturale, essendo proprio del borghesume minore di partorire moti spuri e incoerenti ma ben definiti dalla loro natura interclassista. Il risultato vero fu lo snaturamento completo del partito di classe, prontamente sancito dalle nefaste «vittorie» di Spagna e della Resistenza. Storicamente, il fronte unico non ha dunque portato ad altro che ad un maggior asservimento della classe proletaria al putrido giogo del suo sfruttatore, in quanto il fascismo non solo ha condotto a termine il suo corso senza per questo riportarci alla servitù della gleba, ma si è rivelato all'opposto come il preludio alla grande concentrazione capitalistica, vincitrice assoluta in veste democratica sulla scena internazionale del secondo dopoguerra.

Avendo i partiti comunisti legati alla degenerazione russa capovolta l'intera strategia rivoluzionaria del proletariato, la classe operaia mondiale non solo si trovò nell'impossibilità di sfruttare le crisi cicliche del capitalismo pre e post seconda guerra imperialista, per assalire la borghesia attraverso la via insurrezionale e violenta e instaurare il proprio dominio, ma sacrificò milioni di suoi figli sull'altare dell'ideologia, e quindi degli interessi, borghesi, per consumare poi il disgregamento della sua avanguardia nel perseguire menzogneri obiettivi democratici e l'insensata parola d'ordine della restaurazione delle garanzie costituzionali!

La grande falsificazione
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Questa premessa era necessaria per fornire un quadrò più completo delle ragioni che inevitabilmente portarono il partito «comunista italiano» alla «svolta» del 1944, e alla totale degenerazione d'oggi. Infatti, dai temi iniziali del fronte unico si è passati in un parossismo di abiezione fino a chiedere a Vittorio Emanuele III un'elemosina che avrebbe schifato perfino i più bolsi turatiani di buona memoria. La paura costante di «perdere il contatto con le masse» e, quindi, la fregola di entrare nelle grazie dei partiti intermedi, porterà il «partito nuovo» a rinnegare tutta la sua natura e le sue origini rivoluzionarie, per divenire il partito più opportunista che la storia del movimento operaio abbia mai annoverato.

Basta osservare la linea programmatica del «partito nuovo» per aver la conferma del suo contorsionismo ideologico; vi si ritrovano tutte le aspirazioni piccolo-borghesi come il nazionalismo patriottardo, l'indipendenza nazionale, la libertà per tutto il popolo, la giustizia sociale garantita dalla costituzione borghese, ecco tutti ideali che trovano il loro senso nel fatto che, per il «partito nuovo», la borghesia italiana non sarebbe ancora riuscita ad attuarli definitivamente, in quanto il ciclo delle lotte per l'unità nazionale e per «l'indipendenza territoriale ed economica» non sarebbe ancora definitivamente chiuso, e spetterebbe alla classe operaia di divenire «classe nazionale» per chiuderlo e poi dare inizio, con l'alleanza delle forze «meno» reazionarie e dei ceti oppressi dalla concentrazione monopolistica, alla graduale edificazione del socialismo.

Ecco quindi la smaccata apologia del capitalismo «moderno», «democratico» e «progressivo», come tale meritevole dell'appoggio della classe operaia contro il nemico comune (che, naturalmente, si identificherebbe con un presunto fascismo a carattere pre-capitalistico): ecco la raffigurazione del fascismo come somma delle forze reazionarie rappresentate dalla «borghesia agraria e industriale», sotto l'effigie del grande monopolio, che, per il suo
«
carattere antinazionale dimostrato con l'asservimento allo straniero e con l'anteporre all'interesse generale della nazione i suoi interessi di casta»,
sarebbe ancora il nemico da battere in quanto precluderebbe addirittura «l'esistenza del proletariato e di parte della stessa borghesia». Ma diamo la parola all'enciclopedia che chiarisce come meglio non si potrebbe l'esigenza della lotta contro il fascismo «reazionario«in campo non solo nazionale, ma internazionale:
«
L'avvento del fascismo ha messo in giuoco l'esistenza non solo del proletariato ma anche dei ceti medi, e perfino di alcuni ceti borghesi, e ha costituito un pericolo per la civiltà di tutto il mondo; il che ha reso logiche e possibili le coalizioni di tutti gli strati progressivi di ogni genere» e «ha fatto si che la classe operaia, mettendosi dal 25 luglio 1943 alla testa della lotta di liberazione, abbia dimostrato di essere classe nazionale (in conformità alla dottrina marxista, che ha sempre sostenuto le lotte per l'indipendenza nazionale: e basterebbe ricordare l'atteggiamento di simpatia di Marx ed Engels di fronte al nostro Risorgimento)».

Facciamo una parentesi.

In «conformità alla dottrina marxista»: qui si mette d'accordo il diavolo con l'acqua santa. La «simbiosi» tra le pretese teoriche di Mazzini e la dottrina del comunismo scientifico di Carlo Marx doveva, per essere definitivamente sancita, attendere l'epoca del più sfrontato imperialismo. E ad opera di chi? Naturalmente, di un partito «marxista» al quale la novità «non toglie la caratteristica di partito marxista-leninista»! Ma che deliziai.

Marxismo e moti nazionali
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Che per Mazzini, alla classe operaia non spettasse una funzione autonoma, questo lo sapevamo; sapevamo anche che le scudisciate affibbiategli da Marx erano dirette non tanto al suo socialismo inesistente, quanto alla sua posizione moderata, perfino come rivoluzionario borghese, nel quadro del movimento democratico e nazionale italiano. Dopo tutto, era la «sua rivoluzione: affari suoi...»; Ma che dei marxisti, in quanto «tali», dovessero attendere l'epoca del più colossale accentramento economico e politico del potere borghese, per indirizzare la classe operaia sulla via delle rivendicazioni liberal-mazziniane (anziché sulla via della lotta autonoma per l'abbattimento della dittatura borghese, fascista o democratica che sia, e l'instaurazione della dittatura proletaria) come premessa indispensabile ad una «graduale, progressiva e pacifica» ascesa verso il socialismo, attraverso una «politica che non è soltanto di classe (intesa nel senso ristretto e particolaristico!!!) ma anche nazionale (in quanto mira all'interesse non della sola classe operaia ma di tutto il paese)...»; questo è il peggiore aborto ideologico che il mostro opportunista, materialmente organizzato nel «partito nuovo», abbia dato alla luce.

Ma ridiamo la parola al concretismo:
«
il partito comunista si presenta quindi, oggi, come partito nuovo, sovratutto in quanto partito nazionale, il quale continua la lotta per l'indipendenza territoriale ed economica, lottando contro le cricche reazionarie, sciovinistiche (sic!!) asservite ad interessi stranieri, politici, industriali, finanziari»
e, quindi, spetta al proletariato
«
il compito di portare a compimento la rivoluzione per una democrazia ampia e popolare, legando a sé le masse dei contadini piccoli e medi, della piccola borghesia urbana e rurale, e anche di quella parte della borghesia che è minacciata di rovina da parte dei monopoli e dei gruppi dominanti del capitale finanziario». (pag, 210)

Naturalmente, questa piattaforma programmatica piccolo-borghese è la prima e indispensabile tappa perché si possa «edificare» il socialismo, in quanto il socialismo dev'essere «preparato da forme di democrazia» atte a soddisfare non solo il proletariato ma tutte le classi della compagine nazionale, in «conformità della dottrina marxista, che ha sempre sostenuto le lotte per l'indipendenza nazionale...», ecc., ecc.?

Ebbene, che cos'ha a che vedere tutta questa broda col significato cristallino attribuito da Marx e da Engels all'appoggio del proletariato ai moti di liberazione nazionale?

Anzitutto, si trattava per il marxismo in una fase in cui tali moti erano ben lungi dall'essere conclusi, di dar loro un appoggia materiale violento ed armato (non pacifico, come voi patrioti moderni) per spazzare via le sopravvivenze pre-capitalistiche e feudali che impedivano lo sviluppo delle forze produttive e, quindi, anche ritardavano la formazione dello stesso proletariato in classe indipendente, contrapposta al suo inevitabile e ben più mortale nemico, la borghesia.

Già nel «Manifesto dei Comunisti» è detto:
«
I socialisti, nei vari stadi attraversati dalla lotta fra proletariato e borghesia, difendono l'interesse del movimento generale..., lottano bensì per raggiungere scopi immediati nell'interesse delle classi lavoratrici, ma nel moto presente rappresentano eziandio l'avvenire del movimento!» «Essi», prosegue Engels nella lettera a Turati del 1894 - «pigliano dunque parte attiva in ciascuna delle fasi evolutive della lotta delle due classi, senza mai perdere di vista che queste fasi non sono che altrettante tappe conducenti alla prima grande meta: la conquista del potere politico da parte del proletariato, come mezzo di riorganizzazione sociale»: quindi «considerano ogni movimento rivoluzionario o progressivo come un passo nella direzione del loro proprio cammino; è loro missione speciale di spingere avanti gli altri partiti rivoluzionari e, quando uno di questi trionfasse, di salvaguardare gli interessi del proletariato. Questa tattica, che non perde mai di vista il grande fine, risparmia ai socialisti le disillusioni cui vanno soggetti infallibilmente gli altri partiti meno chiaroveggenti sia repubblicani, sia socialisti sentimentali, che scambiano ciò che è una semplice tappa dome il termine finale della marcia in avanti».

In secondo luogo, questa tattica di appoggio armato della classe operaia alle forze avanzate della borghesia rivoluzionaria ha la sua ragione storica unicamente in autentici moti di liberazione nazionale o, fuori d'Europa, di indipendenza dal giogo coloniale. Ma, nell'epoca della borghesia imperialistica, quando ogni risorsa rivoluzionaria della borghesia è definitivamente esaurita, pretendere di applicare una tattica nemmeno unitaria ma di appoggio esterno significa lottare per interessi non solo estranei, ma antitetici a quelli della classe lavoratrice, come tutta la tattica del fronte unico ha storicamente dimostrato.

È inutile che il «partito nuovo» si sforzi di provare che l'Italia di Mazzini e Garibaldi era qualcosa di simile all'Italia imperialistica di De Gasperi e Parri, per mascherare il tradimento consumato ai danni dei lavoratori e nell'esclusivo interesse della conservazione capitalistica. Già Lenin nel capitoletto «La lettera di Engels à Turati del 1894» precisava il pensiero engelsiano circa la «differenza tra la rivoluzione socialista e quella piccolo-borghese» e scriveva:
«
Engels gli spiegava [a Turati] che, nella situazione esistente nell'Italia 1894 egli, Turati, nel ministero del partito piccolo-borghese trionfatore avrebbe difeso e sostenuto di fatto gli interessi di una classe estranea: la piccola borghesia», perché «l'Italia da oltre quarant'anni godeva della libertà...» e per «conseguenza da molto tempo la classe operaia vi aveva potuto sviluppare un'organizzazione indipendente per un rivolgimento socialista...»

Se quindi già allora, nel 1894, era assurdo propugnare una politica ministerialista e piccolo-borghese, in quanto esistevano le premesse affinché il partito della classe operaia intervenisse nei moti di classe come «partito indipendente» (Engels,) e non spettava ai comunisti
«
di preparare direttamente un movimento che non è quello precisamente della classe che noi rappresentiamo» (Engels),
balza subito agli occhi l'aperto tradimento del «partito nuovo» che non ha esitato a far suo nel 1944 un programma piccolo-borghese e ultra-ministerialista (Togliatti alla Grazia e Giustizia, Scoccimarro alle Finanze Gullo all'Agricoltura ecc.) Condividendo
«
volontariamente le responsabilità di tutte le infamie e i tradimenti di fronte alla classe operaia» (Engels).

Dal fronte unico alla lotta di liberazione
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Ci vuole una bella carica di canagliume opportunista per richiamarsi a Marx, Engels e Lenin al fine di giustificare la «guerra di liberazione nazionale» e il fronte comune contro il fascismo per la difesa della patria, dell'indipendenza, della legalità costituzionale quando la stessa borghesia, per motivi di conservazione, non ha esitato un solo istante, da oltre cinquant'anni, a lacerare senza misericordia questi suoi valori, un tempo rivoluzionari e oggi ultrareazionari, per difendere la propria egemonia con ogni violenza contro la minaccia del proprio becchino storico, il proletariato! E una borghesia fra l'altro delle più vili e reazionarie come quella italiana, che non si è mai fatta pregare un attimo per trascinare il «popolo», in combutta con le altre canaglie imperialistiche, nell'immane catastrofe per la spartizione del bottino e il ridimensionamento dei mercati!

È proprio in questa «fase suprema» dell'italico capitalismo imperialistico che il «partito nuovo» impedisce con fermo proposito che nelle masse salariate si diffonda «ogni criterio cospirativo e settario» cioè - oggi come sempre - che prendano piede le altrettanto sacre parole di Lenin che, fin quando durerà la società capitalistica,
«
solo la rivoluzione mondiale del proletariato è in grado di rovesciare la forza unificata dei briganti coronati del capitalismo internazionale»
e, all'infuori della più rigida azione di classe, non esiste altra via per mettere fine alla miseria storica e inumana in cui la borghesia del mondo intero ci ha condotti!

Ecco che, guardando nella giusta luce la sciagurata piattaforma ideologica e programmatica del partito comunista italiano, viene anche naturale la comprensione della strada che esso si propone di battere per «arrivare al socialismo». Esso ritiene «che questo possa essere preparato da forme di democrazia progressiva» consistenti, come tutti sanno, in un'azione di graduale conquista di isolotti nel seno della società capitalistica e di loro trasformazione in nuclei del futuro sistema socialista, per «accelerare» la sostituzione del potere borghese con quello proletario senza il ricorso alle forme insurrezionali (cioè la rivoluzione), e attraverso una «democrazia più larga», che permetta di conquistare lo Stato borghese dall'interno, mediante i meccanismi legislativi ed amministrativi che l'ordinamento attuale comporta. È «In conformità alla dottrina marxista» una teoria simile, che rinnega la violenza, come forza viva ed operante nella società divisa in classi (la violenza è la levatrice della storia: Marx), la teorizzazione del suo movimento e dei suo impiego ad opera del partito rivoluzionario, e infine la sua caratterizzazione di marxista appunto e solo in quanto la difenda nella teoria e nella pratica e, propagandandone il principio, permetta al proletariato di «costituirsi in classe» oggi, e in «classe dominante» domani?

A chi crede ancora che al socialismo si possa arrivare, senza rivoluzione, attraverso la lurida sfinge del secolo, la democrazia, noi buttiamo in faccia le parole di Lenin:
«...
Quale assurdità storica, quale ottusità rappresenta la concezione piccolo-borghese sul passaggio al socialismo attraverso la democrazia in genere, concezione che riscontriamo in tutti i rappresentanti della seconda Internazionale!»;
e li invitiamo a raggiungere Kautsky, Turati, MacDonald, nel limbo della controrivoluzione, nel tempio del super-opportunismo!

Source: «Il Programma Comunista», n. 6, 1963

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