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STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D’OGGI (I)



Content:

Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (I)
Premessa
1 – Riferimento a trattazioni precedenti
2 – Piano del presente rapporto
3 – Ulteriore trattazione sulla «tattica»
4 – Risultati acquisiti
5 – La formula di Lenin
6 – Confronto con l’evento
7 – Storia di mezzo secolo
8 – Distruzione della guerra
9 – Liquidazione degli alleati
10 – Demolizione dello Stato
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Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (I)

Premessa

1 – Riferimento a trattazioni precedenti

Il tema attuale si può considerare diretta continuazione di quello che venne trattato nella riunione generale del partito tenuta a Bologna nei giorni 31 ottobre e 1 novembre 1954, e che è stato ampiamente sviluppato nella serie apparsa in ben undici numeri del quindicinale «Il Programma Comunista»: essi vanno dal n. 21 del 1954 al n. 8 del 1955.

Il titolo «Russia e rivoluzione nella teoria marxista» corrispondeva all’obiettivo di dare una sistematica esposizione di quanto il movimento comunista marxista ha sostenuto in ordine allo sviluppo storico della società russa e dei suoi rapporti internazionali.

Fedeli al metodo di presentare il lavoro dei marxisti rivoluzionari non come una generica più o meno scettica attesa di avvenimenti che vengano con impreviste novità e svolte a segnare al movimento la nuova strada, ma come un continuo confronto degli accadimenti storici con la precedente «attesa» e «previsione» che il partito, nella sua viva organizzazione e partecipazione alla azione storica, è in grado di trarre, sia pure tra continue lotte, dalla teoria che ne costituisce la caratteristica e la piattaforma, ci siamo proposti di presentare quanto i marxisti avevano sviluppato in ordine al procedere della storia sociale in Russia, e al suo confronto coi dati storici degli sviluppi europei e mondiali precedenti e contemporanei.

La esposizione è stata divisa in tre tempi. Una Introduzione ha naturalmente ricollegato il tema ai molteplici sviluppi precedenti che un così importante argomento aveva già ricevuti nelle nostre convocazioni ed esposizioni scritte fin dai primi anni di questo dopoguerra, e ha impostato il problema: battere in breccia tutte le asserzioni di nemici aperti e larvati sulla inadeguatezza del marxismo ad inquadrare lo svolgimento russo, e la pretesa necessità di apportare revisioni alla nostra teoria generale, al fine di farvi rientrare le «particolarità» russe.

La prima parte ha avuto il titolo: «Rivoluzione europea ed area ‹grande slava›». In essa è stato tratteggiato un campo-tempo di sviluppo delle forme di produzione proprio della zona russa di oggi, nella sua distinzione da quello mediterraneo-classico e quello germanico-feudale; cercando di dare i grandi tratti di questi tre processi, e ponendo quello russo in rapporto ai dati storici sul modo di fissarsi ed organizzarsi sul suolo delle prime comunità, sul loro ordinarsi in classi sociali e in forme di produzione, e sulla maggiore o minore centralizzazione delle forme politiche e dello Stato. Pervenendo così ai tempi moderni, si è esposto quanto il marxismo originario ha sostenuto sulla funzione della Russia nel moto rivoluzionario europeo fin dalla rivoluzione francese, e in seguito sulle questioni sociali interne russe. Ciò nei contributi di Marx e di Engels nello scorso secolo.

Fermato così il doppio interessamento marxista alle rivoluzioni della Russia che mostravano, interferendo fatalmente, di incombere: la borghese e la proletaria, la seconda parte ha esposto le vedute particolarmente ricche e complesse su tale quesito di futuro storico dei movimenti interni della Russia, tanto premarxisti che soprattutto marxisti; fermandosi ai dibattiti e alle soluzioni avanzate nei vari congressi del partito bolscevico prima della guerra 1914. Anche qui si è andati verso la demolizione della ostinatissima idea, che in Russia si dovesse usare un metro storico speciale.

2 – Piano del presente rapporto

Sulla base del materiale in tal modo predisposto ed elaborato si viene direttamente al tema odierno: studio del modo storico con cui quella grandissima rivoluzione sotto i nostri occhi si è svolta, e valutazione degli eventi e della situazione che la hanno seguita.

Siamo quindi al tema essenziale, che non solo è quello che ha dato origine alla peculiare differenziazione del nostro gruppo da tanti altri, ma che in fondo sta al centro di tutta la lotta, di tutta la contesa politica del mondo contemporaneo: che cosa è oggi la Russia? E difatti dal lontano 1917 che il giudizio sulla situazione russa, la condanna o l’esaltazione di quanto ha il proprio teatro in Russia, e dei colpi di scena che questo mostra ad un mondo attonito, formano la pietra di paragone per i movimenti e i partiti che, anche in seno ai paesi più lontani da tale scenario, si contrappongono e combattono.

Tutto l’orizzonte odierno è occupato e soffocato da una interpretazione la quale in fondo è la medesima per i due settori tra loro nemici fierissimi, fra i quali l’agitato mondo contemporaneo è diviso da una barriera quasi fisicamente eretta, formidabile davanti agli occhi e ai passi di tutti. La Russia, col suo potente Stato guida e una fascia di satelliti e caudatari, starebbe dalla parte del proletariato mondiale e di una forma socialista della organizzazione sociale – mentre gli altri paesi alla cui testa si pongono pochi altri mostri di potenza statale a quella paragonabile, rappresentano la difesa, la conservazione e gli interessi legati all’attuale forma capitalistica della società economica, e alla classe borghese che ne sta alla direzione, con la bandiera della libertà democratica.

Fin dalle prime manifestazioni abbiamo combattuto, soli o pochissimi, contro questa interpretazione della vivente storia, e soli abbiamo dimostrato come rettamente la si avversa, in rigorosa coerenza al metodo marxista di lettura di tutta la lotta sociale del secolo che ci precede. Abbiamo denegato il parallelo Russia-socialismo fin dalle prime riunioni, e dalle prime pubblicazioni del nostro quindicinale e della rivista «Prometeo» (negli anni fino al 1951); abbiamo svolto le nostre formule fin dalle prime nostre adunanze a Roma, Napoli, Firenze, Milano[1], Trieste e così via. Abbiamo mostrato come esse si distinguono nettamente, oltre tutto, da quelle dei trotzkisti, che sono per la difesa di una Russia proletaria e socialista odierna, come da quelle di un sinistrismo banale cui manchi ogni dialettica forza per andare oltre la identificazione verbale di tutti i processi storici e di tutti gli imperialismi; abbiamo particolarmente smantellata una costruzione bislacca che vede nella struttura sociale formatasi in Russia una terza via al sanguinoso dialogo iniziato da un secolo tra capitalismo e comunismo, una pretesa dominazione di classi burocratiche. E tutto ciò abbiamo sviluppato mostrando come deriva dal cordone ombelicale del marxismo ortodosso unitario, anzitutto, e poi dalla dura difesa che ne fecero subito dopo la rivoluzione di Russia, e dinanzi ai primi sintomi della gigantesca ondata degenerativa che ha poi tutto travolto e che si designa col nome di stalinismo, l’ala sinistra dei comunisti marxisti italiani e rari altri gruppi internazionali.

Si tratta ora di una migliore esposizione di tutto questo che, dopo aver ripercorso (s’intende con metodo critico e non con ripetuta narrazione di una successione di fatti generalmente noti) le vicende della finalmente scoppiata doppia rivoluzione del 1917, pervenga al risultato di chiarificare i rapporti di produzione oggi in atto in Russia, con le leggi economiche alle quali rispondono, e alla dimostrazione che una tale società sta chiusa nei limiti del capitalismo; e alla fine di tutta la vicenda stabilisca il risultato acquisito, tutt’altro che da deridere, di una colossale rivoluzione borghese, che procede con epici sviluppi dalla vecchia Europa su tutto il Pianeta.

3 – Ulteriore trattazione sulla «tattica»

Anche dall’attuale rapporto, sebbene non se ne possa ogni tanto dimenticare la connessione, resterà fuori il tema a cui da tempo il nostro movimento lavora, e di cui si sono potuti raccogliere alcuni documenti notevoli: il dibattito di tattica e di metodo che preluse storicamente al nostro distacco dal comunismo ufficiale, che mano mano, da posizioni sempre meno accettabili ed eterodosse, è disceso fino al rinnegamento sistematico delle posizioni di partenza che si legano a quanto traemmo in comune, per dirla colle solite espressioni brevi, da Marx, da Lenin e dalla Terza Internazionale. Tale dibattito ebbe il suo sviluppo negli anni dal 1920 al 1926 e le sue posizioni, si dovrà mostrare, erano genuinamente marxiste, nella loro retta e tutt’altro che facile presentazione, ed hanno ricevuto dall’avvenire la meno gradita ma la più clamorosa delle conferme.

Tuttavia è importante precisare bene le nostre posizioni su questa rimessa in linea del delicato punto della tattica, indispensabile per ogni ritorno, auspicabile anche se non previsto troppo vicino, ai periodi in cui è di primo piano il settore dell’azione e della lotta rispetto a quello non offuscabile e sempre decisivo della dottrina di partito.

Indubbiamente la nostra lotta è per l’affermazione, nella attività del partito, di norme di azione «obbligatorie» del movimento, le quali devono non solo vincolare il singolo e i gruppi periferici, ma lo stesso centro del partito, al quale in tanto si deve la totale disciplina esecutiva, in quanto è strettamente legato (senza diritto a improvvisare, per scoperta di nuove situazioni, di ciarlataneschi apertisi «corsi nuovi») all’insieme di precise norme che il partito si è dato per guida dell’azione.

Tuttavia non si deve fraintendere sulla universalità di tali norme, che non sono norme originarie immutabili, ma norme derivate. I principi stabili, da cui il movimento non si può svincolare, perché sorti – secondo la nostra tesi della formazione di getto del programma rivoluzionario – a dati e rari svolti della storia, non sono le regole tattiche, ma leggi di interpretazione della storia che formano il bagaglio della nostra dottrina. Questi principi conducono nel loro sviluppo a riconoscere, in vasti campi e in periodi storici calcolabili a decenni e decenni, il grande corso su cui il partito cammina e da cui non può discostarsi, perché ciò non accompagnerebbe che il crollo e la liquidazione storica di esso. Le norme tattiche, che nessuno ha il diritto di lasciare in bianco né di revisionare secondo congiunture immediate, sono norme derivate da quella teorizzazione dei grandi cammini, dei grandi sviluppi, e sono norme praticamente ferme ma teoricamente mobili, perché sono norme derivate dalle leggi dei grandi corsi, e con esse, alla scala storica e non a quella della manovra e dell’intrigo, dichiaratamente transitorie.

Richiamiamo il lettore ai tanto martellati esempi, come quello famoso del trapasso nel campo europeo occidentale dalla lotta per le guerre di difesa e di indipendenza nazionale, al metodo del disfattismo di ogni guerra che lo Stato borghese conduce. Bisognerà che i compagni intendano che nessun problema trova risposta in un codice tattico del partito.

Questo deve esistere, ma per sé non scopre nulla e non risolve nessun quesito; le soluzioni si chiedono al bagaglio della dottrina generale e alla sana visione dei campi-cicli storici che se ne deducono.

Una successiva esposizione quindi, usando come materiale storico il dialogo polemico tra la sinistra italiana e Mosca, dovrà illuminare il problema tattico e rimediare ai gravi errori che tuttora circolano, ad esempio in merito al problema dei rapporti tra il movimento proletario internazionale e quelli dei popoli coloniali contro i regimi antichi interni e l’imperialismo bianco, massimo esempio di problema storico e non tattico – non problema di appoggio, perché bisogna prima spiegare in tutto perché ha totalmente ripiegato il movimento puramente classista del proletariato delle metropoli, e solo dopo si saprà come questa forza rivoluzionaria del livello post-capitalista si pone in rapporto alle, oggi potenti e vive in Oriente, forze rivoluzionarie del livello precapitalista.

Rispondere citando e peggio coniando a freddo una rigida formula di tattica, è in simili casi banale. Sostenere il diritto di riconiare ad ogni momento regole tattiche elastiche di comodo, questo sì è opportunismo e tradimento, contro cui sempre saremo spietati, ma contro cui opporremo assai più ferrate e meno innocue condanne d’infamia.

4 – Risultati acquisiti

Come risultati stabiliti nella precedente trattazione, su cui ora ci appoggiamo per andare più oltre, ci basterà ricordare i principalissimi.

La dottrina del materialismo storico ci dà ben ragione di quella che ai superficiali sembrerà originalità esclusiva della storia russa. La diversità del processo in cui la libera tribù errante si trasforma in popolo stabile organizzato si pone in relazione alla natura fisica del territorio, al clima, alla poca fertilità, alla immensa estensione di terre distanti dalle coste, al diverso ritmo dell’evoluzione rispetto a quella dei popoli delle calde rive mediterranee, al connesso diverso apparire dello schiavismo, al formarsi di uno Stato unitario. Diversa sorte hanno le popolazioni venute dall’oriente e giunte sui confini del crollante impero romano, di cui sfruttano ricchezze accumulate e dotazione di produzione avanzata – alle quali basta, per formare sulla terra una civiltà di produzione terriera, un ordinamento decentrato come quello dei signori feudali – e quelle rimaste più prossime all’Asia e nel cuore di territori immensi, esposte alle ulteriori ondate di orde in cerca di preda e di sede, la cui stabilità resta precaria finché affidata a capi locali, e che si fissano solo quando si forma una grande organizzazione statale a centro unico, di alta potenza ai fini non solo della guerra ma anche della produzione in tempo di pace.

Lo Stato è dunque fin dai primi tempi elemento essenziale della società russa; che grazie ad esso e alle organizzazioni militari e amministrative che lo hanno per centro supera gli attacchi continui da parte asiatica ed europea e diviene sempre più potente. Ma la sua funzione non è solo politica, bensì direttamente economica: alla corona e allo Stato appartiene circa metà delle terre e delle comunità rurali serve, e quindi la classe dei nobili non controlla che metà del territorio e della popolazione ed è in subordine rispetto al potere centrale dinastico: il re non è, come nel sistema decentrato germanico, l’eletto dei nobili, effettivi detentori del reale controllo economico e giuridico della società.

Questo tipico «feudalismo di Stato» arriva al tempo moderno e Marx vede in esso il pernio delle «Sante Alleanze» e la principale forza che, da Napoleone in poi, si impegna a soggiogare tutte le rivoluzioni borghesi in Europa, e più oltre resta pronto ad aiutare monarchie e borghesie contro i primi moti proletari.

Ponemmo agli atti l’interesse accanito di Marx per ogni sconfitta militare degli zar, da cui potesse uscire il crollo del baluardo reazionari slavo, quale che fosse il nemico.

Quindi allineammo i dati delle prime analisi delle forze sociali interne, e le risposte, di cui ebbe Engels a gettare le basi, circa il problema famoso del possibile «salto del capitalismo» cui lo stesso Marx aveva fatto dialettici accenni, pervenendo a scartare questa possibilità. Engels segue le prime formulazioni dei rivoluzionari russi che sottovalutano la sorgente industria e fanno leva sul movimento dei contadini, e discute, concludendo anche lui al tempo ultimo della sua vita per la nessuna probabilità che la comunità agricola slava possa svolgersi nel socialismo generale, prima che una completa forma capitalistica e mercantile si sia potuta delineare.

Nella seconda parte, come abbiamo ricordato, abbiamo seguito il lavoro di estrema importanza del nascente movimento marxista russo, poggiato sul proletariato industriale, e ricordate le sue successive storiche tesi, che così si possono riassumere:

1. Progressivo sviluppo del capitalismo in Russia e formazione di un grande proletariato urbano.

2. Conclusione negativa sulla efficienza rivoluzionaria della borghesia russa nel dirigere l’abbattimento dello zarismo.

3. Analoga conclusione sulla capacità dei movimenti fondati sui contadini, come i populisti, i trudoviki, i socialisti rivoluzionari.

4. Condanna della posizione dei marxisti di un’ala destra, poi definiti menscevichi, che con la falsa affermazione che la rivoluzione borghese non era affare interessante i proletari e i socialisti proponevano di lasciarne la direzione ai partiti democratici e popolari, praticamente abbandonando la lotta politica contro il potere zarista.

5. Ulteriore smascheramento di questa tesi controrivoluzionaria, contestando che si potesse appoggiare uno sviluppo della rivoluzione democratica basato su costituzioni elargite dallo zar e perfino sulla conservazione della dinastia, ossia formula insurrezionale e repubblicana della rivoluzione borghese.

6. Partecipazione del proletariato cittadino in prima linea a tutta la lotta, come storicamente avvenne nel 1905; potere rivoluzionario uscito dalla lotta armata che escludesse tutti i partiti borghesi costituzionali e si basasse sulla condotta della rivoluzione democratica ad opera dei lavoratori e dei contadini (dittatura democratica del proletariato e dei contadini).

7. Passaggio alla ulteriore lotta rivoluzionaria col programma socialista, solo a seguito dello scatenarsi, sempre previsto dal marxismo, della rivoluzione socialista proletaria in Europa dopo il crollo dello zarismo.

5 – La formula di Lenin

Lenin dunque prima della rivoluzione, come del resto in seguito, non ha mai preveduto un diverso processo della rivoluzione proletaria internazionale da scoprire attraverso lo sviluppo della crisi rivoluzionaria russa. Come marxista della sinistra radicale non ha mai dubitato che nei paesi capitalisti il socialismo sarebbe uscito da una insurrezione rivoluzionaria dei proletari e dalla attuazione della marxista dittatura del solo proletariato. Poiché doveva però lavorare al problema di un paese in cui la rivoluzione borghese era ancora da compiersi, ha previsto non solo che il proletariato e il suo partito rivoluzionario vi si dovessero con tutte le forze impegnare a fondo, ma, dato il particolare stato di ritardo nella caduta del reazionario regime zarista e feudale, ha enunciato la previsione ed il programma esplicito che la classe operaia dovesse togliere dalle mani della borghesia questo suo compito storico, e condurlo in sua vece, togliendole anche quello suo non meno caratteristico di capitanare nella lotta le masse contadine.

Se la formula, ad esempio della rivoluzione borghese, fu: direzione della classe borghese (ma anche allora più da parte dei suoi ideologi e politici che dalle persone di industriali, mercanti e banchieri) e trascinamento dei proletari delle città e dei contadini servi delle campagne nella scia della rivoluzione democratica; la formula russa della rivoluzione (sempre borghese, ossia democratica) fu diversa: direzione da parte del proletariato, lotta contro la stessa borghesia propendente ad una intesa di compromessi parlamentari con lo zarismo, trascinamento delle masse popolari e rurali nella scia del proletariato, che elevava, in questa fase storica, i contadini poveri al rango di suoi alleati nella insurrezione e nel governo dittatoriale.

Compiti di una simile rivoluzione, non già il socialismo, ma questi, ben definiti: guerra civile fino a battere polizia ed esercito zarista, abbattimento della dinastia e proclamazione della repubblica, assemblea costituente eletta lottando contro ogni partito borghese ed opportunista, poggiandosi sui Consigli – sorti nel 1905 – degli operai e dei contadini.

L’obiezione che questa non fosse una rivoluzione socialista non fermava Lenin nemmeno per un istante, essendo la cosa chiara in teoria. Si trattava della rivoluzione borghese, nella sola forma che assicurasse la sconfitta della controrivoluzione zarista e medievale: a questo solo (ma allora e anche dopo chiaramente grande e decisivo) risultato si consacrava la forza della dittatura proletaria: dittatura perché si usavano mezzi violenti e non legali, come le grandi borghesie avevano fatto in Europa alla testa delle masse, ma democratica perché il compito era la distruzione del feudalesimo e non del capitalismo, con i contadini alleati per questa stessa ragione e perché, mentre sono ulteriormente destinati a divenire un giorno alleati della borghesia contro il proletariato, lo sono anche ad essere nemici giurati del feudalesimo.

Lenin (ci pare indispensabile seguitare a sintetizzare il già detto a Bologna, rinviando i dubbiosi alla congerie di documenti e prove dati nel resoconto esteso) non si poneva dunque in tal fase il traguardo della rivoluzione socialista, e tale da condurre non ad una democrazia borghese al massimo radicale e conseguente, ma alla dittatura espropriatrice del capitale, perché lasciava tale ulteriore compito ad una lotta non più del quadro nazionale, come sarebbe stata quella della sopravveniente rivoluzione russa, ma ad una lotta internazionale.

Riteneva che, all’indomani di una guerra europea, sempre prevista da Marx e Engels come un urto tra slavi e tedeschi, la caduta dello zarismo avrebbe senz'altro messo in moto le masse lavoratrici di occidente, e che solo dopo che le stesse avessero preso il potere politico e i grandi mezzi di produzione concentrati da un pieno capitalismo avrebbe potuto la rivoluzione anche in Russia assumere contenuto socialistico. L’avvio dalla guerra era stato confermato da quella rovinosa col Giappone, ma la controrivoluzione aveva ben potuto schiacciare le forze del 1905, e per conseguenza l’abbattimento decisivo dello zarismo, finché la lotta non fosse risolta schiacciando sotto il terrore (anche a contenuto «borghese» come quello di Robespierre) le forze reazionarie, era sempre un risultato pregiudiziale rispetto all’avvento del socialismo. Mostrammo con Trotsky che la forza proletaria internazionale era da Lenin invocata, prima che per uno sviluppo sociale collettivistico, per sostenere il potere rivoluzionario sorto in Russia contro un ritorno zarista. Lo stesso infatti avrebbe significato il giogo per i proletari e contadini russi pervenuti al potere democratico, e per i lavoratori occidentali levati contro la borghesia capitalista.

Infatti fin nel 1917 e dopo altra serie di eventi, validi furono i tentativi di ritorno dello zarismo, fiancheggiati da forze di occidente, e molti anni richiese la lotta per liquidarli. Giusta quindi la graduazione delle fasi storiche nella potente veduta di Lenin, e sciocca esercitazione estremista sarebbe quella di presentarlo sicuro pronosticatore del socialismo in Russia.

Questa apparente spiegazione di sinistra dell’opera di Lenin servirebbe solo al gioco insidioso di mostrare che si va al socialismo traverso forme impastate con ingredienti democratici, storicamente; e socialmente con elementi contadini-popolari, il che è la forma centrale della degenerazione e della vergogna presente.

6 – Confronto con l’evento

Il tema attuale è stabilire se la Russia è andata più avanti o meno avanti di quanto in quella prospettiva era contenuto. Se gettassimo un ponte tra quelle che dal 1903 al 1917 sembravano disquisizioni piuttosto lontane da pratici effetti, e quella che è la situazione di oggi 1955, in cui noi radicatamente e fondatamente troviamo la piena forma capitalistica in via di poderosa diffusione in Russia, e troviamo poggiata ed intrecciata con essa una vera orgia di «valori» democratici, popolari, alleanzisti, vedremmo che è di buon diritto concludere che Lenin aveva ben previsto e la storia è giunta dove lui diceva, grazie ad uno sforzo gigante che il proletariato russo si è addossato, e il cui bilancio odierno è: «costruzione di capitalismo».

Con ciò resterebbero provati tutti i nostri punti: che con la chiave marxista l’antica e nuova storia di Russia si è potuta egregiamente leggere; che Marx ed Engels a ragione le pronosticarono gli orrori tremendi dell’inferno capitalista; che Lenin dette un’impeccabile costruzione marxista della via per uscire dal giogo di un formidabile potere e regime precapitalista, e una teoria felicissima della impotenza della borghesia a farlo, e della sua surrogazione storica da parte del proletariato. Ciò con pienissimo diritto di dire che in questo non aveva Lenin giustapposta alla teoria marxista classica alcuna parte nuova: la nascita del comunismo proletario è dialetticamente un fatto nazionale ed internazionale: non poteva nascere e formarsi che dove la forma di produzione moderna aveva trionfato e ciò non era avvenuto che in quadri nazionali (Inghilterra Francia ecc.) ma, apparendo da tali nazionali sbocchi, come teoria e come organizzazione e partito operante, doveva porsi subito e fin dal primo momento davanti non solo il binomio capitalismo-proletariato, ma il vero vivo quadro mondiale di tutte le classi e di tutti i moti delle società umane in tutti i gradi di sviluppo.

Il «Manifesto» contenne l’applicazione di tale principio ad un orizzonte universale, e da allora i comunisti, quando ogni altra vestale si sia lasciata sedurre, tengono accesa la fiamma di qualunque vera incandescente rivoluzione.

Questa la vera visione ed unica impostazione marxista per i complessi problemi di tutte le società non svolte ancora fino al gran duello di padroni ed operai, per tutte le classi marginali e impure di quelle società che pure hanno ormai per scheletro vivo il «modello» capitalistico dell’economia.

7 – Storia di mezzo secolo

Se tutto questo agli estremi è verissimo non si può tuttavia considerare i soli estremi di questo arco di cinquant’anni, tra la teoria tracciata dal 1905 e la struttura, consolidatasi nei fatti, del 1955. Questo ponte storico non è di una sola campata, e ciò non perché non possa esserlo, ma perché si è trattato forse dei 50 anni più densi di tutta la storia conosciuta a cavallo di due grandi guerre universali, e, per la Russia che ci riguarda, di almeno tre grandi rivoluzioni, e di un corso a metà rivoluzionario e a metà controrivoluzionario che (se non è caso unico nella storia dei modi di produzione) va indiscutibilmente più a fondo caratterizzato.

Non fornendo la teoria nel senso marxista delle arcate intermedie, che insieme definiscono tutto il difficile ciclo, si può al solito farsi prendere la mano dal semplicismo.

Sì, il partito russo degli operai rivoluzionari e dei socialisti comunisti pose a se stesso lo scopo storico di pervenire all’avvento del capitalismo mercantile e democratico, a condizione che accettando tale consegna (e dedicando ad essa le proprie forze di classe protagoniste di altro grande compito storico) si garantisse la cancellazione dall’Europa, col ferro e col fuoco, della mostruosa costruzione dello Stato degli zar, respingendone per sempre il ricordo nel buio del passato.

Sì, la gigantesca lotta, che si è dopo in alterne vicende svolta, non ha avuto altro risultato che questo, e si deve negare che vi siano nella Russia di oggi forze dominanti all’opera per la realizzazione di forme ultra-capitaliste, con lo stesso criterio che non ve ne sono nei paesi del capitalismo di occidente, consistendo la differenza nella distinzione tra un capitalismo in crescita fiorente ed uno in fase di inflazione che preannunzia il declino.

Ma è errato concludere seccamente da questo che, data questa collimazione fra quanto il partito tracciò, e quanto la storia ci presenta, non vi è stata in Russia che una rivoluzione borghese nel senso completo che borghese fu quella che diciamo di Kerenski e borghese quella di Lenin, stando esse nel rapporto (per così dire) di quella di Mirabeau con quella di Robespierre.

In questo sviluppo sosterremo che se la forma di produzione in Russia non è che borghese, borghese non fu l’Ottobre, ma proletario e socialista, dopo aver messo in loro luogo i fattori economici e sociali, le classi, i partiti, e i rapporti politici del potere.

Un simile svolgimento non è definibile che nel quadro internazionale della storia dei recenti decenni, e nella chiusura di questa premessa ricorderemo i tre caratteri storici che l’Ottobre in sé contiene e che lo portano enormemente più in alto del semplice contenuto di avere per sempre distrutto lo zarismo, che con i risultati soli del febbraio sarebbe probabilmente tornato alla rivincita, come tentò disperatamente di farlo e come una larga parte della borghesia mondiale avrebbe incoraggiato – come anzi di fatto incoraggiò, spezzandosi le corna contro la dittatura integrale dei bolscevichi.

8 – Distruzione della guerra

La stretta relazione stabilita tra la disfatta dell’esercito zarista e la rivoluzione politica, perseguita nelle anelanti impazienze di Marx e di Lenin in tutte le guerre che registra la storia europea – ben possiamo dire in rapporto all’uso puramente indicativo che facciamo dei nomi personali dalle coalizioni del primo '800 fino alla prima grande guerra 1900 – si confermò nella politica condotta, senza indietreggiare davanti alle più tragiche conseguenze, dal potere di Ottobre: favorire lo sfasciamento dei reparti, smontare il fronte, dominare ogni ubriacatura interna al partito, purtroppo anche dei migliori, e anche dei definiti sinistri, per una versione nazionale e patriottica della guerra che invece fu con successi veramente grandiosi spezzata senza pietà.

Questa politica illimitatamente rivoluzionaria, laceratrice di qualunque ipocrisia, spinta alle più estreme conseguenze, ispirata alla rivendicazione del disfattismo senza riserve, dello svolgere la guerra di difesa della patria in guerra civile, fu passata alla prova grandiosa della rovina del potere militare tedesco, dei fronti sfondati non da una offensiva da ovest ma da una capitolazione e dalle fraternizzazioni da est.

Non poteva avere un simile contenuto reale una rivoluzione borghese, inseparabile per motivi intrinseci, da noi a lungo esposti (per esempio nella trattazione alla riunione di Trieste del 29–30 agosto 1953 il cui resoconto scritto, col titolo «Fattori di razza e nazione nella teoria marxista», è apparso nei nr. 16–20/1953 de «Il programma comunista») dal favorire i valori e gli istituti a carattere nazionale e patriottico. Mostrammo una volta che Robespierre dalla tribuna parlamentare rinfacciò agli inglesi suoi nemici giurati la loro azione contro le influenze francesi oltre Atlantico, condotte contro Luigi XIV e XVI. La rivoluzione borghese non spezza la linea della storia nazionale, può solo una rivoluzione proletaria osare tanto. Oggi sì, che la linea del potere russo è patriottica ed esalta i vinti di Port Arthur e Tsushima cui Lenin aveva lavorato a tagliare i garretti, e non meno i difensori che stavano sullo stomaco di Marx da Sebastopoli, e fino le imprese di conquista di Pietro il Grande.

9 – Liquidazione degli alleati

Altra caratteristica della politica rivoluzionaria bolscevica è la progressiva lotta contro i transitori alleati della fase precedente, che uno dopo l’altro vengono messi fuori combattimento pervenendo ad un puro governo di partito. Non è sufficiente qui cercare una analogia con le rivoluzioni borghesi nelle lotte tra i vari partiti dal 1789 al 1793 in Francia, perché l’analogia si limita al metodo di azione. Non diremmo ad esempio che un carattere originalmente proletario della rivoluzione russa sia stato il terrorismo politico. Hanno avuto il terrore le rivoluzioni della borghesia, in Inghilterra, in Francia, in molti altri paesi, e un tale metodo in Russia era decisamente invocato anche da non marxisti, come i populisti della sinistra e i socialisti rivoluzionari, in quanto si trattava di distruggere i partiti che sostenevano lo zar.

Ma la dialettica posizione assunta in tutto lo sviluppo dai bolscevichi, partita da una surrogazione ai compiti della borghesia per giungere alla dispersione dei suoi partiti, e svolta attraverso la transitoria marcia con alleati semi-borghesi e contadini, per finire a cacciarli dal governo e da ogni diritto di partecipare allo Stato, risponde alla originale posizione dei marxisti, che fin da prima del 1848 si prospettano chiaramente una prima lotta al fianco di alleati borghesi, liberali, democratici, ed un successivo passaggio al deciso attacco contro tutti costoro e contro le fazioni piccolo-borghesi. Tale previsione è saldamente fondata su una anticipata inesorabile critica alle ideologie proprie di questi strati, che li fanno nemici immancabili del proletariato.

Questi sviluppi caratteristici di tutte le lotte tra classi hanno innumeri volte condotto alla sconfitta del proletariato e alla spietata distruzione delle sue forze ed organizzazioni, come nei classici eventi di Francia. Per la prima volta il partito proletario in Russia è giunto vittorioso all’ultimo episodio delle fasi della guerra civile, liberando il campo di tutti i successivi ex-alleati, che mano mano passavano alla controrivoluzione aperta, e la vittoria nelle ultime battaglie è rimasta nelle mani del partito. Qualunque sia stato il seguito, che non ha visto un rovescio nella guerra civile, ma ben altro processo, questa esperienza storica è veramente originale e resta un effettivo patrimonio del potenziale rivoluzionario, disperso poi per altre vie, e per la smaccata applicazione di alleanze e combutte destituite di ogni dialettica originale autonomia del partito di classe e delle esclusive sue posizioni.

Abbiamo molte volte svolto il concetto marxista che le esperienze delle controrivoluzioni sono alimento prezioso al duro cammino, come nel caso della Comune di Parigi da Lenin così fondamentalmente invocato.

Quindi questi risultati, se anche poi dispersi o svaniti, valgono per noi a provare che dopo Ottobre, e prima che avesse il tempo di porsi il compito, che nel seguito studieremo, di natura economica produttiva e sociale, il potere politico pervenne effettivamente nelle mani del proletariato, che per la situazione internazionale fu portato chiaramente se pure non definitivamente oltre i limiti della dittatura democratica ed oltre quelli dell’alleanza con partiti di base popolare-contadina, quindi nella sfera storica della rivoluzione politica socialista, cui mancarono poi gli apporti che solo la rivoluzione degli operai di occidente avrebbe potuto arrecare.

10 – Demolizione dello Stato

Il trapasso dalla rivoluzione puramente democratica, sia pure coi vari partiti socialisti in prima fila, all’Ottobre bolscevico, non fu possibile senza che tutta la questione dell’ascesa al potere del partito operaio nei paesi avanzati fosse rimessa in luce, e con essa la integrale teoria marxista della violenza nella storia, e della natura dello Stato politico.

Questa grande battaglia non fu solo teoretica, come nelle pagine di «Stato e rivoluzione» e nelle polemiche che impegnarono tutto il mondo del primo dopoguerra, e non fu solo organizzativa in quanto si attuò radicalmente la scissione tra i rivoluzionari della Terza Internazionale e i revisionisti e traditori della Seconda. Fu vera battaglia politica e si svolse armi alla mano negli episodi tremendi, quando vedemmo socialdemocratici divenuti boia del capitalismo pugnalare la rivoluzione e la dittatura rossa in Germania e in Ungheria, e lo stesso scontro prepararsi e svolgersi nell’intera Europa.

Ammettiamo che si fosse solo giunti all’attuata, insurrezionale, terrorista anche, dittatura democratica di operai e contadini, sola possibile erede storica del potere in Russia, ma non oltre. Sarebbe rimasta una sola esperienza, una sola eredità alla storia rivoluzionaria, e questa: sono necessari insurrezione, guerra civile, dittatura, terrore, ma solo per uscire dalla forma medioevale; non altrettanto per uscire, successivamente, dalla forma borghese e capitalistica.

Ma nella ulteriore avanzata del potere proletario bolscevico in Russia poté la lotta divenire tutt'uno con quella delle forze avanzate dei proletari comunisti che nei paesi d’Europa avevano davanti non più un obliato medioevo, ma la moderna democrazia del capitale, e che impararono (in linea con i compagni che in Russia avevano dovuto jugulare anche i socialisti sedicenti, che stavano all’ombra di idee borghesi e piccolo-borghesi, e di democratici pacifismi di classe, che sostenevano, dalla caduta in poi dei regimi feudali, doversi la lotta condurre negli ambiti legalitari, e si erano rivelati puri controrivoluzionari, alcuni fino al malcelato legame con lo stesso zarismo ancora tramante congiure) la necessità, in fase storica ben ulteriore rispetto alla conquistata libertà borghese, la necessità della violenza e della dittatura della classe oppressa dal capitale.

Benché la rivoluzione borghese classica avesse contenuto in sé la necessità dello smantellamento del precedente organo di Stato, in quanto fondato sui vecchi ordini, sui privilegi degli ordini stessi, e sulla diversa potestà giuridica dei componenti la società, solo la lotta della rivoluzione russa nella fase di Ottobre poté dare base storica e positiva alla esigenza che anche lo Stato giuridico delle moderne costituzioni proclamanti l’eguaglianza e libertà di tutti e basate su rappresentanze universali senza distinzioni di ordini, anche un tale Stato, come stabilito dalla prima ora da Marx e dal «Manifesto», non era che organo di dominio di classe, e un giorno la storia lo avrebbe a sua volta stritolato in frantumi.

Non è dunque permesso dire che la rivoluzione di Ottobre restò nei limiti di una rivoluzione borghese. Lo sviluppo sociale della Russia ha dovuto restare nei limiti delle forme e modi capitalisti di produzione, ed è un dato storico che il proletariato ha lottato per l’avvento di una forma borghese – e che doveva farlo. Ma non a questo si è limitata la sua lotta politica.

Come inseparabile parte della lotta politica del proletariato internazionale, che per organizzarsi in classe dominante deve prima organizzarsi in partito della propria caratteristica ed esclusiva rivoluzione, le forze e le armi che hanno indiscutibilmente vinta la battaglia di Ottobre vinsero per il proletariato e il socialismo mondiale, e la loro vittoria servirà nel materiale senso storico a quella mondiale del comunismo, sulle rovine del capitalismo di tutti i gradi e di tutti i paesi, Russia attuale ivi compresa.



Notes:
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  1. I resoconti di queste riunioni, apparsi nell’opuscolo «Sul filo del tempo» nel maggio 1953, si leggono ora nel volume «Per l’organica sistemazione dei principi comunisti», Edizione «Il Programma Comunista», Milano 1973. pagg. 11–27. [⤒]


Source: «Il Programma Comunista», N. 10, Maggio 1955

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