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MARXISMO E «PERSONA UMANA»


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Marxismo e «persona umana»
Ieri
Oggi
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Sul filo del tempo

Marxismo e «persona umana»

Ieri

Dai primi tracciati del metodo socialista nel senso di Marx, ben chiari da quel tale secoletto, si dovrebbe semplicemente sorridere quando si sentono riportare i problemi della lotta sociale e dello svolgimento storico, le quistioni dell’economia generale e del contrasto politico, allo svolgimento alle conquiste alla liberazione della «Persona umana». Ma la stampa, e non solo quella che si accampa su posizioni decisamente antimarxiste, e la propaganda da tutti i lati, chiamano di continuo sulla pedana costei, la più scempia fra tutte le miss e le reginette che «fanno tiratura» per le rimbambite pubblicazioni odierne di gran successo.

Nella lapidaria parte polemica del «Manifesto dei Comunisti» sulle obiezioni borghesi al comunismo questa faccenda appare per sempre sventrata. È un vero peccato che la magistrale sintesi sia volutamente spezzata da periodi come questi: le accuse sollevate generalmente contro il comunismo sotto aspetti religiosi filosofici ed ideologici non meritano minuto esame. E più oltre: Ma lasciamo le obiezioni della borghesia contro il comunismo! E il testo balza al tema centrale senza transizioni, al primo passo della rivoluzione comunista che è il costituirsi in classe dominante del proletariato.

Se questo secondo punto direttamente innestato all’azione ha avuto bisogno di violente battaglie per essere difeso dall’oscurantismo dei socialtraditori, non meno ne ha avuto e ne ha bisogno il primo, più teoretico; e di quelle due o tre pagine andrebbe fatto uno svolgimento organico, che ammettendo al contraddittorio le cento scuole nostre avversarie riesponga gli apporti del marxismo e dei marxisti traendoli dalla viva storia della lotta e della polemica rivoluzionaria, dagli scritti di Marx, Engels, Lenin, Trotzky e dei tanti ben inquadrati minori di tutti i tempi e tutti i paesi.

O deve veramente credersi che babbo Marx peccò di ottimismo e non credette che la storia avrebbe dopo di lui dato ancora tanto spago agli asini ai porci e ai venduti; o deve riflettersi che un secolo fa non erano ancora possibili per far soldi per la stampa amica i festival tristemente scimmiottati da quelli borghesi, con sculettamenti in rosso e sbornie ad alcool denaturato.

Dalla breve sintesi della rivendicazione economica anticapitalistica e antiproprietaria, il «Manifesto» passa alle quistioni sulla libertà e la personalità con passi oramai più solidi dei versetti del Vangelo, e che dovrebbero essere superdigeriti. Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, l’individuo attivo è dipendente ed impersonale. Il guaio è che ad ogni passo occorrerebbe una parentesi. Poco più sopra è detto testualmente: il capitale… risulta solo dall’attività cooperante di molti… Il capitale dunque non è una forza personale; è una forza sociale. Nessuna contraddizione. Etimologicamente capitale viene da caput, testa. Nell’ordine attuale il capitale è intestato ad un singolo, perché l’ordine presente si fonda sulla appropriazione personale degli sforzi comuni. Quanto alla sua generazione il capitale è collettivo e qualunque «persona umana» non ne accumulerebbe da sola un granello, ma quanto alla disposizione sfruttamento e godimento esso è personale. In ciò sta il regime di classe che noi manifestisti vogliamo sovvertire.

Leggiamo i successivi versetti. «L’abolizione di questi rapporti è chiamata dalla borghesia abolizione della personalità e della libertà. E non a torto. Si tratta infatti di abolire la personalità, l’indipendenza, la libertà borghese». Ma con infinita amarezza va estimato che da un secolo i capi marxisti hanno trovato forse pochi giorni per lavorare a questa abolizione, mentre in tutto il resto del loro tempo si sono precipitati alla difesa da supposti pericoli di quella puzzolente personalità indipendenza e libertà borghese.

Non possiamo qui chiosare tutto il testo, che d’altra parte sovrasta tutti i suoi chiosatori, e per questi riflessi anche uno dei buoni, Antonio Labriola.

Scendiamo di pochi capoversi. «Dall’istante in cui il lavoro non può più trasformarsi in capitale, dall’istante in cui la proprietà personale non può più trasformarsi in proprietà borghese, voi dichiarate che è abolita la persona. Con ciò voi confessate che per persona voi non intendete altro che il borghese. Questa persona deve per fermo abolirsi». Dopo i passi sulla famiglia, sulla patria, sulla educazione, il testo fa cenno delle obiezioni basate sulle quistioni «spirituali». Si trovano questi decisivi teoremi, tanto calpestati: «La libertà di coscienza e di religione non furono che l’espressione della libera concorrenza economica nel campo del sapere». «Il comunismo abolisce le verità eterne comuni ad ogni forma sociale come la libertà la giustizia, ecc.». «Ora – ci permettiamo di parafrasare per la chiarezza e la difesa dai soliti contraffattori – queste non sono che forme comuni a tutti i tipi di società finora comparsi e fondati, tutti, sullo sfruttamento di una parte della società sull’altra. Tutte queste forme devono dissolversi con la completa sparizione dell’antagonismo di classe, scopo di noi comunisti».

Ahimé: religione morale giustizia libertà, va all’aria proprio tutto il repertorio modernissimo, le sambe le rumbe i boogies alla moda in cui si produce miss Persona!

I travisamenti cominciarono vivente ancora l’autore del «Manifesto». Questo anche in tarda età non esitò a dare mano alla sferza, e chiarì in modo luminoso le stesse tesi, a sbugiardamento dei truccatori per cui Marx avrebbe gradualmente rettificato le radicali posizioni del 1848.

Nella ben nota lettera sul programma di Gotha, del 1875, vera formidabile ecatombe di luoghi comuni, di posizioni demagogiche, di sporche contraffazioni del socialismo (purtroppo oggi più che mai in circolazione) profonda ricapitolazione programmatica in poche pagine dei punti attinenti ad economia filosofia politica e tattica, cui Lenin attinse i passi decisivi sul problema dello Stato e la natura dell’economia comunista, particolarmente suggestiva è la critica alle richieste sulle «basi spirituali e morali dello Stato». Il cretinismo di questo solo titoletto basta a farci vedere arricciati tutti i peli della inferocita barba di Marx. A proposito del precedente accapo sulla non meno fessa «Base liberale dello Stato» egli ha già fatto strame della libertà concessa allo Stato di Bismarck al posto di porgli il cappio alla gola (il famoso Volksfreistaat, libero Stato popolare, rivendicazione della Socialdemocrazia tedesca). Di tale pagina ha fatto Lenin una miniera di verità storica; cederemo solo alla tentazione di copiare le parole: «Le richieste politiche del programma non contengono nulla oltre all’antica ben nota litania democratica: suffragio universale, legislazione diretta, diritto dell’uomo, nazione armata etc. Esse sono una pura eco del ‹partito del popolo› borghese, della ‹Lega per la Pace e la Libertà›». Non occorre che una sedutina spiritica e il terribile vecchio seguiterà: della democrazia progressiva e popolare, dei congressi per la pace, degli altri innumeri trucchi demagogici stalinisti…

Perché la «democrazia» staliniana che arrossisce dell’uso della propria forza, in quanto non è rivendicazione in Occidente ma attuazione in Oriente, colle sue risorse ignobili che vanno fino alla costituzione di movimenti di azione cattolica, e le sue ostentazioni di tolleranza, merita di essere definita colle parole di questo altro passaggio che bollava le ipocrite formule chiuse nell’ambito della legalità prussiana di allora: «questa specie di democratume entro i limiti di ciò che è permesso dal punto di vista della polizia e non è permesso dal punto di vista della logica»!

Veniamo a bomba, ossia alle richieste morali e spirituali. Educazione del popolo per opera dello Stato? Prorompe Marx: piuttosto si devono escludere Chiesa e Governo egualmente da ogni influsso nella scuola! È lo Stato che ha bisogno di una rude educazione da parte del popolo! Anarcheggiante, eh, quel Marx, al pari di noi!

Ma gli incauti scolaretti si sono lasciati sfuggire un’altra bestemmia e il soprassalto del maestro è ancora più violento. «Libertà di coscienza!». È Marx che ha messo l’esclamativo, come lo mettiamo modestamente noi a tutti questi slogan quando ci vengono sotto il muso, da quando abbiamo cominciato a balbettare marxismo, e prima di valutare nella nostra pochezza le «opportunità offerte dalla situazione». Si era al tempo della lotta dei liberi pensatori borghesi tedeschi, o meglio dei bigotti luterani, contro l’influenza in Germania della politica cattolica (che si è vista anche oggi), campagna simile a quelle tante anticlericali in Francia al tempo di Combes, in Italia poco dopo, e simili rancidumi. E adesso, o ruffiani, levatevi da sotto. «Se in questo tempo di lotta per la civiltà (Kulturkampf) si volessero rendere graditi al liberalismo i suoi antichi motti, ciò potrebbe avvenire solo in questa forma: Ognuno deve poter soddisfare i suoi bisogni religiosi senza che la polizia vi ficchi il naso… Ma il partito dei lavoratori doveva pure in questa occasione esprimere la sua coscienza che la libertà di coscienza borghese non è altro che la tolleranza di ogni specie di libertà di coscienza religiosa, mentre invece il partito socialista si sforza di liberare le coscienze dallo spettro religioso».

Engels, Lenin hanno tante volte ribadito questo punto. La religione affare privato per lo Stato, era una domanda democratica borghese. Ma la religione affare privato per il partito è una enormità. Il partito comunista non può tollerare nelle sue file libertà di coscienza religiosa o filosofica. Ed il suo scopo è di strappare da tutte le coscienze le posizioni religiose e in generale di superstizione anticlassista.

Più esattamente la tesi marxista è che la coscienza non è affare della persona umana o del soggetto individuale, determinato da una massa di impulsi che nel suo cerchio non può controllare né apprezzare, la coscienza e meglio conoscenza teorica è affare collettivo della classe quando questa giunge al punto di organarsi in partito.

La liberazione delle coscienze dagli ammassi delle vecchie superstizioni non è affare di educazionismo propagandistico ma soprattutto di forza. La violenza non solo è un agente economico, ma un professore di filosofia.

Non ci è possibile dar luogo ad altre molte esplicite citazioni di Marx, Lenin ed altri in questo argomento.

Oggi

Che i conservatori dell’ordine presente difendano quella massa di tesi morali e spirituali che danzano intorno al centro ombelicale della Persona, non è certo da stupire. Anche quando costoro hanno assimilato a scopi di classe l’esperienza ed il materiale marxista, e valutata in segreto la imponenza dei fattori collettivi, si muovono con estrema prudenza senza mollare mai il salvagente forcaiuolo della persona.

Spieghiamoci con tre esempi. Negli imbarazzi del Congresso democristiano don Sturzo fa il punto su «Doveri di coscienza e disciplina di partito». Come sempre esposizione coerente e sennata. Prima dice: questo concetto dell’individualismo, anche nell’interno di una organizzazione o di un partito, condotto fino alla invocazione di una strana libertà di coscienza nell’interno del partito, questo io lo ripudio perché… (l’argomento politico prevale in questo non più militante politico) indebolisce la lotta ai comunisti… Ma la dottrina non va calpestata con la disinvoltura in uso tra i… marxisti. E don Sturzo rileva: Prima di un problema politico vi è un problema morale di altissima importanza, quello dell’imperativo di coscienza al quale è subordinata non la politica, ma tutta la vita dell’uomo sia o no cristiano. È canone di morale che operare contro coscienza… è una colpa… Nessun moralista può ammettere che l’uomo possa operare contro coscienza anche se sia nell’errore… E continua nella sua analisi che vuol fondare la democrazia «in generale» sulla integrità della persona. Integrità spirituale, diavolo, non che si possa in quanto «obiettori di coscienza» salvare la integrità corporale non andando in guerra e prendendo il cibo colle mani ove lo insegnano gli occhi. Qui ci vuole Calosso.

Con molto maggiore e poetica irresponsabilità si lancia nell’inno alla persona altro scrittore, il Missiroli, che se non erriamo ha talvolta professato socialismo ed ateismo. Lo udiremo senza commenti: Tutta la storia della filosofia moderna è la lenta graduale consapevolezza di questa nuova posizione raggiunta dallo spirito umano nel Cristianesimo, lo svolgimento di questa verità – il centro dell’uomo non è più fuori di lui, nella natura, ma in lui, nella coscienza – che rende sacra la persona umana e inaugura tutte le libertà.

Vadano don Sturzo e Missiroli con Tommaso con Blondel e con Dio, ciò che dà fastidio a noi è che esistano pretesi marxisti e socialisti convinti che la emancipazione economica socialista altro non sia che una tappa di quel cammino che inaugurò la persona umana, assicurandosi successivamente tutte le libertà. Costoro hanno fatto gettito di tutta la nostra costruzione che pone in cammino non la persona o l’uomo e nemmeno l’umanità o la società, ma aggruppamenti ed organamenti di uomini, che sono uno dei processi della natura tra loro intrecciati, e vede su quel cammino non una mistica lunga purificazione verso la grazia, ma una serie di rotture e di scontri, e indaga le condizioni e le forze che avviano la formazione di un sistema organizzato sociale con caratteristiche diverse da quelli che, vantando nuove dottrine di valutazione dello spirito nella persona, hanno in forme sempre nuove calpestato ed oppresso le classi diseredate.

Terzo esempio: Togliatti. Parlando sul suo viaggio a Praga, e nel fare l’apologia di quel regime, ha ancora una volta tradito il suo submarxismo, a parte tutto il contesto e le enunciazioni solite di convenienza e tattica politica che non metterebbe conto rilevare, elogiando la campagna di intensificazione (forzata) dello sforzo produttivo, sui riferimenti di lavoratori delegati al Congresso, colle parole: Questo era uno slancio produttivo derivante da una concezione nuova del lavoro e della persona umana. Sentivamo balzare dalle parole di quegli uomini questa immagine nuova dell’uomo per cui il lavoro non è più condanna, non è più sfruttamento ma è la sostanza della sua vita.

Immagini dunque di un nuovo uomo? I don Sturzo i Missiroli e i Palmiri di tutti i tempi ce ne hanno offerte all’infinito. Non sappiamo che farcene, abbiamo da un secolo presa ben altra strada. Lasciate l’uomo come è e cessate di fotterlo.


Source: da «Battaglia Comunista» n. 34 del 1949.

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