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BOTTINI ASIATICI
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Bottini asiatici
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Bottini asiatici
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Se la «tregua» al confine himalaiano si convertirà in pace - la famosa pace che Krusciov raccomandava a Mao come più importante, oggi, della rivoluzione domani (come se la pace fosse concepibile senza il trionfo della rivoluzione proletaria, e come se il krusciovismo mirasse, anche solo per domani, a uno sbocco rivoluzionario della fetentissima crisi mondiale) - l'unico e vero risultato del conflitto scoppiato e rientrato sarà di aver aperto l'India all'invasione delle merci e dei capitali anglo-americani, e di aver fornito alla borghesia locale un ottimo mezzo per nutrire di nazionalismo esacerbato gli stomaci fin troppo vuoti delle grandi masse; in altri termini, di aver posto termine alla finzione neutralista di Nehru sul doppio terreno dell'ideologia e dei rapporti economici e politici, mentre non è affatto escluso che gli stessi «benefici» vengano, alla lunga, mietuti dalla Cina.

La verità è che, fra i tanti possibili mercati di sbocco di una produzione sovrabbondante in cerca di sbocchi, e di capitali inutilizzati in cerca di impiego, quelli indiano e cinese sono, per mille ragioni che non staremo qui ad esaminare, ma che varrebbe la pena di sottoporre a uno studio attento, i più appetitosi: infatti i nuovi mercati africani, a parte un'accanita concorrenza tedesca e giapponese, presentano tutte le limitazioni inerenti a strutture economiche fragili e arretrate, mentre quelli indiano e cinese offrono i vantaggi propri di paesi che si sono messi già da tempo, sebbene in misura diversa, sulla strada di un'accelerata industrializzazione capitalistica. Le missioni americane e inglesi che si sono subito precipitate in India per capitalizzare la ventata nazionalista e «resistenzialista» suscitata dalla guerra di confine (ventata da cui logicamente sono stati sommersi anche i «comunisti» nazionali, che hanno reso alla borghesia del subcontinente il duplice servigio di schierarsi a favore dell'union sacrée e di far mettere in galera, come suprema ricompensa, i fautori di un vago estremismo alla Mao) hanno oggi mano libera nel loro sforzo di assicurare il mercato del paese di Gandhi e di Nehru ai capitali (nella duplice veste di macchine-impianti e di danaro) in cerca di valorizzazione - il bassissimo costo della manodopera locale promette alti profitti - e alle merci, non solo cannoni, ma beni di consumo immediato, che nelle patrie occidentali si accumulano e non trovano sbocco.

L'affare lo faranno, è chiaro, soprattutto americani ed inglesi: anche sotto questo aspetto Krusciov si è svalutato, nella crisi di Cuba: non ha più carte buone da far valere.

La Cina, che si è fermata ed è difficile dire fino a qual punto vi sia stata costretta da fattori esterni od interni, si presenterà a sua volta come possibile mercato di sbocco, e di scambio, parallelamente all'India? Da tempo l'Inghilterra non solo traffica, ma tende a rafforzare i legami economici, con la Cina di Mao: Albione potrà con una mano dare a Nuova Dehli ciò che non riesce a infliggere a Pechino, e viceversa? E Washington, alla lunga, prenderà la stessa via? Se ne vedrebbero allora delle belle, nel «conflitto ideologico» fra russi e cinesi!

Sarebbe azzardato anticipare il futuro: non si dimentichi tuttavia che, negli ultimi anni, i rapporti commerciati URSS-Cina si sono talmente inariditi che, su quel mercato, c'è posto per chiunque sia pronto a ripetere le gesta mercantili del secolo scorso. «Il Giorno» del 16-10 mostrava che, fra il 1960 e il 1961, le esportazioni dall'URSS alla Cina (in milioni di rubli) erano precipitate da 454,5 a 97,2. Quelle di impianti industriati da 335,4 a 17, quelle di trattori e autocarri (in numero) rispettivamente da 1560 a 35 e da 13.666 a 710. Quelle di grano da 200.000 tonnellate a... zero, mentre, a loro volta, le esportazioni di riso cinese in URSS diminuivano da 414,000 tonnellate a 2500. Ora la Cina ha fame di macchine, di impianti, e di derrate alimentari e, «conflitto ideologico» a parte, l'URSS ha da pelare troppe gatte interne per essere in grado di rifornirla.

Dandone la prova a Cuba - una prova di debolezza sul terreno della forza - Krusciov avrà indicato a Mao il portone a cui battere, un portone di netta marca anglosassone? Sarebbe un altro degli innumerevoli servigi dell'...alta strategia cremlinesca alla conservazione internazionale borghese.

Source: «Il Programma Comunista», 30 novembre 1962, Anno XI, N.22

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