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STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D’OGGI (XV)



Content:

Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (XV)
Parte seconda
Sviluppo dei rapporti di produzione dopo la rivoluzione bolscevica
1 – Politica ed economia
2 – Lezioni senza posa obliate
3 – Altra confusione a «sinistra»
4 – Le due pretese anime di Lenin
5 – Programmi e decreti
6 – Piani della vigilia
7 – Misure economiche immediate
8 – Compiti della rivoluzione
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Parte seconda

Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (XV)

Sviluppo dei rapporti di produzione dopo la rivoluzione bolscevica

1 – Politica ed economia

Dal consolidamento del potere statale del partito bolscevico in Russia sono trascorsi poco meno di quarant’anni, ed essi stanno davanti a noi. Dobbiamo chiarire che le due parti di questo nostro lavoro non stanno in contrapposizione, ma sono stabilite a solo scopo di facilità espositiva. Con la nostra prima ricostruzione siamo andati dalla prima guerra mondiale e dalla caduta del feudale impero degli zar fino alla seconda rivoluzione del 1917 e al suo consolidamento di fronte ai tentativi di rovesciamento, che si pone al 1922. Sono otto tremendi anni durante i quali le armi non cessano, da molte e molte bande, di venire scaricate. In questo primo periodo portiamo in primo piano lo studio dei rapporti di forza tra le classi della società russa ed il problema della conquista e della difesa del potere politico: non perciò separiamo la questione politica da quella economica, inseparabili in linea generale nella nostra concezione; abbiamo anzi cercato di dare ad ogni tratto ragione dei rapporti produttivi e delle forme di proprietà russe in quel periodo di incandescente palingenesi. Nel periodo in cui ora facciamo ingresso, e che in sostanza considereremo iniziato con l’Ottobre 1917, solo in apparenza la detenzione del potere centrale dello Stato non subisce mutamenti, in quanto gli stessi non prendono mai la forma di aperta guerra civile, e la continuità del centro dirigente ed esecutivo inteso come ingranaggio amministrativo e militare non viene fatta vacillare e cadere da episodi di conflitti interni e dalle immani vicende della seconda guerra mondiale: meccanicamente parlando, lo stesso apparato statale e di partito traversa senza capovolgersi queste tremende prove della storia, il che non cessa di essere argomento di primo piano per i fautori politici di questo apparato, per i suoi nemici militari dell’Occidente capitalista, e per quei suoi nemici rivoluzionari tra i quali siamo noi, anche se pochi e poco conosciuti.

Ma, come abbiamo detto, al fondo delle cose l’evoluzione è ben altra da quella che è data da un potere stabile e dalla sua evolvente attività amministrativa e legislativa, con le connesse variazioni dell’economia sociale. Come nella prima parte il tema economico non passò in secondo piano, così non passerà in questa nell’ombra quello politico, quanto a gioco delle classi nella complessa società russa, quanto a gioco degli Stati nel mondo internazionale.

La questione del rapporto tra lotta politica per il potere e svolgimento dei rapporti di produzione è la questione centrale del marxismo. Da tutte le parti, e forse più gravemente da quella di non pochi gruppetti che pure affermano di condannare, come degenerato nell’opportunismo, il movimento che oggi fa capo alla centrale statale di Russia, questa questione viene ogni giorno più confusa: e ad ogni passo viene a noi fatto di rimetterla in chiaro. Le forme economiche si mutano in un processo ininterrotto nella storia delle società umane, ma questo processo si attua solo come effetto di periodi convulsi di lotta, in cui lo scontro politico ed armato di classi avverse spezza le barriere al partorirsi e all’ingrandire accelerato della forma nuova. È il periodo della lotta per il potere e del suo scioglimento a mezzo di una dittatura della forza di domani su quella di ieri, o della dittatura opposta, fino ad una successiva crisi, che ancora una volta nella fine della parte precedente dichiarammo con parole di Lenin. O questa alternativa, o la conservazione di forme antiche, nella loro essenza magnificata da un lato, maledetta dall’altro.

2 – Lezioni senza posa obliate

La tesi, che è quella su «Stato e rivoluzione», si impose come fulgore abbagliante nel tempo di quella grande lotta e le fu dato nella dottrina e nella battaglia il nome di Lenin. Per un tratto tutti stettero o per essa o contro essa: non dubitarono che fosse vera e lottarono perché la storia la vedesse attuata; ovvero lottarono come dannati perché ciò non fosse, ma della potenza della tesi stettero sicuri, e tremarono che giunto fosse il momento in cui la dittatura «di Lenin» fosse imposta su tutto il mondo moderno. Passò quel periodo vitale e ardente, e dopo un breve intervallo ritornerà.

Ma in questo vile e stagnante interludio, da ogni lato, virulenti o appestati, Errore e Menzogna risalgono.

Un economista nostrano, Luigi D’Amato, ha pubblicato un volume di studi «Per la critica dell’economia marxista»: di essi fa parte un saggio finale sulla «Teoria marxista dello Stato» e sulla pretesa evoluzione di essa. La teoria è riferita correttamente:
«Sia Marx che Engels avevano fissato in alcuni punti precisi la concezione comunista dello Stato, secondo la quale lo Stato borghese è un organo del dominio di classe; e il proletariato deve conquistare il potere per servirsene come forza repressiva per schiacciare la borghesia. Segue a questa lotta una fase di transizione dalla società capitalista a quella comunista, che non può essere altro che la dittatura del proletariato. Nella fase ultima, quando le classi saranno sparite, sparirà anche lo Stato».

Fin qui, sebbene noi non citiamo che da un articolo di recensione, dobbiamo dire che l’ideologo avversario ha ben riferita la nostra dottrina.

Perché dunque in una trattazione ben condotta deve seguire un enorme strafalcione storico, a parte le teoriche preferenze e parteggiamenti?

«La grande revisione di questa teoria è ormai compiuta. La teoria di Marx e di Engels è stata cancellata, prima da Lenin, poi da Stalin. Lo Stato sarà conservato anche nel sistema comunista, fino a quando non verrà liquidato l’accerchiamento capitalistico. In conclusione il paradiso comunista, dello Stato senza classi, dello Stato non-Stato, della libertà insomma, è ancora molto lontano, oggi come trentotto anni fa, quando la grande e cruenta esperienza ebbe il suo tragico inizio».

Non ci preme il frasario sbagliato sul paradiso, la libertà, l’esperienza, e altri termini fuori elenco, che non sappiamo se addebitare all’autore. Il falso sta nella parte data a Lenin, e anche a Stalin. Il revisionismo socialista dell’anteguerra aveva preteso di aver cancellata la teoria di Marx ed Engels sulla dittatura, e Lenin la rimise poderosamente in piedi; e mai né con gli scritti né con la pratica rinunziò minimamente alla tesi della sparizione dello Stato, con la stessa decisione con cui, a conoscenza dello stesso avversario di oggi, sostenne ed applicò quella della dittatura.

Quanto a Stalin e ai suoi, mai hanno ammesso di avere mutata la teoria generale dello Stato. Essi hanno dichiarato ed operato che lo Stato di Mosca deve nel periodo attuale, sia pure di 38 anni, rimanere in effetto e potenza massimi: se la ragione fosse lo scopo di sfondare l’accerchiamento capitalistico non sarebbero certo dei revisori di Lenin e Marx. Lo sono, ma in quanto: a) dichiarano che in Russia non occorre più la dittatura, pretendendo che non vi siano da contrastare influenze sociali della forza capitalistica; b) dichiarano che lo scontro con l’accerchiamento darà luogo alla pacifica coesistenza; c) ammettono con questo, se pur nolenti, che il loro Stato è permanente, proprio per la ragione che ne dà la teoria Marx-Engels-Lenin, in quanto non si va verso la società senza classi ma verso la società capitalista.

3 – Altra confusione a «sinistra»

Ma non basta che al disordine e allo smarrimento contribuiscano d’accordo economisti capitalisti e rinnegati stalinisti: vi sono indirizzi che si dicono avversari degli uni e degli altri e che pure si atteggiano a rivedere quella che, per il loro spirito piccolo-borghese, è l’esperienza di Russia e di Lenin. Per costoro l’impiego dello Stato ha fatto cilecca, non perché il ciclo che perfino il D’Amato ha saputo riscrivere sia stato spezzato, ma perché il ciclo fino alla sparizione dello Stato sarebbe illusorio, improponibile. Per costoro non è vero che divisione di classi vuol dire formazione di potere di Stato, ma il contrario; ossia che potere di Stato vuol dire formazione di divisione della società in classi; perché Stato vuol dire burocrazia, burocrazia vorrebbe dire privilegio, concussione, arricchimento, sfruttamento del povero. L’esatto rovescio. Marx scoprì che lo Stato è mortale, questi suoi pretesi fautori scoprono che lo Stato è immortale. E allora trovano ricetta non nuova: la lotta per liberarsi dallo Stato non è lotta politica per il potere centrale: è lotta per iniettare tra le cellule della presente economia quella di una economia futura, guardandosi dal fondare Stati e dittature, guardandosi dal fondare partiti, perché partito e politica vogliono dire fame di potere, fame di ricchezza, dirigenza del lavoro altrui e quindi sfruttamento degli sforzi altrui, e nulla conta quanto si deduce dalla storia dei modi di produzione, delle forze e risorse incessantemente nuove della produzione: tutto conta quanto si deduce dalla cattiveria della umana natura…[120]. Roba come si vede più che fradicia, e roba presentata con aria di trionfo da questi che sul serio si credono innovatori, sostitutori di teorie sorpassate, scopritori e duci di verità nuove. Questi fanno del binomio economia-politica non un dialettico rapporto ma un indefinibile pasticcio, e per la chiara impostazione del dato centrale sui capisaldi Classe-Stato-Rivoluzione fanno forse più male che i tradizionali nemici di Marx, Engels, Lenin, difensori dell’eternità dello Stato giuridico e politico, cui tanto spago sta dando lo stalinismo, e tanto flato.

Basta di costoro, ché altra è per ora la nostra via. Ci occuperemo di essi ancora, e localizzeremo le loro fonti, tra le quali distingueremo le nominabili dalle innominabili: e possono le prime essere quelle che solo in questo breve dopoguerra hanno col filone marxista avuto, sia pure senza successo e senza ulteriore speranza di averne, il primo contatto.

4 – Le due pretese anime di Lenin

Abbiamo dunque in tutto quel che precede detto sempre di quelle che furono le previsioni dei bolscevichi e di Lenin, oltre che sulla lotta per il potere nello Stato, anche sulle trasformazioni nelle forme economiche antiche che sarebbero seguite. Abbiamo lungo tutto questo cammino sempre sostenuto l’idea centrale che mentre nel metodo politico rivoluzionario le vedute erano assolutamente radicali, verso una inesorabile dittatura di classe ed un potere monopolizzato dal partito proletario comunista; invece le rivendicazioni economiche erano straordinariamente modeste, e per il più largo campo contenute nella trasformazione di istituti e forme feudalistiche in forme moderne analoghe a quelle dei paesi occidentali usciti da tempo dalle rivoluzioni liberali borghesi.

Con formula un poco esteriore ma al solito di buona utilità espositiva si può dire che passando dall’agone politico a quello economico passiamo da un Lenin estremista, che senza posa spinge il partito più avanti e a mete più complete, audaci e risolute, che spesso ad altri paion follie, ad un altro Lenin pieno di misura e moderazione, che raccomanda di andare adagio e non sostituire alla realtà sociale generose e verbali illusioni. La chiave di questo preteso enigma e sdoppiamento di «anime» in Lenin è quanto mai semplice e facile a cogliere: il socialismo in economia ha la sua base nello sviluppo dell’integrale moderno mondo capitalista ed imperialista, e non può svolgersi rapidamente che dopo il risultato «politico» di una possente dittatura internazionale della classe lavoratrice, del partito comunista mondiale.

In partenza nella mente di Lenin, come in quella di tutti i marxisti rivoluzionari di ogni paese, era ben fermo che in caso di mancata vittoria della classe operaia in occidente la via della rivoluzione di Russia era segnata: politicamente poteva andare oltre tutti i traguardi e travolgere senza esitare tutte le successive forme statali borghesi, scavalcando di un balzo poderoso i limiti di ogni costituzionalismo e di ogni democrazia parlamentare, applicando in tutta la sua estensione la dittatura di classe e di partito, gettando fuori dalle garanzie legali, sulle rovine di ogni menzogna di eguaglianza di diritto popolare, fino gli ultimi partiti borghesi e piccolo-borghesi, nessuno escluso.

Ove a questo appello grandioso non avesse il proletariato di Occidente risposto, di ben altra misura sarebbe stato il risultato della rivoluzione politica, quanto a forme sociali: i suoi passi, pure risultando grandiosi, si dovevano limitare allo sradicamento di forme antiche: feudali, patriarcali, semibarbare nell’immenso territorio, e ad una parallela azione nel contiguo Oriente, alla liquidazione di economie chiuse, locali, naturali, alla formazione di una circolazione economica interna nazionale, e di una partecipazione a quella internazionale più profonda di quella del tempo zarista col suo peculiare ma moderno imperialismo, all’ulteriore sviluppo delle forme produttive moderne nell’industria, nei trasporti. Come partiti politici e come gruppi sociali doveva la dittatura comunista fieramente punire i capitalisti e borghesi locali, e lavorare per prima scagliare contro quelli esteri i lavoratori rivoluzionari di Occidente, forgiando per essi armi teoriche e fisiche: ma i conti con la forma capitalista della grande produzione in Russia non si sarebbero potuti fare da pari a pari che dopo la Rivoluzione Europea; mentre difficilissima per il suo dialettico contenuto sarebbe stata la lotta contro l’interna piccola produzione e la meschina primitiva insidiosa macchina distributiva, lotta che era rovinoso non vincere, ma che sarebbe stata vinta alla maggior gloria della forma capitalista. Un uomo può essere grande fino al punto di capire questo, e Lenin lo fu: un uomo tanto grande da forzare questo passaggio non esiste: tanto meno potevano scoprirlo gli omuncoli che, liquidati i suoi migliori discepoli e compagni di lotta, presero il posto suo. E forse il senso dell’opera dell’uomo nella storia è di così ridotta portata che, se Lenin fosse vissuto, avrebbe parlato ed agito come costoro: morto, è rimasto nostro, e della Rivoluzione Mondiale.

5 – Programmi e decreti

Fino a questo punto abbiamo potuto discutere la prospettiva economica e sociale del partito di Lenin sulla base dei suoi programmi, delle tesi, delle decisioni dei congressi, di quelle proposte nelle adunate operaie, nei congressi dei Soviet. Da questo punto in poi abbiamo a disposizione doppio ordine di materiali: i programmi che il partito seguita ad elaborare, e i provvedimenti che esso fa attuare dagli organi dello Stato, le leggi, i decreti che vengono emessi. Si intende bene che tale materiale integra quello più importante dei dati effettivi dell’economia russa, dei mutamenti che nel suo quadro si verificano dopo la rivoluzione ed in rapporto alla politica del nuovo potere così come, anche prima, di somma importanza, a partire dagli studi degli stessi marxisti russi, sono stati i caratteri della società russa degli ultimi decenni e dei suoi dati di produzione, lavoro e consumo.

Ogni manifestazione del partito contiene inseparabili, ma in diversa misura, due elementi: quello descrittivo e scientifico su cui strettamente le possibilità immediate e concrete vanno innestate, e quello di agitazione che necessariamente deve andare più oltre, e porre maggiori rivendicazioni anche se di più lontano conseguimento. Quando dal programma di partito passiamo al decreto di Stato, nemmeno questo carattere di agitazione, che ha nelle fasi storiche attive e fertili primaria importanza, può totalmente sparire: in certi casi il rapporto può perfino invertirsi, ed essere meno radicale una tesi di economia teorica che internamente il partito, a sua guida, elabora, di un decreto che fa proclamare e che, oltre ad assicurare provvedimenti pratici, deve anche parlare alle masse, svegliarle e addestrarle a compiti di fasi ulteriori.

Senza di questo, mentre conserverebbe validità quanto dedurremo dagli effettivi accadimenti economici nei loro dati – quando se ne disponga – anche quantitativi, non sarebbe bene utilizzato tutto il materiale legislativo della nuova repubblica rivoluzionaria, non solo quando si tratta di dichiarazioni di principi e di diritti, ma anche quando si tratta di effettivi provvedimenti tecnici. E nulla sarebbe bene inteso se non si sapesse dare il giusto peso a questo elemento di agitazione rivoluzionaria, non diciamo solo legittimo ma necessario e inevitabile, inomissibile, tanto più che si parla al mondo intiero e al proletariato mondiale. Non si tratta di dare a questo dei modelli da imitare, ché anzi non devesi sottacere che le misure pratiche sono assolutamente spurie e ibride a petto di quelle che prenderebbe una repubblica proletaria tedesca o inglese. Ma si tratta che passo per passo, mentre si deve dire che la forma che si realizza è per avventura una forma del tutto borghese, si deve ricordare che se la si ammette e favorisce è solo per l’esigenza del cammino generale del mondo tutto, e quindi della Russia stessa in esso, verso l’integrale programma socialista, post-capitalista. Questo deve soprattutto applicarsi con vigorosa dialettica ai materiali della politica rivoluzionaria degli anni primi, degli anni con Lenin, nei quali la guerra guerreggiata col mondo capitalista era in piedi, sia perché i suoi emissari e agenti in Russia impugnavano tuttora le armi, sia perché i comunisti fuori di Russia miravano ancora al cuore del nemico, e potevano essere alla vigilia di avere nelle mani il potere totale, su macchine economiche della potenza ad esempio di quella germanica, ove i decreti del potere socialista, allo stesso modo, avrebbero preceduto di tempi di mezzo secolo quelli di Russia, e avrebbero dato al seriarsi di questi stessi un anticipo di un quarto di secolo almeno rispetto a quelli di una Russia isolata, preteso modello, berteggiato «paradiso».

Al tempo infame di oggi, della diplomazia, delle Nazioni Unite in cui un Lenin vivo mai sarebbe entrato, della coesistenza pacifica, della non aggressione, e perfino della emulazione internazionale, il linguaggio degli Stati è dai due punti cardinali lo stesso, scialbo, sordo e vile nella stessa misura, e anche la retorica che mai non manca a fianco di questi testi d’ufficio fa risuonare le stesse note, gli stessi ipocriti motivi; la forza di classe in atto o in potenza non è mai invocata, sì i valori popolari, progressivi, democratici, e del più scemo umanitarismo, lacrimato come dai coccodrilli da ambo i saggiatori sinistri di bombe acca.

6 – Piani della vigilia

Possiamo ora riferirci a due scritti di Lenin anteriori ad Ottobre e che fanno larga parte ad un programma economico. Essi precedono la fase della lotta armata per il potere ma sono interessanti perché descrivono la difficile situazione economica della Russia per effetto della guerra e delle rovine lasciate dal regime zarista, nonché dalla insipienza di quello borghese, e mostrano la possibilità di misure positive, che sono in fondo le stesse che i bolscevichi propugneranno dopo l’insurrezione vittoriosa e la salita al potere. Fino a questo punto Lenin tratteggia ancora la possibilità di una pacifica andata al potere dei Soviet, che erano ancora in maggioranza non bolscevichi: mentre solo dal principio di Ottobre 1917 egli porta tutta la sua opera sull’incitamento al partito a prendere senza indugio le armi per rovesciare, come ben sappiamo, il governo di Kerenski.

Il secondo scritto, datato 26–27 settembre / 9–10 ottobre 1917 ha per titolo: «I compiti della Rivoluzione», è più breve, ed ha pochi cenni economici, che sono assai più ampi nel precedente, intitolato: «La catastrofe imminente e come lottare contro di essa», datato 10–14 settembre / 23–27 settembre[121].

Da notare che, benché anche il secondo nel tempo, per ovvi motivi di agitazione e di polemica, parli dell’eventualità di una rivoluzione incruenta, è della stessa data il testo da noi largamente chiosato che dimostra come per i marxisti l’insurrezione è un’arte.

In «La catastrofe imminente», redatta da Lenin nel suo nascondiglio finlandese, si esamina dapprima la carestia dei generi di consumo e l’alta disoccupazione. Si dimostra che sono possibili misure utili per ridurle, ma la sola ragione per cui il governo «socialista» non le applica è il non recar danno ad interessi di proprietari terrieri e di capitalisti. Le misure che indica Lenin sono puramente: Controllo, vigilanza, censimento economico «da parte dello Stato». Egli condanna «l’inerzia totale» dello Stato rispetto alla vita economica: chiede in questa fase solo un indirizzo di «intervento» dello Stato centrale nell’economia. I provvedimenti pratici che non si vogliono applicare sono quelli senz'altro che tutti i governi borghesi belligeranti hanno applicato per fronteggiare pericoli analoghi nella crisi di guerra. Per le banche si propone la nazionalizzazione, o anche meno, la loro fusione in una Banca unica sotto il controllo dello Stato. Lenin spiega nettamente che tale misura non ha alcun contenuto socialista, perché consente solo allo Stato di sapere come va il flusso economico dei capitali e dei valori «senza togliere un kopeko a nessun proprietario» o depositante. Con questo controllo lo Stato può regolamentare la vita economica per evitare la crisi finale: America e Germania lo fanno egregiamente nell’interesse dei borghesi: i partiti russi della sedicente democrazia rivoluzionaria non osano né vorrebbero farlo nell’interesse delle classi povere.

Secondo punto: nazionalizzazione dei sindacati capitalisti. Si tratta dei trust, dei cartelli industriali, prodotti del moderno imperialismo ben noti in Russia anche sotto lo zar. Come altrove essi controllano produzione e consumo in date branche: zucchero, carbone, petrolio. Si tratta di sostituire a questi monopoli di gruppi privati il monopolio di Stato su detti rami. Tale misura non è ancora la statizzazione dell’azienda industriale (che nemmeno è socialismo) ma solo il trapasso dal gruppo privato allo Stato del meccanismo che è già in grado di regolare dal centro la produzione e il mercato di quelle merci: ciò farà lo Stato, imponendolo agli industriali, senza espropriarli con ciò dei capitali, né dei profitti.

Altro e terzo punto: abolizione del segreto commerciale. Senza di questo non è possibile alcun controllo di Stato e nessuna indagine sulle fughe di profitti e soprapprofitti. Altra misura odierna di tutti gli Stati borghesi con le varie polizie tributarie e indagini fiscali.

Quarto: la cartellizzazione forzata. Questo vuol dire che lo Stato, nelle branche dove non vi è monopolio e cartello che formi i prezzi di mercato, obbliga i padroni privati, tali restando, a sindacarsi tra loro. È citato l’esempio della Germania.

Tutte queste misure, minime e immediate, in un paese borghese con arretrati feudali, tendono ad affrettare il passaggio dal capitalismo di aziende autonome e concorrenziali a quello di monopoli di produzione e prezzi di imperio. Nei paesi borghesi odierni, e che si pretendono come l’Italia arretrati, di che si occupa l’imbecillità dei formali «leninisti»? Strillare perché siano aboliti i monopoli e titillati i «liberi» piccoli industriali e commercianti, e perfino i medi! Sunt lacrimae rerum!

Regolamentazione del consumo, ultimo punto. La Russia ha fin qui dal tempo zarista avuto come gli altri paesi in guerra la tessera del pane. Ma in tutto il campo del consumo i ricchi non ricevono dal governo alcun disturbo. Questo aveva in quel tempo elevato il prezzo di calmiere del grano e quindi del pane, il che vanamente gli stessi socialisti riformisti avevano deprecato: l’influenza di borghesi agrari e commercianti urbani sullo Stato lo aveva consentito al traditore Kerenski; qui l’economia di Lenin è spiccia: mettere il premier in prigione.

7 – Misure economiche immediate

Delineato il pericolo della bancarotta dello Stato e dell’inflazione monetaria, in questo schema di programma si propone null’altro che un’imposta sul reddito dei capitali fortemente progressiva, che esiste fin dallo zar ma diverrebbe non fittizia solo grazie ad un controllo proletario, al posto del controllo burocratico-reazionario proprio degli Stati esteri.

La parte polemica e politica di questo scritto già è stata da noi invocata. Non si tratta di proporre il socialismo, che non è possibile, ma di provare che i menscevichi e gli esserre non osano queste semplici misure pratiche perché temono di «marciare verso il socialismo».

Qui Lenin tratteggia quella dottrina, cui ricorrerà in tutta coerenza nell’opuscolo del 1921 «Sull’imposta in Natura» che dette luogo alla cosiddetta NEP e che dovrà formare nostro ampio argomento.

In guerra tutti gli Stati si sono evoluti verso un capitalismo monopolistico di Stato che i Kautsky chiamarono in Germania «socialismo di guerra». Non sarà altro, decenni dopo, il «socialismo» nazionale di Hitler. Questo apparato serve alla guerra e agli interessi del capitale. Ma questo stesso apparato, se lo Stato cadesse nelle mani della classe proletaria, servirebbe a lei.

Questi passi di Lenin mostrano come egli tracci il cammino delle forme successive, che la guerra imperialista aveva scatenato. Capitalismo privato. Capitalismo monopolista. Capitalismo monopolista di Stato. Qui siamo nell’«anticamera del socialismo», su quel «gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo»[122].

Perciò Lenin afferma che
«la guerra imperialista è la vigilia della rivoluzione socialista».
E aggiunge:
«non solo perché la guerra con i suoi orrori genera l’insurrezione proletaria – nessuna insurrezione creerà il socialismo se esso non è maturo economicamente»[123],
ma appunto per la detta ragione dell’avvento sistematico del monopolismo. Questo (orrore degli odierni cominformisti) costituisce un «passo» sulla «strada» del socialismo.

Lenin guarda ancora qui alla rivoluzione europea. Rimprovera ai Kerenski e soci di evitare quei passi perché non vogliono il socialismo, ma quanto alla Russia precisa:
«è impossibile avanzare senza marciare verso il socialismo, senza muovere dei passi verso il socialismo (passi determinati e condizionati dal livello della tecnica e della cultura: non si può «introdurre» la grande azienda meccanizzata nell’agricoltura a piccola economia contadina, come non la si potrebbe sopprimere nella produzione dello zucchero)».

Messa così chiaramente la tesi delle indispensabili condizioni teoriche per il socialismo, Lenin rinfaccia la paura di esso che hanno i «destri». Essi ne affrontano il problema in modo scolastico, dalla dottrina che hanno imparata a memoria e mal compresa, come un avvenire ignoto, lontano, oscuro.

«Ma il socialismo ci guarda da tutte le finestre del capitalismo moderno; e il socialismo si delinea direttamente e praticamente in ogni provvedimento importante che costituisca un passo avanti sulla base di questo stesso capitalismo moderno»[124].

La previsione di Lenin è sicura. Coi dati dell’economia russa, se tali fossero magari non solo in Russia ma nel mondo intiero, si possono solo aprire finestre nel capitalismo, da cui guarda il socialismo: costruire il socialismo no. Stalin e soci hanno costruito, invero, moltissime di queste finestre, nelle officine delle grandi città industriali, nelle moli delle centrali idroelettriche. Ma il socialismo non ci guarda affatto in Russia dalle finestre delle case colcosiane dei contadini: esso in Italia ed oggi ci volge addirittura il tergo dalle finestre delle case, fabbricate in carrozzoni capitalistici e già rotte dalle intemperie, erette dal caro ai cominformisti (anche se diffamato per ragioni di elettorale bottega) Ente della riforma fondiaria.

8 – Compiti della rivoluzione

Riferimmo del testo così intitolato la descrizione della Russia come un paese nella maggioranza immensa di piccola borghesia. Non adesso ci chiediamo se dopo quarant’anni questa maggioranza sia mutata. Lenin ne deduce che la causa della rivoluzione dipende dalle alternanze di questa classe: se essa va coi borghesi anziché con gli operai comunisti, la rivoluzione cadrà.

Per deciderla a rompere con la borghesia senza che una dittatura strettamente operaia ve la costringa con la forza (come di fatto in larga misura avvenne, perché gli alleati dei bolscevichi furono contadini del tutto proletari, e non piccoli borghesi), Lenin ancora una volta elenca il programma sociale della seconda rivoluzione, che ha il diritto al nome di socialista perché pacifica non fu, e perché quel programma è tutto tessuto di «passi» in quel tempo e paese audacissimi verso il socialismo, ma di misure di contenuto non ancora socialista, se considerate come punti di arrivo, in quanto già attuate in paesi governati dai capitalisti.

Primo punto: Il potere ai Soviet. Punto politico, totalmente socialista, dato che i Soviet erano oramai sul punto di volgere le spalle agli opportunisti e coalizionisti con la borghesia.

Secondo punto: La pace ai popoli. Altro punto politico socialista: proposta immediata di armistizio e pace generale senza annessioni. In caso di rifiuto, denunzia dell’alleanza con l’Intesa. Lenin risponde alla minaccia che questa privi la Russia di aiuto finanziario (che sostiene i proletari russi come la corda sostiene l’impiccato) e alla minaccia di invaderla.

Terzo punto: La terra ai lavoratori. Questo punto, cui abbiamo dedicato ripetute trattazioni, sarà ovviamente ancora svolto, e il suo contenuto non è socialista nel senso economico (Lenin dirà più oltre: ci rinfacciate di avere adottato il programma socialrivoluzionario), in quanto in effetti vi è una marcia indietro tra programma e decreti. Qui non si dice né spartizione né nazionalizzazione, ma abolizione della proprietà privata fondiaria e gestione dei comitati contadini. Accenno alla distribuzione del capitale-scorte ai contadini poveri. Non è socialismo distribuire, come anche oggi, terre e capitali.

Quarto punto: Lotta contro lo sfacelo economico coi postulati di cui ai precedenti paragrafi in materia industriale finanziaria e commerciale.

Per l’ultima volta nella storia Lenin considera l’ipotesi di una rivoluzione pacifica, con
«elezione pacifica dei deputati [non dice dell’assemblea costituente ma vuol dire dei Soviet] da parte del popolo, lotta pacifica dei partiti in seno al Soviet, verifica pratica del programma dei vari partiti, passaggio pacifico del potere da un partito all’altro [nel Soviet]»[125].

È, per le necessità in ultima istanza della dialettica delle forze in un momento di instabile equilibrio, della polemica e dell’agitazione, la presentazione coraggiosa della «faccia complementare» della realtà storica.

Ma (nello stesso giorno partiva la lettera al Comitato Centrale sul marxismo e l’insurrezione) viene subito dopo la faccia diretta della previsione, che leggiamo oggi nella sua indicibile forza.

«Se non si coglie questa occasione [leggete da dialettici: se non accettate questo ultimatum, che canaglie vostre pari non possono accettare] la più aspra guerra civile tra la borghesia ed il proletariato è inevitabile, come dimostra tutto il corso della rivoluzione, cominciando dal movimento del 20 aprile fino all’avventura di Kornilov. La catastrofe [economica] inevitabile affretterà la guerra civile. Come lo attestano tutti i dati e tutte le considerazioni accessibili alla mente umana, le guerra civile finirà con la completa vittoria della classe operaia, sostenuta dai contadini poveri, per quanto possa essere sanguinosa e crudele, PER LA REALIZZAZIONE DEL PROGRAMMA SUESPOSTO».

Programma economico basso basso, perché anche la volontà rivoluzionaria non può violare le condizioni determinate dallo sviluppo delle forze produttive.

Dinamica rivoluzionaria altissima, al più alto potenziale che abbia fino ad oggi visto la storia della società moderna.

Nessun timore nel movimento glorioso del bolscevismo ad andare incontro a questa fiammante contrapposizione: farsi portatore di un programma inferiore socialmente a quello che si potrebbe prendere a prestito da una repubblica borghese progredita ed avanzata; svolgere una politica di classe tale da far tremare sulle basi tutto il mondo capitalista.

Allora, ed oggi e domani non meno di allora, una è la soluzione di questa durissima antitesi: lo scatenamento della guerra di classe nel seno dei più potenti paesi del capitalismo, la dittatura proletaria in Europa e nel mondo bianco, ed enormemente a questa più vicina la doppia rivoluzione dei popoli colorati, la cui teoria non può essere costruita con altro materiale che con quello che ci dà la chiave marxista dell’enigma russo: doppia rivoluzione politica borghese e socialista – società economica post-rivoluzionaria soltanto capitalista, e non socialista. Passo gigante che ha fatto la storia sulla via del socialismo mondiale.



Notes:
[prev.] [content] [end]

  1. Sulla critica di queste elucubrazioni, si vedano in particolare i tre «Fili del tempo» intitolati «La batracomiomachia», «Gracidamento della prassi», «Danza dei fantocci, e apparsi nei nr. 10–11–12 del 1953 de «Il programma comunista», oggi raccolti in «Classe, partito, stato nella teoria marxista», Edizioni Il programma comunista, Milano 1972. [⤒]

  2. Rispettivamente in Lenin, «Opere», XXVI, pagg. 48–57, e XXV, pagg. 307–347. [⤒]

  3. Lenin, «La catastrofe imminente e come lottare contro di essa», in «Opere», XXV, pag. 341. [⤒]

  4. Lenin, «La catastrofe imminente e come lottare contro di essa», in «Opere», XXV, pag. 341. [⤒]

  5. Lenin, «La catastrofe imminente e come lottare contro di essa», in «Opere», XXV, pag. 342. [⤒]

  6. «I compiti della rivoluzione», cit., in «Opere», XXVI, pag. 56, come il brano successivo. [⤒]


Source: «Il Programma Comunista», N. 4, Febbraio 1956

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