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DITTATURA PROLETARIA E PARTITO DI CLASSE


Content:

Dittatura proletaria e partito di classe
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
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Dittatura proletaria e partito di classe

I.

Ogni lotta di classe è una lotta politica

(Marx).

La lotta che si limita ad ottenere una diversa ripartizione dei guadagni economici, in quanto non sia diretta contro la struttura sociale dei rapporti di produzione, non è ancora una lotta politica.
Lo sconvolgimento dei rapporti di produzione propri di un’epoca sociale e del dominio di una determinata classe è lo sbocco di una lotta politica prolungata e spesso alterna, la cui chiave è la questione dello Stato, il problema: «chi ha il potere!» (Lenin).

La lotta del proletariato moderno si manifesta e si generalizza come lotta politica con la formazione e l’attività del partito di classe. La caratterizzazione specifica di questo partito risiede nella seguente tesi: il fatto dello spiegamento completo del sistema capitalista industriale e del potere della borghesia, discendente dalle rivoluzioni liberali e democratiche, non solo non esclude storicamente ma prepara ed acuisce sempre più la svolgersi del contrasto fra gli interessi di classe in guerra civile, in lotta armata.

II.

Il partito comunista, definito da questa previsione e da questo programma, finché la borghesia conserva il potere assolve i seguenti compiti:
a) elabora e diffonde la teoria dello sviluppo sociale, delle leggi economiche caratterizzanti il sistema attuale dei rapporti produttivi, dei conflitti di forze di classe che ne sgorgano, dello Stato e della rivoluzione;
b) assicura la unità e persistenza storica dell’organizzazione proletaria. La unità non è il raggruppamento materiale degli strati operai e semi-operai che subiscono, per il fatto stesso del dominio della classe sfruttatrice, l’influenza di direzioni politiche e di metodi di azione dissonanti, ma lo stretto legame internazionale delle avanguardie pienamente orientate sulla linea rivoluzionaria integrale. La persistenza è la rivendicazione continua della linea dialettica senza rotture che lega le posizioni di critica e di battaglia assunte successivamente dal movimento nella serie delle condizioni mutevoli; c) prepara di lunga mano la mobilitazione e l’offensiva di classe con l’impiego armonico di ogni possibilità di propaganda di agitazione e di azione in ogni lotta particolare scatenata dagli interessi immediati, culminando nell’organizzazione dell’apparato illegale ed insurrezionale per la conquista del potere. Quando le condizioni generali ed il grado di solidità organizzativa, politica e tattica del partito di classe pervengono a far scoppiare la lotta generale per il potere, il partito, che ha condotto nella guerra sociale la classe rivoluzionaria vittoriosa, la dirige egualmente nel compito fondamentale di infrangere e demolire gli organi di difesa armata e di amministrazione in generale, di cui lo Stato capitalista si compone. Questa demolizione colpisce ugualmente la rete, qualunque essa sia, di pretesa rappresentanza delle opinioni o degli interessi corporativi attraversa corpi di delegati. Lo Stato borghese di classe, mentitrice espressione interclassista della maggioranza dei cittadini, o dittatura più o meno confessa esercitata da un apparato di governo che si pretende rivestito di una missione nazionale razziale o socialpopolare, dev'essere allo stesso titolo distrutto; se ciò non avviene, è la rivoluzione che rimane schiacciata.

III.

Nella fase storica successiva alla dispersione dell’apparato di dominio capitalista, il compito del partito politico operaio rimane ugualmente fondamentale, poiché la lotta fra le classi continua, dialetticamente rovesciata.
La linea caratteristica della teoria comunista sullo Stato e la rivoluzione esclude: anzitutto l’adattamento del meccanismo legislativo ed esecutivo dello Stato borghese alla trasformazione socialista delle forme economiche (socialdemocratismo). Ma esclude ugualmente la possibilità di identificare in una breve crisi violenta la distruzione dello Stato, ed il mutamento dei rapporti economici tradizionali che fino all’ultimo ha protetto (anarchismo) o l’abbandono del processo di generazione della nuova organizzazione produttiva all’azione spontanea e sparpagliata dei raggruppamenti di produttori per azienda o per mestiere (sindacalismo).
Ogni classe sociale il cui potere è stato rovesciato, anche col terrore, sopravvive a lungo nel tessuto dell’organismo sociale, e non abbandona la speranza di rivincita ed i tentativi di riorganizzazione politica, di restaurazione violenta ed anche mascherata. È passata da classe dominante a classe vinta e dominata, ma non è scomparsa di colpo.
Il proletariato, che con l’organizzazione del comunismo sparirà a sua volta come classe, e con ogni altra classe, nel primo stadio dell’epoca postcapitalista si organizza esso stesso in classe dominante («Manifesto»). È, dopo la distruzione del vecchio Stato, il nuovo Stato proletariato, è la dittatura del proletariato. Per andar oltre il sistema capitalista, prima condizione era il rovesciamento del potere borghese e la distruzione del suo Stato. Per la trasformazione sociale profonda e radicale che si inaugura, la condizione è la creazione di un apparato di Stato nuovo, proletario, capace come ogni Stato storico di impiegare la forza e la costrizione.
La presenza di un simile apparato non caratterizza la società comunista, ma la sua fase di costruzione. Assicurata questa, non esiste più classe né dominazione di classe. Ma l’organo per la dominazione di classe è lo Stato – e lo Stato non può essere altro. Perciò lo Stato proletario preconizzato dai comunisti – ma la cui rivendicazione non ha affatto il valore di una credenza mistica, di un assoluto, di un ideale – sarà uno strumento dialettico, un’arma di classe, e si dissolverà lentamente (Engels) attraverso la stessa realizzazione delle sue funzioni, man mano che, in un lungo processo, l’organizzazione sociale si trasformerà da un sistema sociale di costrizione degli uomini (com’è stato sempre dopo la preistoria) in una rete unitaria, scientificamente costruita, di esercizio delle cose e delle forze naturali.

IV.

Molte differenze fondamentali si presentano nel ruolo dello Stato in rapporto alle classi sociali ed alle organizzazioni collettive, così come si presenta nella storia dei regimi sorti dalla rivoluzione borghese e come si presenterà dopo la vittoria proletaria.
a) L’ideologia borghese rivoluzionaria, prima della lotta e della vittoria finale, presentò il suo futuro Stato post-feudale non come uno Stato di classe, ma come lo Stato popolare, fondato sulla soppressione di ogni ineguaglianza davanti alla legge, ciò che si pretende corrisponda alla libertà ed alla uguaglianza di tutti i membri della società.
La teoria proletaria proclama apertamente che il suo Stato avvenire sarà uno Stato di classe, cioè uno strumento maneggiato, finché le classi esisteranno, da una classe unica. Le altre saranno, in principio non meno che di fatto, messe' fuor dello Stato e «fuori legge». La classe operaia, pervenuta al potere, «non lo dividerà con nessuno» (Lenin).
b) Dopo la vittoria politica borghese, sulla tradizione di una campagna ideologica tenace, si proclamarono solennemente nei diversi paesi come base e fondamento dello Stato delle carte costituzionali o dichiarazioni di principio considerate come immutabili nel tempo, come espressione definitiva delle regole immanenti, infine scoperte, della vita sociale. Da quel momento, tutto il gioco delle forze politiche avrebbe dovuto svolgersi nel quadro invalicabile di questi statuti. Lo Stato proletario non è affatto annunciato, durante la lotta contro il regime attuale, come una realizzazione stabile e fissa di un insieme di regole dei rapporti sociali dedotte da una ricerca ideale sulla natura dell’uomo e della società. Nel corso della sua vita, lo Stato operaio evolverà incessantemente fino a disperdersi: la natura dell’organizzazione sociale, dell’associazione umana, cambierà in modo radicale secondo le modificazioni della tecnica e delle forze di produzione, e la natura dell’uomo si modificherà altrettanto profondamente allontanandosi sempre più da quelle del bue da lavoro e dello schiavo. Una costituzione codificata e permanente da proclamare dopo la rivoluzione operaia è un assurdo, non può figurare nel programma comunista; tecnicamente converrà adottare regole scritte che non avranno però nulla di intangibile e manterranno un carattere «strumentale» e transitorio, facendo a meno delle facezie sull’etica sociale ed il diritto naturale.
c) La classe capitalista vittoriosa, conquistato e perfino spezzato l’apparato feudale di potere, non esitò a impiegare la forza dello Stato per reprimere i tentativi controrivoluzionari e di restaurazione. Tuttavia, le misure più risolutamente terroristiche furono giustificate come dirette non contro i nemici di classe del capitalismo, ma contro i traditovi del popolo, della nazione, della patria, della società civile, identificando tutti questi concetti vuoti con lo Stato medesimo, ed in fondo col governo e col partito al potere.
Il proletariato vincitore, servendosi del suo Stato «per schiacciare la resistenza inevitabile e disperata della borghesia» (Lenin), colpirà gli antichi dominatori ed i loro ultimi partigiani ogni volta che si opporranno, nella logica difesa dei loro interessi di classe, ai provvedimenti destinati a sradicare il privilegio economico. Questi elementi sociali manterranno, di fronte all’apparato di potere, una posizione estranea e passiva: quando cercheranno di uscire dalla passività loro imposta, la forza materiale li piegherà. Non saranno partecipi di alcun «contratto sociale», non avranno alcun «dovere legale o patriottico». Veri e propri prigionieri sociali di guerra (come del resto furono, per la borghesia giacobina, in linea di fatto, gli ex-aristocratici ed ecclesiastici) non avranno nulla da tradire, perché non si sarà chiesto loro alcun ridicolo giuramento di lealtà.
d) Appena dissimulati dal bagliore storico delle assemblee popolari e delle convenzioni democratiche, lo Stato borghese ebbe subito dei corpi armati ed una guardia di polizia per la lotta interna ed esterna contro le forze dell’antico regime; si affrettò a sostituire la forca con la ghigliottina. Questo apparato esecutivo incaricato di amministrare la forza legale, sul grande piano storico come contro le violazioni isolate delle regole di attribuzione e di scambio proprie dell’economia privatista, agisce in modo perfettamente naturale contro i primi movimenti proletari che minacciano, anche solo per istinto, le forme di produzione borghese. La realtà imponente del nuovo dualismo sociale fu coperta dal gioco dell’apparato«legislativo» che pretendeva di realizzare la partecipazione di tutti i cittadini e di tutte le opinioni di partito allo Stato e alla sua direzione in un equilibrio perfetto di pace sociale.
Lo Stato proletario, dotato dei caratteri manifesti di dittatura di classe, non conterrà questa distinzione fra i due stadi, esecutivo e legislativo del potere, che saranno esercitati dagli stessi organi, poiché tale distinzione è propria del regime che dissimula la dittatura di una classe e la protegge sotto una struttura esterna policlassista e polipartitista. «La Comune non fu una corporazione parlamentare, fu un organismo di lavoro» (Marx).
e) Nella sua forma classica, lo Stato borghese, coerente a una ideologia individualista che la finzione teorica estende nella stessa misura a tutti i cittadini, riflesso mentale della realtà dell’economia di proprietà privata monopolio di una classe, non volle ammettere fra il suddito isolato ed il centro statale legale altre organizzazioni intermedie che le assemblee elettive costituzionali. Tollerò i club e i partiti politici, necessari nella fase insurrezionale, in forza dell’affermazione demagogica del libero pensiero e come puri raggruppamenti confessionali ed agenzie elettorali. In una seconda fase la realtà della repressione di classe costrinse lo Stato a tollerare le organizzazioni degli interessi economici, i sindacati operai, di cui diffidava come di uno «Stato nello Stato». Infine, il sindacato da una parte divenne una forma di solidarietà adottata dai capitalisti per i loro fini di classe e dall’altra lo Stato intraprese, sotto il pretesto di vi conoscerli legalmente, l’assorbimento e la sterilizzazione dei sindacati operai, privandoli di ogni autonomia per impedirne la direzione ad opera del partito rivoluzionario.
Nello Stato proletario – dato che sussistano in quanto sopravvivono datori di lavoro, o almeno esistono aziende impersonali i cui operai sono sempre dei salariati pagati in danaro – i sindacati di lavoratori vivranno per proteggere il livello di vita della classe lavoratrice, la loro azione essendo, in questo, parallela all’azione del partito e dello Stato. I sindacati delle categorie non operaie saranno proibiti. In realtà, sul terreno della distribuzione dei redditi con le classi non proletarie o semiproletarie, il trattamento dell’operaio potrebbe essere minacciato da considerazioni diverse dalle esigenze superiori della lotta generale rivoluzionaria contro il capitalismo internazionale. Ma questa possibilità, che sarà a lungo presente, giustifica il ruolo di second’ordine del sindacato in rapporto al partito politico comunista, avanguardia rivoluzionaria, internazionale, formante un tutto unitario coi partiti che lottano nei paesi ancora capitalisti ed avente come tale la direzione dello Stato operaio.
Lo Stato proletario non può essere animato che da un solo partito, e non ha alcun senso che vada oltre la congiuntura concreta la condizione ch’esso organizzi nei suoi ranghi e riceva nelle «consultazioni popolari», vecchia trappola borghese, l’appoggio di una maggioranza statistica. Fra le possibilità storiche c’è l’esistenza di partiti politici che sembrano composti di proletari ma che subiscono l’influenza delle tradizioni controrivoluzionarie o dei capitalismi esterni. Non si può ridurre la soluzione di questo contrasto, il più pericoloso di tutti, a diritti formali od a consultazioni in seno ad una astratta «democrazia nella classe». Sarà anche questa una crisi da liquidare sul terreno del rapporto di forza. Non v’è gioco statistico che possa assicurare la buona soluzione rivoluzionaria; questa dipenderà unicamente dal grado di solidità e chiarezza del movimento rivoluzionario comunista nel mondo. Ai democratici ingenui di un secolo fa in occidente e di mezzo secolo fa nell’impero zarista, i marxisti ebbero ragione di contestare che i capitalisti ed i proprietari sono la minoranza e quindi il solo vero regime di maggioranza è quello dei lavoratori. Se la parola democrazia significa potere dei più, i democratici dovrebbero mettersi dalla nostra parte di classe. Ma la parola democrazia, sia in senso letterale («potere del popolo») che per lo sporco uso che sempre più se ne fa, significa «potere non appartenente a una classe ma a tutte». Per questo motivo storico, come respingiamo con Lenin la «democrazia borghese» e «la democrazia in generale», dobbiamo escludere politicamente e teoricamente la contraddizione in termini di una «democrazia di classe» e di una «democrazia operaia».
La dittatura preconizzata dal marxismo non rischierà d’essere confusa con le dittature di uomini e gruppi di uomini che abbiano assunto il controllo governativo e si sostituiscono alla classe proletaria, appunto perché proclamerà apertamente di essere necessaria in quanto l’unanimità della sua accettazione è impossibile, e che la maggioranza dei suffragi, se fosse seriamente constatabile, non sarebbe una condizione in mancanza della quale la dittatura avrebbe l’ingenuità di abdicare. Alla rivoluzione occorre la dittatura, perché sarebbe ridicolo subordinarla al 100 % o al 51 %. Dove si esibiscono queste cifre, la rivoluzione è stata tradita. Si conclude che il partito comunista governerà solo, e non abbandonerà mai il potere senza combattere materialmente. Questa dichiarazione coraggiosa di non cedere all’inganno delle cifre e di non farne uso aiuterà a lottare contro la degenerazione rivoluzionaria.
I sindacati si svuoteranno della loro ragione d’essere nello stadio superiore del comunismo, non mercantile, non monetario, non uni-nazionale, stadio che vedrà d’altronde la morte dello Stato. Il partito come organizzazione di combattimento sarà necessario finché esisteranno nel mondo resti di capitalismo. Potrà, inoltre, aver sempre il compito di depositario e propulsore della dottrina sociale, visione generale dello sviluppo dei rapporti fra la società umana e la natura materiale.

V.

La nozione marxista di sostituzione dei corpi parlamentari con organi di lavoro non ci riconduce neppure ad una «democrazia economica» che adatti gli organi dello Stato ai luoghi di lavoro, alle unità produttive o commerciali ecc., eliminando da ogni funzione rappresentativa i padroni sopravvissuti e gli individui economici che ancora dispongono di una proprietà. La soppressione del padrone e del proprietario non definisce che la metà del socialismo; l’altra metà, e la più espressiva, consiste nell’eliminazione dell’anarchia economica capitalista (Marx). Quando la nuova organizzazione socialista sorgerà ed ingrandirà, il partito e lo Stato rivoluzionario essendo in primo piano, non ci si limiterà a colpire soltanto i padroni ed i loro contromastri di un tempo, ma soprattutto si ridistribuiranno in modo affatto originale e nuovo i compiti e gli oneri sociali degli individui. La rete di imprese e di servizi, cosi come sarà ereditata dall’ambiente capitalista, non potrà quindi essere posta a base di un apparato di cosiddetta «sovranità», di delegazione di poteri nello Stato e fino ai suoi organi centrali. È appunto la presenza dello stato uniclassista, e del partito solidamente e qualitativamente unitario ed omogeneo, ad offrire il massimo di condizioni favorevoli al riordinamento della macchina sociale, guidato il meno possibile dalla pressione degli interessi limitati dei piccoli gruppi ed il più possibile dai dati generali e dal loro studio scientifico applicato al benessere' collettivo. I cambiamenti nell’ingranaggio produttivo saranno enormi; basti pensare al programma di reversione dei rapporti fra città e campagna sul quale Marx ed Engels hanno tanto insistito e che è in perfetta antitesi con la tendenza attuale in tutti i paesi conosciuti. La rete aderente ai luoghi di lavoro è dunque un’espressione insufficiente che ricalca le antiche posizioni proudhoniane e lassalliane che il marxismo si è gettato da molto tempo alle spalle.

VI.

La definizione dei tipi di collegamento con la base degli organi dello Stato di classe dipende soprattutto dagli apporti della dialettica storica, e non può essere dedotta dai «principi eterni», dal «diritto naturale» o da una carta costituzionale sacra e inviolabile. Ogni dettaglio in merito non sarebbe che utopistico. Non c’è un granello di utopia in Marx, dice Engels. La stessa idea della famosa delega di potere dell’individuo isolato (elettore) grazie a un atto platonico derivante dalla libera opinione, quando l’opinione è in realtà un riflesso delle condizioni materiali e delle forme sociali, quando il potere consiste in un intervento di forza fisica, deve essere abbandonata alle brume della metafisica.
La caratterizzazione negativa della dittatura operaia è stabilita nettamente: borghesi e semiborghesi non avranno più diritti politici, si impedirà loro con la forza di riunirsi in corpi di interessi comuni o di agitazione politica, non potranno mai alla luce del giorno votare, eleggere, delegare altri a non importa che «posto» e funzione. Ma neppure il rapporto fra lavoratore, membro riconosciuto ed attivo della classe che ha il potere, e l’apparato statale manterrà il carattere fittizio ed ingannatore di una delega ad essere rappresentato da un deputato, da una lista, da un partito. Delegare è, in effetti, rinunciare alla possibilità di azione diretta, la pretesa funzione «sovrana» del diritto democratico non è che un’abdicazione, per lo più a favore di un mariolo.
I membri lavoratori della società si raggrupperanno in organismi locali, territoriali, secondo la residenza, in certi casi secondo lo spostamento imposto dalla loro partecipazione all’ingranaggio produttivo in piena palingenesi. Grazie alla loro azione ininterrotta, senza intermittenze, si realizzerà la partecipazione di tutti gli elementi sociali attivi agli ingranaggi dell’apparato statale, e per ciò stesso alla gestione e all’esercizio del potere di classe. Disegnare questi ingranaggi prima che il rapporto di classe si sia concretamente determinato è impossibile.

VII.

La Comune stabili come criteri della più alta importanza (Marx, Engels, Lenin) la revocabilità in ogni momento dei suoi membri e dei suoi funzionari, e la limitazione della mercede di questi al salario operaio medio. Ogni separazione fra produttori alla periferia e burocrati al centro è così soppressa mediante rotazioni sistematiche. Il servizio dello Stato dovrà cessare d’essere una carriera e perfino una professione. È certo che, in pratica, questi controlli creeranno difficoltà insormontabili. Lenin ha espresso da tempo il suo disprezzo per i progetti di rivoluzione senza difficoltà! I conflitti inevitabili non saranno completamente risolti redigendo scartoffie regolamentari, costituiranno un problema storico e politico, un rapporto reale di forza. La rivoluzione bolscevica non si è fermata davanti all’assemblea costituente, e l’ha dispersa. I consigli di operai contadini e soldati erano sorti. Dal villaggio a tutto il Paese la formazione di questo tipo originale, apparso già nel 1905, di organi di Stati per stadi sovrapposti di unità di territorio, nati nell’incendio della guerra sociale, non rispondeva a nessuno dei pregiudizi sul «diritto degli uomini» sul suffragio «universale, libero, diretto e segreto»! Il partito comunista scatena e vince la guerra civile, occupa le posizioni-chiave in senso militare e sociale, moltiplica per mille, in virtù della conquista di stabilimenti, edifici ecc., i suoi mezzi di propaganda e di agitazione, forma senza perder tempo e senza fisime procedurali i «corpi di operai armati» di Lenin, la guardia rossa, la polizia rivoluzionaria. Alle assemblee dei Soviet diventa maggioranza sulla parola d’ordine «tutto il potere ai Soviet!». È, questa maggioranza, un fatto giuridico, un fatto freddamente e banalmente numerico! Niente affatto! Chiunque, spia o illuso in buona fede, voti che il Soviet deponga, o fornichi, il potere conquistata col sangue dei combattenti proletari, sarà buttato fuori a colpi di calcio del fucile dai suoi compagni di lotta. Ne ci si fermerà a calcolarlo nella «minoranza legale», colpevole ipocrisia di cui la rivoluzione fa a meno, la controrivoluzione si pasce.

VIII.

Dati storici diversi da quelli russi del 1917 – caduta recentissima del dispotismo feudale, guerra disastrosa, ruolo dei capi opportunisti – potranno determinare, sulle stesse direttive fondamentali, altre configurazioni pratiche della rete di base dello Stato. Da quando si e buttato dietro le spalle l’utopismo, il movimento proletario assicura la propria via ed il proprio successo Con l’esperienza esatta del modo attuale di produzione, della struttura dello Stato presente e degli errori della strategia della rivoluzione proletaria, sia sul campo della guerra sociale «calda», sul quale i federati del 1871 caddero gloriosamente, che «fredda», sul quale abbiamo perduto, dopo il 1917 e fino al 1926, la grande battaglia di Russia fra l’Internazionale di Lenin e il capitalismo del mondo intero, sostenuto in prima linea dalla complicità miserabile di tutti gli opportunisti.
I comunisti non hanno costituzioni codificate da proporre. Hanno un mondo di menzogne e di costituzioni cristallizzate nel diritto e nella forza dominante da abbattere. Sanno che, mediante un apparato rivoluzionario e totalitario di forza e di potere, senza esclusione di mezzi, si lotterà per impedire che i relitti infami di un’epoca di barbarie ritornino a galla, che il mostro del privilegio sociale risollevi la testa, affamato di vendetta e di servitù, lanciando per la millesima volta il mentitore grido di libertà.


Source: «Battaglia Comunista», nn. 3, 4, 5 del 1951

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